giovedì 31 ottobre 2013

Ubs Real Estate scommette sul retail in Italia, più cauti sugli uffici

Ubs Real Estate scommette sul retail in Italia, più cauti sugli uffici

  • 31 ottobre 2013
di Paola Dezza
Il contesto immobiliare è ancora fragile in Europa. La cautela è d'obbligo, anche se ci sono aree "felici" come la Germania o alcune zone della Gran Bretagna, Londra in primis, che vivono un buon momento per il settore del mattone.
È il pensiero di Gunnar Herm, Europe executive director & head of research&strategy di Ubs real estate. 
«In un contesto in via di normalizzazione - in termini di crisi economica dell'Eurozona - anche Paesi come Spagna e Italia, considerati dagli investitori finora Nazioni non-core, potrebbero di nuovo veder ridurre il proprio rischio. Ci sono poi città interessanti, come Londra che anche in futuro verrà percepita come l'unica vera realtà internazionale all'interno del contesto europeo. Ed è considera anche la via più facile per i capitali per entrare in Europa da altre aree del mondo».
Ma quali saranno le mete e i settori vincenti nel real estate per il 2014? «La remunerazione del capitale sarà ancora il driver che guiderà gli investimenti – dice l'intervistato –. I settori uffici e retail in Germania rappresentano ancora buone opportunità per il segmento core. Per chi è più propenso al rischio il settore uffici prime in UK, in città come Manchester o Edimburgo, offre occasioni interessanti. Mentre a Madrid i livelli di prezzo di questo mercato riflettono più l'illiquidità del settore stesso che i fondamentali. Il segmento prime shopping center in Italia si trova nello stesso stato di illiquidità del segmento uffici prime in UK o a Madrid, e offre un'opportunità a livello ciclico». Ricordiamo poi che il retail è stato in Italia e in Europa il settore vincente nel recente passato, mentre ha vissuto fortune alterne negli ultimi tempi.
Fuori dall'Europa, secondo Ubs, si può investire in mercati secondari - negli uffici -come Austin o Portland, negli Usa. Città come New York hanno già vissuto un forte recupero post-crisi. «Siamo cauti sul retail negli States – dice l'intervistato – anche questo ha già raggiunto livelli pre-crisi. Guardiamo con interesse anche al Giappone. Molto cauta, invece, è la posizione sui mercati emergenti. 
Qual'è l'opinione di Ubs real estate sull'Italia? «È un Paese core per noi all'interno del panorama europeo – dice ancora Gunnar Herm –. Anche se ultimamente gli investitori sono rimasti sorpresi dai cambiamenti di tassazione per il settore del real estate. I capitali internazionali sono stati cauti sull'Italia perchè le novità fiscali sono state percepite come rischiose. Ma il settore degli shopping center, soprattutto nelle aree del nord e del centro del Paese, possono offrire un'opportunità di impiego del capitale. Il settore della logistica è da tenere sotto controllo». Paragonato alle Nazioni del Nord Europa, il settore dell'e-retailing in Italia ha molta strada da fare, ma sembra vivere un buon momento. Soprattutto al nord gli spazi dedicati alla logistica sono scarsi, e quindi il settore potrebbe essere soggetto a nuovi sviluppi. «Restiamo cauti sugli uffici – dice ancora –, perché non ci aspettiamo la crescita dei posti di lavoro, ma anche perché alcuni grandi progetti di rigenerazione urbana a Milano e Torino trasformeranno significativamente le città e il mercato nel medio-lungo termine. Quelli a cui accenniamo sono sviluppi molto importanti e significativi, un aspetto positivo per il real estate e non solo. Ma probabilmente porteranno sul mercato un'offerta tanto ampia da limitare la crescita dei rendimenti per il futuro». 
Ubs real estate ha siglato negli ultimi anni alcune partnership per gestire al meglio gli investimenti, per esempio con Siemens in Germania, Mitsubishi Corporation in Giappone e Gemdale Corporation in Cina. Più di recente Global Re Multi-Managers business (GMM) ha siglato una partnership con Prelios Sgr in Italia.
Fonte : Casa24Plus

L’errore nella redazione delle tabelle millesimali giustifica la loro revisione anche a maggioranza

L’errore nella redazione delle tabelle millesimali giustifica la loro revisione anche a maggioranza

31/10/2013
di Alessandro Gallucci


In tema di condominio negli edifici le tabelle millesimali, anche se approvate con il consenso di tutti i condomini, non hanno necessariamente natura negoziale e quindi possono essere modificate, nel caso di errore di redazione, con le stesse maggioranze necessarie per l’approvazione e la revisione del regolamento, atto del quale rappresentano un allegato. 
 
L’errore rilevante, che è poi quello citato nell’art. 69 disp. att. c.c., consiste nella mancanza di corrispondenza tra situazione reale e valori espressi nelle tabelle. 
 
Questa, in sostanza, la decisione resa dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21950 del 25 settembre 2013.
 
La sentenza è segnalata per due motivi: 
 
a) gli ermellini ribadiscono espressamente il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nel 2010 (sent. n. 18477) in materia di approvazione e revisione dei valori millesimali; 
 
b) sebbene la controversia riguardasse un fatto antecedente l’entrata in vigore della riforma del condominio, i suoi effetti non potranno non essere tenuti in considerazione anche nella vigenza della nuova normativa. 
 
