martedì 31 maggio 2016

È possibile erogare un mutuo al condominio? Analisi di un caso.


È possibile erogare un mutuo al 

condominio? Analisi di un caso.

Mutuo e condominio. Alcune considerazioni in merito alla possibile erogazione



È possibile erogare un mutuo al condominio? Analisi di un caso.
Alcuni giorni fa è stata divulgata una notizia di particolare importanza in merito all'erogazione di un mutuo ad un condominio nel Comune di Sanremo. Sappiamo molto bene che la banca non rilascia prestiti a un condominio senza avere garanzie fideiussorie dagli stessi condomini o dall'amministratore ma grazie ad una società esterna che ha certificato la serietà delle parti in causa, tra cui il regolare versamento delle rette da parte dei condomini, il condomino in esame ha ricevuto il mutuo per eseguire lavori di ristrutturazione della facciata e altri interventi strutturali
Il mutuo e l'assemblea. A tal proposito si evidenzia che quando bisogna far fronte alle spese per la manutenzione periodica delle parti comuni e queste sono particolarmente ingenti è possibile stipulare un contratto di mutuo con una banca. Per stipulare un mutuo (ipotecario) è necessaria l'unanimità dei votanti in assemblea condominiale, a meno che i lavori non siano necessari per la ricostruzione o il miglioramento del bene comune: in tal caso, in sede di votazione, è sufficiente la maggioranza dei condomini, che rappresentino almeno i due terzi dei millesimi di proprietà. Ciò ai sensi dell'art. 1108, ultimo comma, del codice civile, applicabile anche al condominio in virtù del richiamo operato dall'art. 1139 c.c.

In alternativa è anche possibile stipulare un mutuo (chirografario), quindi simile ad un prestito ad personam, che non prevede un'ipoteca sull'edificio, ma un'altra forma di garanzia, come ad esempio la stipula di un'assicurazione sulla casa. In questo caso è necessaria sempre l'unanimità dei votanti in assemblea. Anche la scelta della cifra da richiedere, del tasso d'interesse da applicare o della periodicità di rimborso delle rate, deve essere deliberata all'unanimità, per cui molte volte la pratica diventa lunga e difficile, per l'inevitabile difficoltà di trovare un accordo tra tutti i condomini.
Le difficoltà aumentano con l'aumentare del numero dei condomini, per cui è più frequente che questa scelta venga fatta per lavori su piccoli condomìni.
Criteri generali delle responsabilità dei condomini. Le obbligazioni contratte verso i terzi da parte dell'amministratore, in forza di valide delibere, sono, conseguentemente, riferibili direttamente ai singoli condomini e, dunque, il terzo creditore del condominio può agire per ottenere la tutela dei suoi diritti sia nei confronti dell'amministratore, nella sua veste di legale rappresentante, sia nei confronti dei singoli condomini, sussistendo accanto alla legittimazione processuale dell'amministratore quella concorrente di ogni singolo condomino, configurandosi il condominio quale un ente sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini.
Del resto, proprio per tale motivazione, il condominio non possiede un patrimonio autonomo comune. Premesso quanto innanzi esposto, con la riforma introdotta dalla legge 220/2012, di particolare importanza sono le norme dettate a questo scopo: l'art. 1135 c.c. e l'art. 63 disp. att. c.c.
  • Per quanto riguarda, l'art. 1135, comma 1, è stato inserito il n. 4 che prevede che nel caso l'assemblea deliberi interventi di manutenzione straordinaria o innovazioni debba costituire "obbligatoriamente" un fondo speciale di importo pari agli stati di avanzamento lavori. È pur vero che l'art. 1135 cod. civ. non è dichiarato inderogabile dall'art. 1138 cod. civ., ma è altrettanto vero che il termine "obbligatoriamente" impone all'amministratore l'onere di recuperare la provvista ante esecuzione dei lavori; la delibera che consentisse una deroga all'amministratore per potere sottoscrivere un contratto d'appalto, non ottemperando al disposto di legge, sarebbe nulla poiché viola i diritti soggettivi dei singoli condomini. Sicché, stante la ratio della norma, finalizzata a tutelare il credito dei terzi, deve ritenersi che l'importo possa essere finanziato da un istituto bancario o garantito con fideiussione assicurativa, considerato che comunque potrebbero esservi condomini morosi;
  • Invece, per quanto riguarda l'art. 63 disp. att. cod. civ., la norma in esame, riguarderebbe tutte le altre fattispecie di creditori del condominio, compresi ora anche coloro che vantano crediti extracontrattuali, considerato il testo normativo che, a differenza della sentenza delle Sezioni Unite (8 aprile 2008, n. 9148) , nulla distingue tra le tipologie di creditori. Questi devono escutere, in primis, i condomini morosi e solo, se insoddisfatti, possono aggredire il patrimonio dei condomini virtuosi. Il legislatore ha stabilito, altresì, che l'amministratore debba fornire, ai terzi creditori, il nominativo e il riferimento millesimale dei condomini morosi, ma si deve ritenere che, allorché in via sussidiaria, i terzi possano pretendere il pagamento del credito dai condomini virtuosi, l'amministratore debba fornire anche il loro nominativo.
Considerazioni conclusive. In virtù di quanto evidenziato dalle suesposte norme, si evidenzia che se il finanziamento è richiesto dal condominio e allo stesso erogato, tutti i condomini sono obbligati (secondo le regole precedentemente indicate) nei confronti della banca: in caso di mancato pagamento delle rate di mutuo da parte di alcuni, ne risponderanno anche gli altri.


