giovedì 28 gennaio 2016

Abusi edilizi, se lievi non incidono sulle compravendite

Abusi edilizi, se lievi non incidono sulle compravendite

di  Paola Mammarella
 

Cassazione: i contratti sono validi se le irregolarità non superano il 2% delle misure progettuali o se interviene la sanatoria

11/01/2016 – Sono valide le compravendite di immobili realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o che hanno ottenuto la sanatoria prima della conclusione del contratto. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 24852/2015.
 
In base al Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), per parziale difformitàsi intendono gli scostamenti, solitamente in aumento, rispetto ad altezze, volumetrie e superfici coperte fino al 2% rispetto a quelle dichiarate nel progetto.
 
Entro questi limiti, il preliminare di vendita è valido e si può procedere alla stipula del contratto definitivo. Se si supera invece la soglia della parziale difformità, il preliminare è considerato nullo. Per poter procedere alla compravendita è quindi necessario ottenere la sanatoria delle opere realizzate senza titolo abilitativo.
 
Nel caso preso in esame, una società di costruzione aveva stipulato unpreliminare di vendita per una villetta costruita regolarmente. Successivamente nell’immobile erano state effettuate delle modifiche interne non autorizzate, che però non ne modificavano la volumetria. Acquirente e venditore si erano quindi trovati in disaccordo e avevano chiesto che il contratto preliminare fosse dichiarato nullo.
 
I giudici hanno bocciato la richiesta spiegando che sono nulli solo gli atti che non contengono gli estremi del permesso di costruire o quelli della domanda di sanatoria edilizia. Questo perché l’acquirente deve conoscere le condizioni del bene acquistato e poter effettuare gli accertamenti sulla regolarità.
 
Oltre a questo caso, la Cassazione ha spiegato che si può riconoscere la nullità del preliminare di vendita quando le irregolarità sono rilevanti. Se, però, il Comune concede la sanatoria, si può procedere tranquillamente con la compravendita.

FONTE : EDILPORTALE

Sottotetti, per renderli abitabili è necessario il permesso del Comune

Sottotetti, per renderli abitabili è necessario il permesso del Comune

di  Paola Mammarella
 

Cassazione: in mancanza di autorizzazioni o in presenza di variazioni essenziali al progetto approvato si commette un abuso edilizio


28/01/2016 – Cambiare la destinazione d’uso di un sottotetto, rendendolo abitabile, implica un aumento della superficie utile e della volumetria. Per effettuare questo tipo di intervento è necessario attenersi strettamente al permesso del Comune altrimenti si rischia di essere accusati per aver commesso un abuso edilizio.
 
Il chiarimento è arrivato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 49583/2015.
 
Nel caso preso in esame, il Comune aveva accertato che il cambio di destinazione d’uso del sottotetto aveva determinato un aumento della superficie utile lorda e della volumetria maggiore del 5% rispetto a quella autorizzata con il permesso di costruire.
 
Il responsabile, punito con una multa, aveva presentato ricorso perché a suo avviso, durante lo svolgimento del giudizio, era stata approvata la legge Sblocca Italia (Legge 133/2014), in base alla quale sono consentiti i mutamenti di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale.
 
Anche se, dopo i lavori, l’immobile era rimasto in categoria residenziale, i giudici hanno sottolineato che dovevano essere prese in considerazione le violazioni al Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001) e al Regolamento edilizio comunale.
 
Ricordiamo che, in base al Testo unico dell’edilizia, sono ammesse variazionientro il 2% delle misure progettuali. Quelle rilevate dal Comune erano invece del 5%.
 
Ma non solo, perché oltre all’accorpamento del sottotetto non accessibile alle altre camere, con un conseguente aumento della volumetria e della superficie utile, era stata incrementata l’altezza del colmo della falda in modo da rendere più alti i locali.
 
I giudici hanno stabilito quindi che si era in presenza di variazioni essenziali al permesso di costruire. Per questo hanno bocciato il ricorso e condannato il responsabile al pagamento della multa.