Nozione di errore ai fini della revisione 
 
Affermando gli ermellini che “ l'errore determinante la revisione delle tabelle millesimali ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c. è costituto dall'obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente previsto”. 
 
Quando possiamo affermare, come si suole dire ad un primo sguardo, che le tabelle sono errate? 
 
Nella fattispecie risolto nella sentenza in esame, si legge in sentenza “ è piuttosto evidente la deduzione dell'esistenza di tali presupposti, già dalla prospettazione dell'iniziale domanda dell'attrice laddove si assumeva che le tabelle erano errate, perché prevedevano la ripartizione delle spese condominiali relative ai portici, che in realtà erano di proprietà esclusiva dei singoli condomini; perché si assumeva che alcuni immobili di proprietà dell'attrice erano inclusi nella tabelle per la ripartizione delle spese relative alle scale, ma erano siti al piano terra e privi di accesso alle scali comuni; perché si sosteneva l'esistenza di vani inutilizzabili ed inabitabili che partecipavano per intero al riparto delle spese anche di pulizia e di gestione, anziché parteciparvi in misura ridotta o non parteciparvi affatto” (Cass. 25 settembre 2013, n. 21950).. 
 
Per revisionare le tabelle è necessario un sopralluogo in tutte le unità immobiliari interessate. 
 
Si legge nella sentenza n. 21950: “ sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unità immobiliari, sia per la prima caratura di esse, il giudice deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi - quali la superficie, l'altezza di piano, la luminosità, l'esposizione - incidenti sul valore effettivo di esse, e quindi adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati (Cass. n. 5942 del 15/06/1998)” (Cass. 25 settembre 2013, n. 21950). 
 
Vale la pena ricordare che con l’entrata in vigore della legge n. 220/2012 il nuovo articolo 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile specifica che l’errore rilevante giustifica l’azione giudiziale di revisione consentendo la chiamata in causa del solo amministratore e non di tutti i condomini, cosa necessaria prima dell’entrata in vigore della riforma. 
 
Quorum deliberativi per la revisione
 
Non sempre è necessario ricorrere in giudizio per revisionare le tabelle millesimali. Le parti possono decidere fuori dalle aule di Tribunale. Per lunghi anni sembrava che una decisione del genere dovesse essere adottata con il consenso di tutti i condomini. Dal 2010, invece, la Cassazione, a seguito della summenzionata pronuncia delle Sezioni Unite, è costante nell’affermare che “” l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale; ne consegue che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c. (Cass. 25 settembre 2013, n. 21950).

Fonte : condominioweb.com

I poteri dell’amministratore e quelli dell’assemblea rispetto alle controversie riguardanti beni comuni

I poteri dell’amministratore e quelli dell’assemblea rispetto alle controversie riguardanti beni comuni

31/10/2013
di Alessandro Gallucci 


Esiste un modo certo per comprendere quali controversie debbano essere considerate di carattere condominiale, quelle rispetto alle quali hanno competenza decisionale l’amministratore e/o l’assemblea, e quali quelle che, pur riguardando le parti comuni, possono coinvolgere solamente i condomini? 
 
La Cassazione prova a mettere ordine in materia. Nessuna novità di rilievo, nessun contrasto rispetto ai principi più volte espressi ma la sentenza n. 21826 del 24 settembre 2013 è utile in quanto “fa il punto” della situazione. 
 
Poteri dell’amministratore
 
Che cosa può fare l’amministratore? 
 
“ All'amministratore del condominio compete l'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea, nonché, in genere, tutta l'attività di ordinaria amministrazione giusta l'elenco analitico di attribuzioni previsto dall'art. 1130 c.c.. Nei limiti di tali attribuzioni, o dei maggiori poteri eventualmente conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, egli ha la "rappresentanza" dei condomini e può stare in giudizio sia per essi contro terzi sia contro alcuno di essi per tutti gli altri (art. 1131, commi 1 e 2)” (Cass. 24 settembre 2013 n. 21826).. 
 
Un condomino non rispetta il regolamento? L’amministratore può fargli causa (previo esperimento del tentativo di conciliazione). 
 
Un condomino non paga le quote di spesa? L’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. 
 
Un condomino si appropria di una parte comune? L’amministratore può agire per chiedere la cessazione dell’abuso ma attenzione non può domandare l’accertamento della proprietà condominiale di quel bene perché le questioni riguardanti la titolarità del diritto di proprietà non sono comprese tra quelle concernenti la gestione del condominio. 
 