Fonte http://www.condominioweb.com/mutuo-condominio-erogazione.12727#ixzz4AEcDOdpO
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È possibile collegare un nuovo impianto singolo a quello condominiale?


È possibile collegare un nuovo 

impianto singolo a quello 

condominiale?

E' possibile collegare un impianto idrico singolo a quello comune?


È possibile collegare un nuovo impianto singolo a quello condominiale?
Esistono limiti e/o condizioni rispetto alla possibilità di eseguire uncollegamento tra un nuovo impianto singolo, cioè un impianto a servizio di un'unità immobiliare, e quello condominiale?
Esempio: tizio, proprietario di una piccola cantina, ha necessità di portarel'impianto idrico fino a quella stanza in quanto gli è utile avere lì a disposizione un rubinetto. Supponendo l'esistenza – ove necessaria – di tutte le autorizzazioni amministrative del caso, quali limiti potrebbe incontrare rispetto alla gestione della questione nell'ambito condominiale?
Quesito: il suo intervento necessiterebbe dell'autorizzazione dell'assemblea o comunque della esecuzione di opere da parte del condominio, oppure Tizio potrebbe agire di propria autonoma iniziativa?
Anche qui prima di entrare nel merito unapremessa è obbligatoria: facciamo riferimento ad ipotesi non disciplinate dai regolamenti condominiali; questi, potrebbe contenere particolari procedure e specie se di natura contrattuale anche limiti e condizioni.
In ogni caso è bene precisare che i regolamenti assembleari non possono mai limitare i diritti dei singoli sulle parti comuni. Come dire: l'assemblea per mezzo del regolamento o di una singola delibera non puoi mai vietare simili pratiche.
Quindi arriviamo al punto. Il caso che abbiamo esemplificato è stato affrontato con specifico riferimento ad una rete fognaria (caso quindi molto simile) dalla Suprema Corte di Cassazione.
Nella sentenza n. 11445 resa dagli ermellini il 3 giugno 2015, essi affermano che “l'allaccio della unità immobiliare di proprietà esclusiva alla rete fognaria non è di per sé vietato. Né il condominio può opporsi a un utilizzo del bene, sol perché sia improprio dal punto di vista urbanistico. Per farlo deve dedurre e dimostrare un pregiudizio delle cose comuni, potendo altrimenti la modifica di destinazione d'uso giustificare la revisione delle tabelle millesimali. Consta infatti che trattavasi di un locale condominiale legittimamente edificato, tradizionalmente frequentato da persone - tanto da essere chiamato appunto "stanza autisti" - e dunque da dotare di servizi igienici” (Cass. 3 giugno 2015 n. 11445).
Come direnessun problema alla utilizzazione di un impianto comune da parte di un condominio, nella misura in cui ciò sia fatto nel rispetto delle regole; queste sono le norme urbanistiche e a livello condominiale gli artt. 1102 e 1122 c.c.
La prima consente l'uso delle parti (e degli impianti) comuni in modo più intenso da parte di tutti i condòmini purché ciò non leda il pari diritto degli altri comproprietari.
Allacciare una nuova unità immobiliareergo un nuovo impianto di proprietà esclusiva a quello comune non è di per sé attività illegittima ed anzi non necessità di autorizzazioni e non deve seguire particolari prescrizioni (salvo quanto detto in relazione ai regolamenti) se non quella di evitare danni per gli altri e per le parti comuni.
L'art. 1122 c.c., nel considerare legittimi gli interventi sulle parti di proprietà esclusiva, pone sostanzialmente gli stessi limiti indicati dall'art. 1102 c.c.
In entrambi i casi sta al condominio – o a chi si lamenta – dimostrare la dannosità dell'allaccio del singolo.
 Cass. 5 giugno 2015 n. 11445