FONTE : EDILPORTALE.COM

Come ripartire le spese delle parti esterne dei balconi


Come ripartire le spese delle parti esterne dei balconi





I balconi aggettanti sono degli accessori dei singoli appartamenti e, come tali, sono da considerare di proprietà esclusiva dei rispettivi condòmini. Tuttavia, per decidere la ripartizione delle spese occorre distinguere tra i lavori da eseguire:
a) quelli che incidono sulla interna struttura dei balconi al fine di consentirne l'utilizzo, che devono essere posti a carico dei singoli proprietari di essi;
b) quelli invece che attengono all'aspetto dei balconi medesimi e che concorrono a conferire e mantenere all'intero edificio le caratteristiche estetiche ed architettoniche della facciata del prospetto del palazzo e, quindi, di una parte comune di esso. Essi devono essere eseguiti secondo la volontà della maggioranza e posti a carico di tutti i condòmini in base alla tabelle millesimali.
È quanto stabilito dal Tribunale di Lecce con la sentenza del 6 ottobre 2015, emessa dal G.O.T. Avv. Alessandro De Lorenzi, che ringraziamo per la segnalazione.
Il provvedimento in commento applica un interessante principio, recentemente ribadito anche dal Tribunale di Bari (n. 1661 del 9 aprile 2015), oltre che dalla Cassazione (ex multis, n. 568/2000). Indipendentemente dal tipo di balconi (incassati o aggettanti), quando si tratta di intervenire sulle parti esterne degli stessi, che contribuiscono a definire l'aspetto estetico e/o architettonico della facciata, i lavori devono essere deliberati dall'assemblea e le relative spese ripartite tra tutti i condòmini. Il motivo? Semplice. Le parti che sporgono all'esterno concorrono a definire le linee architettoniche ed estetiche dell'intero edificio, influiscono cioè sul decoro architettonico della facciata. Si tratta, dunque, di parti comuni all'intera compagine condominiale ai sensi dell'art. 1117 c.c.
Il fatto–L'assemblea di condominio aveva ripartito i costi dei lavori di manutenzione dei balconi facenti parte del palazzo condominiale esclusivamente a carico dei singoli proprietari degli appartamenti a cui accedono. Quest'ultimi impugnavano la delibera assembleare, ritenendo, al contrario, che la spese necessarie per il ripristino e la manutenzione dei balconi dovevano essere ripartite a carico di tutti i condòmini e secondo le tabelle millesimali, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 9 del regolamento condominiale in tema di lavori relativi al “prospetto della facciata”.
Il Tribunale di Lecce ha accolto il ricorso e annullato la delibera.
È vero che i balconi aggettanti costituiscono un prolungamento della corrispondente unità immobiliare e appartengono in via esclusiva al proprietario di questa. Tuttavia, occorre distinguere, caso per caso,la tipologia di lavori che bisogna eseguire: se si tratta di lavori sulle parte interna della struttura, le spese sono a carico del proprietario esclusivo; se invece gli interventi incidono sull'estetica e le linee architettoniche della facciata esterna dell'edificio, alle relative spese devono partecipare tutti i condòmini.
Nel caso di specie, la delibera impugnata non ha distinto la natura dei lavori e gli effetti di essi. Essa si pone quindi in contrasto con l'art. 1123 c.c. Nel rispetto del criterio di distinzione innanzi esposto – conclude il giudice leccese – potranno essere posti a carico dei proprietari esclusivi solo i costi proporzionali dei lavori sulla struttura interna del balcone (nella specie, trattamento con convertitore di ruggine – tipo ferox – dei ferri di armatura delle solette, previa energica spazzolatura e sbruffatura con malta cementizia additiva”).

Scarica Tribunale di Lecce, del 6 ottobre 2015



























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lunedì 25 gennaio 2016

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Immobili concessi in comodato a figli e genitori. «Maglie strette» per le agevolazioni IMU eTASI

Immobili concessi in comodato a figli e genitori. «Maglie strette» per le agevolazioni IMU eTASI