In questo contesto, prosegue la Cassazione, “ il sistema che si delinea consiste, pertanto, nel separare le situazioni di carattere condominiale da quelle di carattere individuale del singolo condomino e soltanto in ordine alle prime l'amministratore è legittimato ad esercitare le funzioni di rappresentanza, pur ammissibile un intervento dell'amministratore anche per la tutela degli interessi esclusivi del singolo condomino, purchè colui gli conferisca espressa procura. Si tratta di una figura del tutto speciale di rappresentanza, che si distingue dal modello di rappresentanza volontaria, in ragione della determinazione legale delle relative attribuzioni. Secondo la giurisprudenza consolidata, l'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicazione, nei rapporti tra amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato. Ovviamente, come è desumibile, la rappresentanza, non soltanto processuale, dell'amministratore del condominio è circoscritta alle attribuzioni, ai compiti ed ai poteri, stabiliti dall'art. 1130 c.c.. Ove si tratti invece di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, tale legittimazione può trovare fondamento soltanto nel mandato conferito all'amministratore da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non nel meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale, ad eccezione dell'equivalente ipotesi di una unanime, positiva deliberazione di tutti i condomini (cfr. Cass. 3 marzo 1984 n. 4623; Cass. 29 febbraio 1988 n. 2129; Cass. 11 marzo 1988 n. 2401)” (Cass. 24 settembre 2013 n. 21826). 
 
Lo stesso dicasi per l’assemblea. I condomini riuniti possono deliberare di promuovere un’azione di garanzia contro l’appaltatore per i difetti delle opere eseguite sulle parti comuni, ma non possono, ad esempio, deliberare di agire per chiedere l’usucapione a favore della collettività di una parte dell’edificio. 
 
“ L'assemblea, infatti (come affermato da Cass. 29 agosto 1997 n. 8246), può deliberare, con le prescritte maggioranze, solo sulle questioni che riguardano parti comuni dell'edificio o il Condominio nel suo complesso, oppure sulle liti attive e passive che, esorbitando dalle attribuzioni istituzionali dell'amministratore, riguardino pur sempre la tutela dei diritti dei condomini su tali parti, ma non anche sulle questioni concernenti l'esistenza, il contenuto o l'estensione dei diritti spettanti ai condomini in virtù dei rispettivi acquisti, diritti che restano nell'esclusiva disponibilità dei titolari (v. Cass. 8 agosto 1979 n. 4637). In questa seconda ipotesi non possono non rientrare, ad avviso del Collegio, i casi delle azioni reali (di accertamento o costitutive) dirette ad individuare ed/od ad estendere la sfera del dominio acquisito pro quota da ciascun condomino con gli atti d'acquisto delle singole unità immobiliari condominiali, ossia all'atto dell'ingresso nel Condominio. Anche in questi casi, invero, l'azione giudiziale esula dall'ambito della mera tutela di una già acquisita proprietà comune, per incidere nella sfera dei diritti e degli interessi individuali: ogni (acquisto od) estensione della proprietà comune, se da un lato comporta un proporzionale accrescimento dell'oggetto del diritto di comproprietà di ciascun condomino, implica, dall'altro, la corrispondente, proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri tutti correlati all'acquisto (concorso alle spese di acquisizione del bene, di conservazione dello stesso, ecc). E tanto basta ad escludere che la proposizione di un'azione volta - come la domanda di accertamento dell'avvenuto acquisto per usucapione di un immobile da parte di un condominio - a conseguire una simile estensione, possa considerarsi rientrante nei poteri deliberativi dell'assemblea condominiale e che la rappresentanza processuale del Condominio possa essere, nella stessa ipotesi, affidata all'amministratore” (Cass. 24 settembre 2013 n. 21826). 
 
Insomma i confini della competenza, almeno teoricamente, paiono chiari: azioni riguardanti gestione e tutela delle parti comuni sono esercitabili da amministratore ed assemblea. Le azioni, così dette reali, insomma quelle che riguardano esistenza ed estensione dei diritti, no.

Fonte : condominioweb.com

Assemblea di condominio, riunioni fiume, fissazione di più date ed inversione dell’ordine giorno

Assemblea di condominio, riunioni fiume, fissazione di più date ed inversione dell’ordine giorno

31/10/2013
di Alessandro Gallucci 


Un nostro lettore ci chiede: 
 
Vorrei, se possibile, avere alcuni chiarimenti in merito alla convocazione dell'assemblea che l'Amministratore del condominio invia ai condomini. 
 
Avvalendosi della facoltà di indicare più giorni per la convocazione dell'assemblea nel caso in cui le sedute si prolunghino più dell'orario di fine indicato, può l'assemblea deliberarne altri rispetto a quelli predisposti dall'Amministratore? 
 
Accade che l'Amministratore del Condominio dove io abito convoca, in seconda convocazione, il venerdì e le ulteriori riconvocazioni per il sabato e la domenica successivi!! Alle ore 21, senza tener conto di impegni dei condomini nei giorni prefestivi e festivi. Si verifica così, che le sedute nei giorni successivi al primo vanno deserte e non è possibile discutere e deliberare sugli altri punti all'ordine del giorno. 
 
E' possibile modificare la discussione dei punti all'ordine del giorno con delibera assembleare prima della loro discussione? 
 
Prendiamo spunto dal quesito dell’utente per approfondire alcuni aspetti connessi ad una delle novità introdotte dalla legge n. 220/2012 (la riforma del condominio): il riferimento è all’avviso di convocazione dell’assemblea con l’indicazione di più date. 
 
Recita l’art. 66, quinto comma, disp. att. c.c.: 
 
L'amministratore ha facoltà di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi. 
 
Si tratta della così detta riunione fiume. 
 