Fonte http://www.condominioweb.com/collegare-un-impianto-idrico-singolo-a-quello-comune.12735#ixzz4AEaL42Kq
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Installazione dell'ascensore per disabili in caso di rifiuto degli altri condomini.



Installazione dell'ascensore per disabili 

in caso di rifiuto degli altri condomini.

Il condominio non può opporsi all'installazione dell'ascensore per disabili 

se l'impianto è indipendente e non interferisce con le strutture dell'edificio.





In tema di condominio negli edifici, sulla base della previsione dell'art. 2, comma 2, della legge n. 13/89 deve affermarsi, in caso di rifiuto del condominio di adottare le deliberazioni di cui al primo comma, il diritto del singolo condomino, che si trovi nelle condizioni di disabilità previste dalla legge, di far installare a proprie spese l'ascensore. La norma fa salvo quanto disposto dall'art. 1120, 2 comma, c.c., in base al quale sono vietate quelle innovazioni che "possano arrecare pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino". È da escludersi che si verta in ipotesi di innovazione "vietata" se l'impianto ha una "struttura indipendente ed autoportante", che non crea sollecitazioni e non interferisce con le strutture dell'edificio.
Così si è pronunciato il Tribunale di Firenze nella sentenza n. 174 del 19 gennaio 2016, ove è stato precisato che non si può stoppare l'ascensore che il disabile installa a sue spese se non lede la stabilità dell'edificio.
Questi i fatti di causa. Alcuni condomini, adivano il Tribunale di competenza evidenziando che il condominio aveva negato loro l'autorizzazione all'installazione di un ascensore. In particolare, gli attori, precisavano che vi erano alcuni condomini, proprietari degli appartamenti situati all'ultimo piano dell'edificio, con particolari condizioni di invalidità; per tali ragioni, avevano invocato tale diritto all'installazione dichiarandosi disposti ad accollarsi interamente la relativa spesa.
Instauratosi ritualmente il contraddittorio,il condominio è rimasto contumace mentre erano intervenuti volontariamente con distinte comparse alcuni condomini che si opponevano alla domanda di parte attrice; in particolare, questi chiedevano il rigetto, sulla scorta di una linea difensiva tesa ad evidenziare come l'installazione dell'ascensore all'interno del vano scala del fabbricato condominiale avrebbe determinato la parziale ablazione della cosa comune, la rilevante compromissione del loro pari uso, l'alterazione del decoro architettonico nonché la perdita di valore economico del bene, ricadente anche sulle singole unità immobiliari.
Nel corso del procedimento, espletata l'attività istruttoria, il giudice adito, sui motivi esposti, preliminarmente, precisava che in tema di condominio negli edifici, le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. non corrispondono alle modificazioni cui si riferisce l'art. 1102 c.c. dal momento che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (In tal senso Cass. Civ. Sez. 2, sent. n. 18052 del 19/10/2012).
Quindi, sul punto, il Tribunale evidenziava che in ordine alla possibile compromissione della facoltà di uso e di godimento da parte degli altri condomini di una porzione del vano scala, che verrebbe sacrificato per l'esecuzione dell'opera, va considerato che, secondo condivisibile indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, il concetto di "inservibilità", di cui all'art. 1120, ultimo comma, c.c., deve essere interpretato come "sensibile menomazione dell'utilità che il condominio ritraeva secondo l'originaria costituzione della comunione" (Cass. sez. 2 8.10.2010 n. 20902 e già Cass. sez. 2 21.10.1998 n. 10445).
A tal proposito, nel caso di specie, è stato accertato che l'installazione dell'ascensore, consentendo lo sbarco ad ogni piano (compresi gli ammezzati ed il seminterrato), non determina una situazione che impedisca agli altri condomini di usare le parti comuni dell'edificio interessate dall'impianto, in condizione di parità con gli attori, secondo quella che è la loro destinazione, di dare accesso agli immobili di proprietà.
Alla luce di tutto quanto innanzi esposto si evidenzia che l'installazione di un ascensore all'interno del vano scala dell'edificio condominiale «che contempli anche una riduzione della larghezza della scala, rientra nel concetto di innovazione ai sensi dell'art. 1120 Cc e dell'articolo 2, primo comma della legge 13/1989, che disciplina le specifiche innovazioni finalizzate all'abbattimento delle barriere architettoniche».Dunque, esclusa qualsiasi compromissione della stabilità dell'edificio (relazione del CTU), sulla base della previsione normativa della legge 13/1989, il diritto del singolo, affetto da disabilità, può far installare a proprie spese l'ascensore anche nel caso di rifiuto di altri condomini. Per le ragioni esposte, il giudice fiorentino, accertata l'esistenza dell'eliminazione delle barriere architettoniche, ha lecitamente accolto la domanda degli attori.
  Tribunale di Firenze n. 174 del 19 gennaio 2016