Il Ministero dell'economia, in risposta ad un recente question time, è tornato sull'agevolazione introdotta dalla Legge di Stabilità per il 2016 a favore dei contribuenti che concedono l'unità immobiliare in comodato d'uso a figli o genitori. Il MEF ha annunciato che è allo studio la predisposizione di un documento di prassi che chiarirà le problematiche applicative di tale agevolazione. 
Il 21 gennaio il Ministero dell'economia, durante unquestion time in Commissione finanze della Camera, ha fornito la risposta all'interrogazione n. 5-07445 riguardante le agevolazioni introdotte dall'ultima Legge di Stabilità (legge n. 208/2015) a favore dei contribuenti che concedono una unità immobiliare incomodato d'uso a figli o genitori.
Come noto, il comma 10 dell'art. 1, della citata Legge di stabilità ha modificato il comma 3, dell'art. 13, del D.L. n. 201/2011 prevedendo, a partire dal 1° gennaio di quest'anno, una riduzione della base imponibile dell'IMU e, dunque, anche della TASI, nella misura del 50%, per le unità immobiliari che ove non considerate di pregio (cioè non rientranti nelle categorie A/1, A/8 ed A/9) siano concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta (entro il primo grado), vale a dire a figli o genitori.
I “paletti” imposti dal legislatore per la fruibilità del beneficio, oltre alla tipologia di immobile concesso in comodato, sono la registrazione del contratto e il possesso di un solo immobile in Italia del proprietario concedente, il quale deve essere residente anagraficamente nello Stato e deve dimorare abitualmente nel Comune ove è ubicato l'immobile concessoai parenti in linea retta di primo grado. Il beneficio fiscale si applica anche qualora il comodante disponga di un altro immobile destinato alla sua abitazione principale nello stesso Comune ove è ubicato quello concesso in comodato.
La disposizione di favore, quindi, non può interessare chi possiede ulteriori immobili, anche ove abbiano una destinazione non abitativa ovvero, qualora la abbiano, siano possedute pro quota (come nel caso frequente di immobili ricevuti per successione).
Altra ipotesi in cui sembrerebbe che la disposizione agevolativa non possa trovare concreta applicazione è il possesso di un secondo garage non rientrante nelle pertinenze dell'abitazione principale, il possesso di piccole quote di particelle di un terreno, di una cantina, oppure una quota, seppur ridotta, dei locali eventualmente anche ad uso abitativo destinati a servizi di portineria. La questione non appare di poco momento e, a nostro avviso, non sembrerebbe agevolmente superabile con un semplice documento di prassi del Dicastero competente annunciato nel question time.
Ciò perché la Legge di Stabilità 2016, riserva l'abbattimento del 50% dell'imponibile IMU/TASI alla circostanza che non siano posseduti altri <<immobili>> oltre a quello dato in comodato a genitori e figli e quello adibito ad abitazione principale propria. La formulazione della norma, quindi, non sembrerebbe lasciar spazio a nessuna interpretazione estensiva di favore contenuta nei documenti di prassi annunciati.
Detta disposizione agevolativa IMU-TASI, sul cui concreto appeal, quindi, si rimane perplessi soprattutto con riferimento all'ambito soggettivo di applicazione, ha già sollevato dubbi interpretativi sottoposti all'attenzione del Ministero. Infatti, nel question time gli Onorevoli interpellanti hanno chiesto al Governo “al fine di dare maggiore certezza ai contribuenti e ai comuni, per la presentazione del bilancio di previsione, se non ritenga opportuno emanare uno o più decreti attuativi volti a codificare la procedura per l'applicazione delle citate agevolazioni fiscali in materia di tassazione immobiliare, con particolare riferimento agli immobili concessi in comodato d'uso a figli o genitori, fornendo i necessari chiarimenti anche in relazione alle situazioni di dubbia interpretazione normativa…riguardanti la natura degli immobili e la decorrenza dell'agevolazione”.
Nel question time il MEF ha risposto che è allo studio la predisposizione di un documento di prassi, da parte del competente Dicastero, che chiarirà proprio le problematiche applicative al riguardo aggiungendo, per quanto riguarda l'emanazione di decreti attuativi di codificazione della procedura di applicazione delle nuove agevolazioni fiscali sugli immobili concessi in comodato ai parenti di primo grado in linea retta, che ai sensi dell'art. 13, comma 12 ter, del D.L. n. 201/2011, comunque i soggetti passivi sono tenuti a presentare la dichiarazione “entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell'imposta”.
Ne consegue, secondo il MEF, che il contribuente dovrà adempiere il proprio obbligo dichiarativo relativo all'annualità in corso entro il 30 giugno 2017 “attestando il possesso dei suddetti requisiti nel modello di dichiarazione di cui all'art. 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”. Spetterà all'Amministrazione finanziaria valutare l'opportunità di una eventuale modifica dei modelli dichiarativi: se quindi approntare un nuovo modello di dichiarazione, valido ai fini IMU/TASI, oppure continuare ad utilizzare quello di cui al D.M. 30 ottobre 2012. In quest'ultimo caso dovrà essere “spuntato” il campo 15 (esenzione) riportando nelle relative annotazioni che l'immobile è in possesso dei requisiti di cui alla lettera b), comma 2, dell'art. 13, del D.L. n. 201/2011 citato.