Il primo elemento da evidenziare è che la fissazione di più date non può voler significare indicare un’ora di fine per ciascuna riunione. 
 
Insomma non si può dire: “ E’ indetta l’assemblea che si terrà … dalle ore 18 alle ore 22 e nel caso questo tempo non dovesse essere sufficiente nel medesimo orario dei seguenti giorni …” 
 
La corretta applicazione della norma consente all’amministratore una simile previsione “ E’ indetta l’assemblea che si terrà … alle ore 18 e nel caso questo non si dovesse riuscire a deliberare, la riunione può continuare nel medesimo orario dei seguenti giorni …”. 
 
Se l’assemblea si costituisce in prima convocazione, le prosecuzioni dovranno essere considerate prosecuzione di una prima convocazione. Idem se si tratta di seconda convocazione. Ciò ha molta importanza per i così detti quorum deliberativi. Trattandosi di prosecuzione e non di nuova assemblea non è necessaria la verifica dei quorum costitutivi. 
 
In relazione all’ordine del giorno, la legge non dice nulla in merito all’ordine di discussione. Ergo: salvo il caso di argomenti strettamente connessi e per i quali è logica una trattazione seguendo un determinato ordine, l’assemblea può decidere d’invertire l’ordine di trattazione. Chiaramente se gli argomenti connessi sono posti in mezzo agli altri, nulla vieta che possano essere discussi per primi o per ultimi. 
 
Sull’orario di svolgimento della prima riunione e delle successive prosecuzioni, invece, se l’assemblea non decide nulla, la scelta dell’orario è rimessa alla piena discrezionalità dell’amministratore.


Fonte : condominioweb.com

mercoledì 30 ottobre 2013

L’amministratore di condominio può impugnare un titolo edilizio?

L’amministratore di condominio può impugnare un titolo edilizio?

30/10/2013
Avv. Gian Luca Ballabio (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 8 ottobre 2013, n.4944)
 
L’amministratore di un condominio ha impugnato, senza una autorizzazione dell’assemblea condominiale in tal senso, i titoli edilizi in forza dei quali è stato effettuato un intervento di ristrutturazione di seminterrato e del vano a piano terra, con creazione di un soppalco. Ha agito correttamente?
 
La giurisprudenza e il diritto al dissenso. A causa dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali relativi al riconoscimento in capo all’amministratore di condominio di agire in giudizio autonomamente, nel 2010 è intervenuta una decisione della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite che ha stabilito che: “l’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dell’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (Casss. Civ., Sez. Un.., sent.6 agosto 2010, n.18331).
 
Tale interpretazione, quindi, permette di garantire il c.d. “diritto al dissenso” dei condomini rispetto alle liti (art. 1132), per esempio qualora non vogliano intentare un giudizio complesso dall’esito incerto che potrebbe comportare la loro condanna al pagamento delle spese processuali. Pertanto è l’assemblea che ha il potere di decidere se agire in giudizio, se resistere o impugnare provvedimenti sfavorevoli al condominio; ciò perché in questi casi l’amministratore deve eseguire unicamente ciò che viene stabilito dall’assemblea.
 
Questo indirizzo giurisprudenziale è da ritenersi ormai consolidato. Infatti “deve essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall'amministratore del condominio, senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine ad una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato, in quanto non rientrante tra quelle per le quali l'organo amministrativo è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell'art. 1130 e 1131, primo comma cod. civ.” (Cass. civ., Sez. II, sent. 31 gennaio 2011 n. 2179 ) 
 
La decisione in commento. Nel caso in esame anche il Consiglio di Stato ha ritenuto di aderire a tale interpretazione e quindi, dopo aver accertato l’amministratore del condominio aveva agito senza una autorizzazione assembleare, ha ritenuto che “la possibilità di intraprendere l’azione giudiziaria proposta in questa sede esulava dai poteri dell’amministratore di condominio che risulta essere stato specificamente autorizzato dall’assemblea. Tale mancanza determina il difetto di legittimazione processuale attiva, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto in primo grado”.  In parole più semplici, l’amministratore per agire processualmente deve richiedere una specifica autorizzazione assembleare; circostanza che ovviamente lo libera dalla responsabilità per l’eventuale esito negativo del giudizio. Nel caso di specie è necessario un preciso mandato da parte dell’assemblea l’amministratore per impugnare il titolo edilizio del condomino che soppalca.Il Consiglio di Stato, in motivazione precisa che ai senti di un indirizzo giurisprudenziale più volte espresso dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass., SS.UU., 6 agosto 2010, n, 18331) stabilisce che “partendo dalla premessa secondo cui l’amministratore di condominio non ha autonomi poteri, giunge alla conclusione che, anche in materia di azioni processuali, il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea, la quale deve deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Quindi, in base a questo orientamento, l’amministratore può proporre ricorso giurisdizionale nell’interesse del condominio che rappresenta solo in presenza di una specifica autorizzazione assembleare, la sola a poter esprimere il relativo potere decisionale, anche in campo processuale”.


Fonte : condominioweb.com

Assemblee e supercondominio: con più di sessanta partecipanti è obbligatoria la nomina del rappresentante all’assemblea degli edifici in supercondominio?