Fonte http://www.condominioweb.com/ascensore-installazione-rifiuto.12737#ixzz4AEXGkwoJ
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venerdì 20 maggio 2016

Rinnovabili non fotovoltaiche, ok dell’Ue ai nuovi incentivi

Rinnovabili non fotovoltaiche, ok dell’Ue ai nuovi incentivi

di Paola Mammarella

Commissione Europea: ‘la capacità di generazione da fonti rinnovabili aumenterà di circa 1300 megawatt’

02/05/2016 – Via libera della Commissione Europea alla bozza di decretodel Ministero dello Sviluppo Economico che incentiva la produzione di energia elettrica da rinnovabili non fotovoltaiche.
 
Il testo, pronto da settembre 2015, a novembre aveva ricevuto il via libera della Conferenza Unificata, ma si è poi bloccato per la verifica di compatibilità con le norme europee sugli aiuti di Stato.

Venerdì scorso il verdetto positivo con cui Bruxelles ha affermato che il decreto “contribuirà al raggiungimento degli obiettivi climatici ed energetici dell'Ue  senza falsare indebitamente la concorrenza nel mercato unico. In particolare, il piano sosterrà l'Italia nel conseguire gli obiettivi dell'Ue in materia di energie rinnovabili, contribuendo ad aumentare la capacità di generazione da fonti rinnovabili di circa 1300 megawatt”.
 

Incentivi alle rinnovabili non fotovoltaiche

Il decreto cesserà di avere effetti trenta giorni dopo il raggiungimento della soglia di 5,8 miliardi di euro o comunque entro il 31 dicembre 2016. Si tratta della data indicata nella bozza, ma che potrebbe slittare dal momento che siamo ormai a maggio.
 
Gli incentivi varieranno in base alle dimensioni degli impianti.
 
L’accesso agli incentivi avverrà direttamente per i piccoli impianti di dimensioni inferiori a 0,5 MW. È previsto il meccanismo dei registri per gli impianti di media entità, con potenza installata tra 0,5 MW e 5 MW. Si useranno le aste per i progetti di potenza maggiore di 5 MW. 
 
Per quanto riguarda le aste, i contingenti di potenza disponibili in base alla tipologia di fonte ammontano a 800 MW per l'eolico onshore, 30 MW per l'eolico offshore, 20 MW per la geotermia, 100 MW per il solare termodinamico, 50 MW per le biomasse. 
 
Nelle procedure per accedere agli incentivi, saranno escluse le offerte di riduzione inferiori al 2% della base d'asta e quelle superiori al 40%.
 
Nell’ambito dei registri, sono messi a disposizione i seguenti contingenti di potenza: 60 MW per l'eolico a terra, 80 MW per l'idroelettrico, 30 MW per la geotermia, 90 MW per le biomasse, 6 MW per gli impianti a moto ondoso, 20 MW per il solare termodinamico.
 
Il decreto sostiene inoltre il rinnovo dei generatori esistenti per aumentare la loro efficienza o prolungare la loro durata di vita operativa.
 
Dopo l’ok della Commissione Europea, il decreto del Mise, che prenderà il posto del DM 6 luglio 2012, potrà quindi essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale e diventare operativo.