Mutui immobiliari ipotecari. Più trasparenza e protezione per i consumatori

Mutui immobiliari ipotecari. Più trasparenza e protezione per i consumatori


Garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili è la finalità della direttiva 2014/17/UE, il cui decreto legislativo di attuazione è stato approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri.
Oggetto e ambito di applicazione. Su proposta del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e del Ministro dell'economia e delle finanze, Pietro Carlo Padoan, è stato approvato dal Consiglio dei ministri, in esame preliminare, un decreto legislativo in attuazione delladirettiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 febbraio 2014.
Oggetto del decreto sono i contratti di credito ai consumatori, relativi a beni immobili residenziali, ma anche modifiche e integrazione del titolo VI-bis deldecreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, relativo alla disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, e del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141.
Nello schema di decreto è contenuto l'ambito di applicazione delle nuove norme, circoscritto a mutui aventi ad oggetto la concessione di credito garantito da ipoteca su un immobile residenziale e mutui finalizzati all'acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato.
In difesa dei consumatori. La direttiva si propone di garantire un alto livello di protezione ai consumatori che sottoscrivono contratti di credito su beni immobili, cioè mutui immobiliari garantiti da ipoteche o finalizzati all'acquisto del diritto di proprietà su un immobile.
Secondo la direttiva, il consumatore ha diritto a delle informazioni precontrattuali dettagliate su un Prospetto Informativo Europeo Standardizzato (PIES), a spiegazioni adeguate prima della conclusione del contratto di credito, nonché a chiarimenti relativi al calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG).
Canoni di comportamento. Lo schema di decreto individua, ancora, nella diligenza, nella correttezza, nella trasparenza e nell'attenzione ai diritti e agli interessi dei consumatori i canoni di comportamento che devono essere tenuti dai finanziatori e dagli intermediari del credito, che offrono contratti di credito ai consumatori.
Inoltre, viene indicato ai finanziatori e agli intermediari del credito di basare la propria attività informandosi sulla situazione del consumatore, tenendo conto di qualunque bisogno comunicato dal consumatore e formulando ipotesi ragionevoli circa i rischi ai quali è esposta la situazione del consumatore per la durata del contratto di credito.
Annunci pubblicitari. Il decreto legislativo contiene anche precise indicazioni sugli annunci pubblicitari relativi a contratti di credito, che devono risultare corretti, chiari e non ingannevoli. Insomma, non devono indurre il consumatore a false aspettative sulla disponibilità o sul costo del credito. Gli annunci pubblicitari che riportano il tasso di interesse o altre cifre relative al costo del credito, poi, devono riportare questi dati in maniera precisa, evidenziata e, a seconda del mezzo usato, facilmente leggibile o udibile.
Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), su proposta della Banca d'Italia, può intervenire nella precisazione delle caratteristiche degli annunci pubblicitari, delle relative modalità di divulgazione e dei criteri per la definizione dell'esempio rappresentativo.
Divieto delle pratiche di commercializzazione abbinata. Infine, è previsto il divieto delle cosiddette pratiche di commercializzazione abbinata, che consistono nell'offerta o commercializzazione di contratti di credito assieme ad altri prodotti o servizi finanziari distinti, se questi ultimi sono obbligatori per la conclusione del contratto.