Assemblee e supercondominio: con più di sessanta partecipanti è obbligatoria la nomina del rappresentante all’assemblea degli edifici in supercondominio?


30/10/2013
di Marta Jerovante


L’incarico non può essere conferito all’amministratore di condominio di uno degli stabili
 
Com’è noto, il Riformatore, confermando le soluzioni che, nel tempo, si sono affermate in sede giurisprudenziale a fronte dei problemi generati dalla nascita di complessi edilizi sempre più articolati, ha adeguato la disciplina civilistica del condominio alle nuove realtà edilizie e  con il nuovo art. 1117 bis c.c. ne ha esplicitamente esteso l’ambito applicativo sino a ricomprendere, tra le altre fattispecie, il cd. supercondominio o condominio complesso. Si ricorda che con tale espressione si intende la situazione che si verifica nel caso di un complesso edilizio distinto in diversi corpi di fabbrica i quali, pur essendo strutturalmente autonomi, sono dotati di beni strumentali destinati al servizio comune dei complessi edilizi stessi, quali, ad esempio, il viale d’ingresso, il cortile, il giardino, l’impianto centrale per il riscaldamento, l’impianto di illuminazione, il parcheggio, i locali per la portineria e il servizio di portierato, la piscina, i campi da tennis, ecc. 
 
Il disposto normativo. Con specifico riferimento alla materia delle delibere e delle maggioranze assembleari, trova poi applicazione il disposto del nuovo art. 67 disp. att. c.c., i cui commi 3 e 4, nel disciplinare le ipotesi nelle quali i partecipanti al supercondominio siano complessivamente più di sessanta, prevedono in particolare che il singolo condominio designi il proprio rappresentante all’assemblea convocata per la gestione delle parti comuni e per la nomina dell’amministratore; in mancanza, all’individuazione del rappresentante provvederà l’autorità giudiziaria. Il rappresentante del condominio – che agisce in base all’istituto del mandato – riferirà poi all’amministratore di ciascun condominio gli esiti dell’assemblea.
 
Le disposizioni appena richiamate circoscrivono dunque con precisione l’ambito di applicazione della disciplina, imponendo l’obbligatorietà della nomina di un rappresentante all’assemblea del supercondominio soltanto se:
 
il supercondominio sia composto da almeno 61 partecipanti;
l’assemblea abbia ad oggetto la gestione ordinaria (secondo una modifica approvata dalla Camera) delle parti comuni ai condominii coinvolti e la nomina dell’amministratore.

 
I casi eccezionali. Fuori da questi casi (partecipanti al supercondominio in numero inferiore o pari a sessanta, oppure supercondomini composti da oltre sessanta partecipanti, ma in riferimento ad assemblee che riguardino, ad esempio, manutenzione straordinaria, innovazioni, modificazione o tutela delle destinazioni d’uso), continuerà a trovare applicazione l’ordinaria disciplina dettata in materia di svolgimento delle assemblee condominiali (quorum costitutivi, soggetti legittimati a parteciparvi, conferimento delle deleghe, ecc.).
Le novità introdotte. Pertanto, la Riforma – introducendo l’assemblea dei rappresentanti degli edifici in supercondominio nominati secondo l’articolata procedura descritta e nei limiti numerici sopra individuati – esclude che tutti i proprietari delle singole unità abitative site nei diversi fabbricati partecipino personalmente alle adunanze “ordinarie”; in tutte le altre assemblee dovranno essere convocati e dovranno partecipare direttamente tutti i condomini, al di là del loro numero – fatta sempre salva la possibilità di conferire delega.
 
La durata dell’incarico. Relativamente poi alla durata dell’incarico, la norma non contiene alcuna previsione, lasciando quindi aperta la questione se  questo possa essere effettuato per più annualità o, addirittura, fino alla revoca.
 
In realtà, dal tenore letterale del comma 3 – che si riferisce al «rappresentante all’assemblea», termine usato al singolare –, sembrerebbe potersi desumere che la nomina venga effettuata assemblea per assemblea. Tuttavia una lettura complessiva delle disposizioni in commento – che disciplinano, come visto, un procedimento piuttosto articolato di nomina – indurrebbe a ritenere, al contrario, che la delega a partecipare all’assemblea del supercondominio non sia soggetta ad alcun vincolo temporale, restando il delegato tale fino alla sua sostituzione. (In tal senso, si veda TRIOLA, Il supercondominio, in ID. (a cura di), Il nuovo condominio, Torino, 2013, 31, il quale osserva che la designazione del rappresentante d’edificio valga, di principio, a tempo indeterminato, e non vada, perciò,  effettuata di volta in volta per la singola assemblea di supercondominio da tenersi).
 
I poteri. Riguardo ai poteri del rappresentante dell’edificio in seno all’assemblea supercondominiale, la norma è invece assolutamente chiara (art. 67, comma 5, disp. att. c.c.): è fatto divieto di porre limiti o condizioni al potere di rappresentanza. Il rappresentante, nominato dai partecipanti al singolo condominio o dal giudice, rappresenta dunque il condominio nell’ambito del supercondominio con pieni poteri: si ritiene infatti che detti vincoli, ove apposti, potrebbero circoscrivere in maniera eccessiva lo “spazio di manovra” del rappresentante, impedendogli ad esempio di votare in un modo difforme rispetto a quello ipotizzato nel caso in cui, in sede di assemblea supercondominiale, dovessero emergere aspetti non preventivamente valutati e che consiglierebbero di adottare una posizione differente.
 