FONTE : EDILPORTALE:COM

Acquisto di case di classe energetica A o B, bonus anche per quelle ristrutturate

Acquisto di case di classe energetica A o B, bonus anche per quelle ristrutturate

di Rossella Calabrese

Agenzia Entrate: la detrazione dall’Irpef del 50% dell’Iva si applica anche alle abitazioni comprate da imprese ristrutturatrici




20/05/2016 - L’IVA pagata per l’acquisto da un’impresa costruttrice di una abitazione di classe energetica A o B, anche comprensiva di pertinenza, effettuato entro il 31 dicembre 2016, si detrae al 50% dall’Irpef in 10 rate annuali. Il beneficio si applica anche nel caso di imprese di ‘ripristino’ o ‘ristrutturatrici’.
 
È uno degli argomenti della Circolare 20/E del 18 maggio 2016 con cui l’Agenzia delle Entrate fornisce primi chiarimenti sulle novità fiscali introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 (Legge 208/2015).
 

La detrazione Irpef dell’Iva per case di classe energetica A o B

L’agevolazione - spiega l’Agenzia - mira a favorire la ripresa del mercato immobiliare e si applica all’acquisto di unità immobiliari a destinazione residenziale di classe energetica A o B cedute da imprese che applicano l’Iva all’atto del trasferimento, quindi imprese costruttrici.
 
Il beneficio consiste nella detrazione dall’Irpef  del 50% dell’Ivacorrisposta in relazione all’acquisto, effettuato entro il 31 dicembre 2016, di unità immobiliari a destinazione residenziale, di classe energetica A o B, cedute dalle imprese costruttrici delle stesse. La detrazione è ripartita in dieci quote costanti nell’anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d’imposta successivi.
 

Imprese costruttrici e ristrutturatrici

L’espressione ‘impresa che applica l’Iva all’atto del trasferimento’ comprende non solo l’impresa che ha realizzato l’immobile ma anche le imprese di “ripristino” o “ristrutturatrici” che hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, interventi di restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia o ristrutturazione urbanistica.
 

Immobili agevolabili e pertinenze

La detrazione presuppone l’acquisto, dall’impresa costruttrice, tra gennaio e dicembre 2016, di una unità immobiliari residenziale di classe energetica A o B, a prescindere da ulteriori requisiti. Il beneficio quindi non è circoscritto alla prima casa, né esclude gli immobili di lusso.
 
Poiché la Legge di Stabilità non si esprime sulle pertinenze (es.: posto auto, cantina, etc), l’Agenzia, in conformità al proprio orientamento ormai consolidato, ritiene che possa applicarsi alla pertinenza il criterio dell’estensione del beneficio fiscale spettante all’unità abitativa, a condizione che l’acquisto della pertinenza avvenga contestualmente all’acquisto dell’unità abitativa e l’atto di acquisto dia evidenza del vincolo pertinenziale.
 

Bonus cumulabile con la detrazione del 50% sulle ristrutturazioni

La Legge di Stabilità non vieta il cumulo della detrazione con altre agevolazioni in materia di IRPEF. Quindi il contribuente che acquisti un’unità immobiliare all’interno di un edificio interamente ristrutturato dall’impresa di costruzione può beneficiare anche della detrazione del 50% sulle ristrutturazioni, calcolata sul 25% del prezzo di acquisto dell’immobile, entro un importo massimo di 96.000 euro e ripartita in 10 rate (ex art. 16-bis, comma 3, del TUIR).
 
Tuttavia, per il principio generale secondo cui non è possibile far valere due agevolazioni sulla medesima spesa, la detrazione del 50% sulle ristrutturazioni non può essere applicata anche all’IVA per la quale il contribuente si sia avvalso della detrazione del 50% dell’Iva.
 
Ad esempio, un contribuente che acquista da un’impresa di ristrutturazione un’unità immobiliare, con le agevolazioni “prima casa”, all’interno di un fabbricato interamente ristrutturato, al prezzo di 200.000 euro + IVA al 4%, per un totale di 208.000 euro, avrà diritto:
- alla detrazione del 50% dell’Iva pagata sull’acquisto dell’immobile, pari ad euro 4.000 (8.000* 50%);
- alla detrazione del 50% calcolato sul 25% del costo dell’immobile rimasto a suo carico, pari ad euro 25.500 [(208.000 – 4.000) * 25% = 51.000 * 50%].
 
Lo stesso vale nel caso di realizzazione di box pertinenziale acquistato contestualmente all’immobile agevolato, relativamente al quale spetta anche la detrazione del 50% del costo di realizzazione documentato (ex art. 16-bis, comma 1, lett. d) del TUIR).
 
