mercoledì 23 ottobre 2013

L’ipocrisia di Stato

L’ipocrisia di Stato

mercoledì 23 ottobre 2013
 
L'editoriale di Guglielmo Pelliccioli
Lo Stato insieme ai Comuni, alle Provincie e alla Regioni è padrone di qualcosa come 350 miliardi di immobili. Tra questi moltissime caserme che sono ubicate nel centro delle città. Come è noto a tutti, una caserma non è propriamente un piccolo fabbricato ma una struttura imponente costituita per lo più da stanzoni e da spazi per uffici e magazzini. Sono migliaia questi complessi su tutto il territorio nazionale e lo Stato, tramite l’Agenzia del Demanio, sono anni che cerca di venderli. Il problema è che non li vuole nessuno perchè costano cari e ancora di più costerebbero le opere di ristrutturazione. Inoltre non è facile mettere d’accordo gli enti autorizzativi per avere i permessi di variazione di destinazione d’uso. Come ultima complicazione, siccome le caserme (o parte di esse) sono considerate luoghi storici, c’è spesso il vincolo delle Sovraintendenze a bloccarne l’uso di certe parti.
Se lo Stato sapesse fare due conti, prenderebbe in mano il problema e lo risolverebbe in quattro e quattr’otto, demolendo le caserme e ricostruendo quello che gli serve. Ad esempio, potrebbe accentrare lì tutti i suoi uffici che occupano svariati edifici sul territorio. Con quali soldi? Beh, con quelli che ricaverebbe vendendo le palazzine che si liberano ai privati, ivi compresi certi edifici storici che sarebbero splendide location per alberghi, sedi di imprese o banche, uffici di rappresentanza.
Oppure, utilizzando i fondi per l’edilizia sociale, potrebbe abbattere le caserme e costruire alloggi di housing sociale risolvendo due problemi: dare la casa a chi, pur avendo un certo reddito, non può permettersi i prezzi dell’edilizia privata e, in secondo luogo, ricavare da queste locazioni un affitto che nel tempo ripagherebbe l’investimento iniziale. Se poi queste iniziative le lasciasse in mano ai privati con operazioni, ad esempio, di project financing, creerebbe anche posti di lavoro e darebbe un impulso al settore edile delle costruzioni. Le imprese effettuerebbero tutti i lavori e per un tempo congruo (30-50 anni) incasserebbero i proventi delle locazioni. Alla fine di detto periodo, le aree e gli immobili ritornano di proprietà dello Stato che deciderà cosa farne.
Citiamo l’esempio delle caserme perchè è il caso più eclatante per dimostrare che lo Stato non ha la volontà (o peggio, la capacità) di svolgere una vera politica per la casa nel nostro Paese. Quando si parla di costruire case per le classi sociali più deboli si pensa sempre ad aree periferiche su cui costruire orrendi palazzoni privi di qualità e controllo. Mai si considera il recupero di quello che già esiste. Oltretutto senza spreco di territorio.
Fonte : Quotidianocasa.it

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