Tuttavia, la stessa disposizione precisa, subito dopo, che «Il rappresentante risponde con le regole del mandato» (artt. 1703 s.s. c.c.) : il delegato deve quindi attenersi alle istruzioni che gli sono state impartite, sia per quanto riguarda le materie sulle quali è abilitato a intervenire e votare (e che possono non coincidere con tutte quelle poste all’ordine del giorno), sia per quanto riguarda le posizioni da assumere.
 
Di conseguenza, il rappresentante nominato dai condomini di uno degli stabili non potrà ingerirsi nell’amministrazione, più ampiamente considerata,  del supercondominio, in quanto soggetto espressamente “delegato” alla sola partecipazione all’assemblea supercondominiale (ad un’unica adunanza se si accoglie l’indirizzo restrittivo, o a tutte le assemblee fino alla sua revoca, se si segue un’interpretazione sistematica). Inoltre, è vero che il rappresentante potrà votare, in sede di assemblea di supercondominio, anche in senso difforme a quanto discusso dall’assemblea che lo ha nominato, ma, trovando applicazione le norme in materia di mandato, egli dovrà comunque operare con la diligenza del caso e tutelare gli interessi dei propri rappresentati.
 
Il problema delle deleghe. La norma pone infine un ulteriore, importantissimo punto di attenzione: il nuovo comma 5 dell’art. 67 disp. att. c.c. impone un divieto assoluto di conferire deleghe all’amministratore di condominio, disponendo che «all’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea». Al fine di evitare l’insorgere di situazioni di conflitto di interesse più volte oggetto di dispute giurisprudenziali, la legge di riforma del condominio ha infatti statuito in controtendenza rispetto alla prevalente impostazione giurisprudenziale la quale ha invece riconosciuto al condomino la facoltà di conferire delega per partecipare all’assemblea all’amministratore del condominio; solo qualora il voto reso dal delegato realizzi un conflitto di interessi a causa della sua carica di amministratore, la deliberazione, se adottata con il voto determinante dell’amministratore-delegato, è da considerarsi nulla (T. Barcellona Pozzo di Gotto, 5 dicembre 1994; Cass. civ., 22 luglio 2002, n. 10683: «qualora gli argomenti sottoposti all’esame e alla decisione dell’assemblea dei condomini implichino un giudizio sulla persona e sull’operato dell’amministratore in materie inerenti alla gestione economica della cosa comune (nella specie, approvazione del bilancio consuntivo e conferma dell’amministratore ), sussiste una situazione di conflitto di interessi tra amministratore e condominio, che può essere fatta valere da qualsiasi partecipante alla collettività condominiale; essa, tuttavia, non comporta di per sé la non computabilità del voto espresso dall’amministratore per delega di taluno dei condomini in relazione ai predetti argomenti, ma soltanto qualora venga dedotto e provato che il condomino delegante non era a conoscenza o non era in grado di rendersi conto, con la normale diligenza, della situazione di conflitto»).
 
Peraltro – ed è questo un elemento di sicuro rilievo – durante l’esame del testo di legge alla Camera è stata aggiunta la specificazione «qualunque assemblea», rispetto al generico riferimento «all’assemblea» contenuto nel provvedimento approvato al Senato. Come chiarito nel Dossier n. 398 (ottobre 2012) del Servizio Studi del Senato della Repubblica, la disposizione così modificata si riferisce quindi sia all’assemblea condominiale, sia all’assemblea per la gestione delle parti comuni a più condominii.
 
Pertanto, con specifico riferimento all’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 67 disp. att. c.c., da quanto appena riferito si dovrebbe desumere che l’amministratore di condominio di uno degli edifici in supercondominio non possa assumere, contemporaneamente, l’incarico di rappresentante della compagine in seno all’assemblea supercondominiale.
 
Del resto, ci sarebbe un ulteriore dato testuale a conferma della necessaria alterità tra amministratore di condominio e delegato all’assemblea di supercondominio: il comma 4 dell’art. 67 disp. att. c.c. prevede infatti che «il rappresentante comunica tempestivamente all’amministratore di ciascun condominio l’ordine del giorno e le decisioni assunte dall’assemblea dei rappresentanti dei condominii». Andrebbe dunque da sé che le due figure non possano coincidere.

Fonte : condominioweb.com

Erogazioni e domande mutui, i dati Istat e Bankitalia segnalano una possibile ripresa

Erogazioni e domande mutui, i dati Istat e Bankitalia segnalano una possibile ripresa

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Dati sui mutui che indicano finalmente una possibile ripresa da qui a breve.