Ad esempio, un contribuente acquista da un’impresa costruttrice un’unità immobiliare, con le agevolazioni “prima casa”, e un box pertinenziale. Il costo complessivo dell’immobile, comprensivo della pertinenza è pari a 200.000 euro 19 + IVA al 4%, per un totale di 208.000 euro. Il costo di realizzazione del box è pari a 10.000 euro più IVA pari a 400 euro.
Il contribuente avrà diritto:
- alla detrazione del 50% dell’Iva sull’acquisto dell’immobile comprensivo della pertinenza, pari a 4.000 euro;
- alla detrazione, spettante ai sensi dell’art. 16-bis, comma 1, lett. d) del TUIR, sul costo di realizzazione del box al netto dell’Iva portata in detrazione riferita a tale costo, pari a 10.200 euro (10.400 euro – 200 euro). La detrazione è pari al 50% di tale importo e cioè 10.200 euro * 50% = 5.100 euro.
 

Trattamento fiscale degli acconti

L’Iva relativa agli acconti corrisposti nel 2015 non è detraibile, anche se il rogito risulta stipulato nell’anno 2016. Infatti, la Legge di Stabilità, in vigore dal 1° gennaio 2016, prevede che l’acquirente possa detrarre il “50% dell’importo corrisposto per il pagamento dell’IVA in relazione all’acquisto” di unità immobiliari effettuato o da effettuare “entro il 31 dicembre 2016”.

FONTE : EDILPORTALE.COM
 

Turnazione dei posti auto nel parcheggio condominiale. Tutto dipende dal numero e dalle dimensioni delle autovetture.


Turnazione dei posti auto nel parcheggio

condominiale. Tutto dipende dal numero

 e dalle dimensioni delle autovetture.

Turnazione dei posti auto nel parcheggio condominiale. Quali sono le regole?




Turnazione dei posti auto nel parcheggio condominiale. Tutto dipende dal numero e dalle dimensioni delle autovetture.
È nulla la delibera che respinge la richiesta di turnazione dei posti auto proveniente da un condòmino, se le dimensioni del locale autorimessa comune non consentono l'agevole parcheggio di un numero di autovetture delle dimensioni più comuni (medio-grandi) pari al numero dei condòmini. È quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 319 del'11 gennaio 2016.
Il giudice ha dato ragione alla condòmina che si lamentava di non riuscire a trovare posto per ricoverare la propria autovettura all'interno del garage condominiale, a causa delle aumentate dimensioni delle auto ed alla difficoltà di parcheggio. La compromissione del diritto d'uso comune paritario di anche solo uno dei condomini deve essere sanzionato con la nullità della delibera.

Prima di rivolgersi al tribunale, la condòmina aveva proposto in assemblea una “sostituzione dell'assegnazione temporanea o, in subordine, la turnazione dei posti auto. La sua richiesta, però, era stata bocciata dalla maggioranza dei condòmini, ragione per cui la condòmina aveva impugnato la delibera, ritenendola lesiva del suo diritto al pari uso del bene comune ai sensi dell'art. 1102 c.c.
Il giudice capitolino, dopo aver accertato che l'area di parcheggio oggetto di controversia costituisce effettivamente un bene comune, ha dichiarato nulla la delibera impugnata perché, respingendo la richiesta di utilizzare a turno della rimessa, ha violato il pari diritto della condòmina all'uso del bene “che stante le dimensioni ridotte, non consente ad almeno un condominio (quindi anche all'attrice) di parcheggiare, contemporaneamente agli altri, la propria autovettura senza recare intralcio agli altri condòmini”.
La consulenza tecnica espletata non lascia dubbi. Nel caso di specie è infatti emerso che i condòmini (nove in tutto) hanno tutti il diritto al pari uso della rimessa e, quindi, di utilizzarla per parcheggiare le vetture. Ma è altresì emerso che lo spazio a disposizione non è sufficiente a consentire a tutti di parcheggiare contemporaneamente le automobili (almeno uno per condomino).
In questi casi l'uso diretto del bene può essere frazionato laddove vi siano i presupposti di fatto per un godimento separato senza alterazione della destinazione della cosa (perché altrimenti vi sarebbe un'innovazione vietata). Soluzione questa non praticabile nella fattispecie. L'alternativa è costituita dall'uso turnario dei posti auto, con l'avvicendamento dei singoli condòmini nel godimento del bene.
Nel caso di specie, non essendo possibile l'uso simultaneo del garage, la turnazione dei posti auto rappresenta effettivamente l'unica soluzione percorribile per garantire a tutti i partecipanti il pari diritto dal godimento del bene comune, secondo la destinazione impressa allo stesso dalla compagine condominiale.
Da qui la declaratoria d'illegittimità della delibera impugnata: con essa, secondo il giudice, l'assemblea dei condòmini ha negato la turnazione dei posti auto comprimendo di fatto il diritto all'uso comune paritario. Tanto basta per considerare tale deliba radicalmente nulla perché lesiva del diritto d'uso del singolo condòmino.