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Primi segnali positivi dal settore dei mutui casaDomanda di mutui prevista in crescita, erogazioni in calo ma meno di prima
dati più recenti sulle erogazioni dimutui casa indicano finalmente qualcosa di positivo, un cambiamento tendenziale che potrebbe essere l'inizio della ripresa del settore immobiliare, tra quelli principali per l'economia di un Paese e che in Italia risulta tra quelli più stagnanti degli ultimi anni. Vediamo dunque gliaggiornamenti diffusi dall'Istat e da Bankitalia.
Partiamo proprio con i dati dell'indagine sul credito bancario nell'area Euro, i cui numeri per l'Italia sono relativi alla partecipazione allo studio degli otto principali gruppi bancari del nostro Paese e che sono stati appena resi noti da Bankitalia: per quel che riguarda il terzo trimestre del 2013 si nota l'annullamento delle restrizioni alle condizioni di offerta dei mutui acquisto casa dedicati alle famiglie ed ai privati consumatori in genere (per prudenza però pensiamo si dovrebbe dire "allentamento delle restrizioni").
Anche se la domanda è rimasta debole, le attese sono per un aumento delle politiche di offerta da parte delle banche, tanto che per il quarto trimestre 2013, quello in corso, leprospettive sono per una crescita delle domande di mutui casa, evento che non si verifica dall'ormai lontano 2010.
Passiamo ora ai dati Istat sulle erogazioni dei mutui, diffusi in questa mattinata del 30 ottobre, i quali sono relativi ai primi sei mesi dell'anno in corso. Rispetto allo stesso periodo del 2012 la diminuzione è stata del 4,3%: un dato sì negativo ma che è comunque inferiore ai cali dei periodi passati, dunque analizzato in prospettiva e assieme a quelli diffusi dalla Banca d'Italia può essere letto in una luce più ottimistica.
Infatti se nel primo trimestre 2013 il calo è stato del 6,3%, poi nel secondo è stato "solo" del 2,4%, con però degli incrementi pari al 2,6% nel Nord Est e allo 0,2% nel Centro Italia.
Tenuto conto che ci sono interventi mirati al settore mutui nell'ambito del Piano Casa del governo Letta (cfr ad esempio: Mutui agevolati dalla CDP), si può ben sperare.
FONTE : SuperMoney

martedì 29 ottobre 2013

L’amministratore di condominio e responsabilità per la scelta della ditta appaltatrice dei lavori.

L’amministratore di condominio e responsabilità per la scelta della ditta appaltatrice dei lavori.

29/10/2013
Avv. Mauro Blonda


L’appalto dei lavori e la normativa vigente. Gli obblighi per il committente. In attuazione della Legge Delega n. 123/2007 il Governo emanò l’anno successivo il D. L.vo 09/04/2008 n. 81, col quale disciplinò in maniera sistematica la materia della sicurezza nei luoghi di lavoro: tra le varie problematiche toccate dal testo normativo emanato dall’Esecutivo vi è in particolare quella riguardante la responsabilità del “datore di lavoro” per l’esecuzione dei lavori appaltati alle ditte esecutrici.
 
L’art. 2 comma 1 lett. B del D. L.vo in parola specifica chi sia o cosa debba intendersi per datore di lavoro, chiarendo che si tratta del “soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore”, o comunque “il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”: in sostanza il datore di lavoro è il soggetto che conferisce l’incarico lavorativo (indifferente che venga affidato a un soggetto privato od a una ditta), ne cura l’esecuzione e ne paga il corrispettivo.
 
A tale ruolo sono connessi obblighi e responsabilità, tra le quali vi è, ai sensi di quanto previsto dall’art. 26 comma 1 lett. A del D. L.vo 81/2008 “la verifica dell'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione”: in pratica il datore di lavoro-committente, prima di affidare un incarico lavorativo, deve accertarsi che la ditta appaltatrice abbia le competenze tecniche per eseguirlo, rispondendo in caso contrario della cosiddetta “culpa in eligendo”.
 
L’amministratore quale committente delle opere da eseguirsi nel condominio. Anche l’amministratore di condominio ben può assumere la qualifica di “datore di lavoro” nei confronti dei soggetti di volta in volta incaricati di effettuare opere e lavori per il condominio: egli, pertanto, dovrà avere cura di effettuare i preventivi controlli imposti dalla norma citata nonché “fornire agli stessi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività” (D. L.vo 81/2008, art. 26 comma 1 lett. B).
 
In caso contrario egli risponderà direttamente per tali ed altre simili omissioni, ai sensi dell’art. 55 del D. L.vo 81/2008, con la pena dall’arresto da 2 a 4 mesi (o l’ammenda da un minimo di 750 ad un massimo di 6.000 euro, a seconda della prescrizione violata): la scelta, ad esempio, di una ditta priva dei requisiti minimi di affidabilità per il lavoro che le si intende affidare è punita con l’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.000 a 4.800 euro.
 
Questo principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione (sentenza 42347/2013), che ha ricordato appunto come “l'amministratore di un condominio assuma la posizione di garanzia propria del datore di lavoro nel caso in cui proceda direttamente all'organizzazione e direzione di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio stesso”.
 
Ciò, ribadisce la Suprema Corte nella medesima pronuncia, avviene anche nel caso di lavoro affidato in appalto, in quanto “tale evenienza non lo esonera completamente da qualsivoglia obbligo, ben potendo egli assumere, in determinate circostanze, la posizione di committente ed essere, come tale, tenuto quanto meno all'osservanza di ciò che è stabilito dall'art. 26 d.lgs. 81/2008”.
 
I limiti della delibera assembleare. La responsabilità dell’amministratore per la violazione delle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro, però, è ristretta al caso in cui egli affidi l’incarico lavorativo in piena autonomia, assumendosi pertanto le conseguenze dei poteri decisionali così impiegati. Diverso invece è il caso in cui l’appalto di uno o più lavori venga dato dall’amministratore in esecuzione di una precisa delibera dell’assemblea di condominio: in tale ipotesi infatti, l’amministratore non ha autonomia decisionale né operativa e, quale mandatario dell’assemblea, è per legge tenuto a dare esecuzione alla decisione da questa assunta.
 
Ciò, pertanto, lo esonera dalle responsabilità connesse, ad esempio, alla scelta della ditta, di cui non potrà penalmente rispondere proprio perché privo di potere decisionale e di autonomia operativa, avendo egli dato semplice esecuzione alla decisione assunta dall’organo assembleare.
 
Ove l’amministratore venga quindi chiamato a rispondere penalmente della violazione dei precetti sanciti dal D. L.vo in parola, il Giudice, ricorda la Cassazione nella richiamata sentenza, dovrà “considerare, però, che lo stesso ha agito nella peculiare qualità di amministratore di un condominio”: gli Ermellini ricordano infatti che “si tratta di circostanza di decisivo rilievo ai fini dell'affermazione di penale responsabilità, non potendosi prescindere dal ruolo effettivamente svolto dall'amministratore nella stipulazione del contratto e nella sua successiva attuazione, considerando anche l'ambito di autonomia di azione di cui egli eventualmente disponeva ed i poteri decisionali concretamente attribuiti” Pertanto nessuna sanzione penale per l’amministratore che viola le norme dettate dal D. L.vo 81/2008 se l’illecito è commesso in esecuzione di una valida delibera dell’assemblea condominiale cui egli era tenuto a dare esecuzione senza margini di discrezionalità ed autonomia.

Fonte : condominioweb.com

Revoca e nuova nomina illegittime per mancanza dei quorum deliberativi? Può dirlo solamente l’Autorità Giudiziaria e nel frattempo dev’esserci il passaggio di consegne

Revoca e nuova nomina illegittime per mancanza dei quorum deliberativi? Può dirlo solamente l’Autorità Giudiziaria e nel frattempo dev’esserci il passaggio di consegne


29/10/2013
di Alessandro Gallucci 


Un nostro lettore, a seguito di una diatriba con l’amministratore revocato, ci domanda:
 
Il 10 agosto scorso, in assemblea straordinaria convocata ai sensi dell'art. 66 per la nomina amministratore, abbiamo votato per la conferma dell’amministratore con il seguente esito: 200 millesimi a favore della conferma mentre 510 si sono dichiarati contrari. Di conseguenza è stato nominato un nuovo Amministratore che con oltre 700 millesimi ha accettato l’incarico.
 
Trascorsi dieci giorni dal fatto l’amministratore revocato comunica che una delega di un condomino che rappresenta circa 12 millesimi, non è regolare in quanto rilasciata da nominativo che ancora non aveva fatto stipulato il contratto di compravendita, insomma dal futuro e non dall’attuale proprietario. A conti fatti quindi la maggioranza che ha votato contro la conferma, non e’ di 510 ma di 498 millesimi e pertanto insufficiente alla revoca. Domanda: è come dice il vecchio amministratore ? L’impugnazione è comunque da proporre in Tribunale, da parte dell’amministratore revocato o soltanto da parte di un condomino?
 
Fino  al pronunciamento del Tribunale, rimane in carica il nuovo amministratore, oppure come dice quello revocato resta lui in prorogatio?
 
Nella stessa deliberazione abbiamo due distinte decisioni: 
 
la revoca;
la nuova nomina.

 
La prima, secondo quanto c’è stato riferito, è da ritenersi invalida, la seconda regolare.
 
Vediamo perché.
 
La questione riguarda tre aspetti:
invalidità della delibera;
legittimazione ad impugnare;
efficacia della delibera impugnata.

 
Invalidità della delibera
Quanto alla prima questione è facile rispondere che sicuramente una deliberazione i cui quorum non rispettano quelli indicati dalla legge (nel caso della nomina/conferma dell’amministratore maggioranza degli intervenuti all’assemblea ed almeno 500 millesimi) dev’essere considerata invalida e più nello specifico annullabile. La fonte di quest’affermazione risiede in una pronuncia delle Sezioni Unite secondo le quali “sono da ritenersi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarita' nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all'oggetto” (Cass. SS.UU. n. 4806/05).
 
Legittimazione ad impugnare
A mente dell’art. 1137 c.c.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
 
La norma si commenta da sé: se l’amministratore non è uno dei condomini assenti, dissenzienti ed astenuti non può impugnare la delibera.
 
Efficacia della delibera impugnata
Ai sensi del terzo comma dell’art. 1137 c.c.
L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria.
 
Anche qui il commento rischia di diventare ridondante: se non si chiede la sospensione della delibera o se la si richiede ma non viene concessa, l’amministratore revocato deve passare la mano.

Fonte : condominioweb.com

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