 Tribunale di Roma, n. 319 dell'11 gennaio 2016


Fonte http://www.condominioweb.com/turnazione-posti-auto-parcheggio-condominiale.12696#ixzz49CsFJFcQ
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Fondo cassa condominiale e vendita dell'appartamento


Fondo cassa condominiale e vendita 

dell'appartamento

Chi acquista un immobile subentra anche nel fondo cassa


Fondo cassa condominiale e vendita dell'appartamento
Nel caso in cui un condomino venda la propria unità immobiliare, egli ha diritto a vedersi restituito il fondo cassapresente al momento della stipula?
Se sì, chi deve restituire la somma? L'amministratore oppure il compratore?
Partiamo dalla definizione di fondo cassa: esso è rappresentato da una somma di denaro – salvo diversa convenzione ripartita tra i condòmini in ragione dei millesimi di proprietà – che viene accantonata nel corso dell'anno per far fronte a spese di ordinaria manutenzione o comunque per interventi inerenti la gestione condominiale ed ordinabili dall'amministratore di condominio.

Della consistenza e quindi dell'utilizzazione di questo fondo cassa l'amministratore rende conto alla fine dell'anno e l'assemblea può decidere come destinarlo, avendo potere di gestione dei così dettiresidui attivi della gestione (art. 1135 c.c.).
A questo fondo cassa se ne può affiancare un altro disciplinato dal regolamento condominiale contrattuale e che magari può avere destinazione e durata differenti. Può essere istituito quale accantonamento da utilizzare in previsione di manutenzioni straordinarie, può essere previsto per far fronte ad eventuali situazioni di morosità e più in generale per tutti gli scopi utili (e leciti) individuati dal regolamento stesso.
Sebbene prima facie questi due fondi possano apparire la stessa cosa, la situazione non è propriamente questa; le differenze, infatti, incidono sulla sua sorte per il caso di compravendita.
Partiamo dal fondo cassa istituito dall'assemblea; esso altro non è che il versamento di una somma rientrante nella quota annuale ai fini della gestione della compagine.
La cessione dell'unità immobiliare fa sì che il neo condomino subentri nella posizione del suo predecessore dal momento del perfezionamento della cessione.
Com'è noto il compratore è obbligato con il venditore per i debiti sorti l'anno prima e quello nel corso del quale è intervenuta la gestione. Vale così anche in relazione ai crediti? Ad avviso di chi scrive, no. D'altra parte il pagamento della quota di fondo cassa si configura come un obbligo verso il condominio, al pari di qualunque quota condominiale, e quindi chi acquista subentra nell'obbligo di pagamento. Al termine dell'anno di gestione sulla quota parte di fondo cassa, paragonabile ad un residuo avviso, l'assemblea ha diritto di incidere stabilendone la destinazione. Nulla vieta naturalmente che le parti contrattando sulla cessione possano considerare anche l'esistenza del fondo cassa, ai fini di una sua valutazione in relazione al prezzo.
Vediamo adesso il caso dei fondi previsti dal regolamento contrattuale. Questo tipo di regolamento – è pacifico – rappresenta un contratto plurisoggettivo. Chi acquista l'unità immobiliare in condominio, accettando il regolamento subentra nei diritti e negli obblighi acquistando anche la quota di fondo cassa, a meno che lo stesso regolamento non ne preveda la restituzione al cedente per i casi di alienazione. Siccome solitamente sui fondi cassa istituiti dai regolamenti contrattuali è già prevista una specifica destinazione, l'assemblea è impossibilitata a decidere in merito a tale aspetto.
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Fonte http://www.condominioweb.com/chi-acquista-un-immobile-subentra-anche-nel-fondo-cassa.12704#ixzz49CpNbWn0
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