Fonte :  http://www.condominioweb.com/mutui-immobiliari-ipotecari-pi%F9-trasparenza-e-protezione-per-i-consumatori.12365#ixzz3yGFhh4VT
www.condominioweb.com 




Il Comune non può negare l'installazione di un montascale

Il Comune non può negare l'installazione di un montascale


Il Tar di Milano ha annullato il diniego del comune del permesso di costruire per la realizzazione di una piattaforma elevatrice all'interno di un edificio condominiale.
I proprietari di un appartamento in un edificio condominiale chiedono al Comune il rilascio di permesso di costruire per la
realizzazione di una piattaforma elevatrice nel vano scale condominiale, ed a tal fine allegano all'istanza anche la delibera dell'assemblea condominiale.
Il Comune riscontra l'istanza e chiede che siano apportate delle modifiche al progetto in modo da rispettare le prescrizioni previste dal Regolamento edilizio durante la fase di esecuzione di tale opera, mentre con una successiva nota comunica agli istanti il diniego del permesso di costruire, rilevando che la concessione del permesso di costruire in deroga rispetto a quanto previsto dal Regolamento edilizio sarebbe stata possibile “solo in assenza di ogni altra possibilità di garantire il diritto inviolabile ad una normale vita di relazione”. A conferma di tale scelta l'ente suggerisce agli istanti che avrebbero potuto realizzare, in sostituzione di una rampa elevatrice, una struttura mobile e facilmente removibile nel servo scala dell'edificio condominiale opera quest'ultima per la quale non era necessario ottenere alcun permesso di costruire, senza motivare in concreto le ragioni del diniego del permesso a costruire per la realizzazione dell'opera prospettata dagli istanti.
In pratica in base a tali valutazioni il Comune ha comunicato agli istanti il proprio diniego del permesso di costruire: divenuto oggetto di impugnazione dinanzi al Tar il quale osserva che i proprietari dell'appartamento al momento della presentazione dell'istanza al comune per la realizzazione della rampa elevatrice, allegavano una relazione tecnica particolarmente accurata che specificava che la realizzazione di tale opera era l'unica scelta praticabile precisando nel dettaglio le ragioni tecniche per le quali l'installazione di un montascale in sostituzione della rampa elevatrice non sarebbe stata possibile.
Tuttavia, a fronte di tale dettagliata relazione allegata all'istanza presentata dai proprietari, il Comune si è semplicemente limitato solo a comunicare agli istanti con nota, a sostegno del proprio diniego del permesso di costruire, la previsione contenuta nell'art. 78 del Dpr 380/2001 e cioè una disposizione che si riferisce alla possibilità di libera installazione di servo scala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili.
I giudici precisano che “tale soluzione (installazione di un servoscala in sostituzione della rampa elevatrice) non è stata classificata quale alternativa tecnica effettivamente praticabile ed idonea a consentire il rispetto della disciplina regolamentare, bensì come una soluzione che avrebbe consentito di evitare tanto il rilascio della concessione edilizia, quanto quello dell'assenso dell'assemblea condominiale”.
Secondo i giudici del Tar l'esistenza di un'astratta ipotesi progettuale tale da non richiedere alcun titolo edilizio può essere assimilata più che altro ad un mero suggerimento formale dell'Ufficio tecnico ai proprietari dell'immobile che hanno presentato l'istanza per il permesso di costruire la rampa elevatrice. In realtà l'Amministrazione in tal caso non poteva sottrarsi dal verificare se sussistevano o meno le condizioni per la realizzazione dell'intervento richiesto, e se la rampa elevatrice non poteva essere realizzata avrebbe dovuto comunicare nel dettaglio le ragioni tecniche che avevano determinato la scelta di autorizzare un altro intervento ossia quello della realizzazione del servo scala.
In base a tali motivazioni il Tar ha annullato il diniego del permesso a costruire la rampa elevatrice osservando che nell'istruttoria l'ente avrebbe dovuto essere coinvolgere l'interessato per verificare se il montascale, nel caso specifico, era in grado di soddisfare le esigenze della persona con difficoltà motorie, rilevando che un semplice suggerimento non è in grado di motivare un atto amministrativo ossia il diniego del permesso alla realizzazione della rampa elevatrice richiesta dai proprietari di un immobile per facilitare l'accesso all'abitazione di un soggetto disabile.
Scarica TAR Lombardia, Milano, sez.II, 3.7.2015 n. 1541














mercoledì 13 gennaio 2016

Nullo il preliminare se non preceduto dalla polizza fideiussoria che il costruttore deve consegnare all'acquirente. Immobili da costruire.

Nullo il preliminare se non preceduto dalla polizza fideiussoria che il costruttore deve consegnare all'acquirente. Immobili da costruire.


La sentenza della Corte di Appello di Lecce applica la disciplina prevista dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 122/ del 2005 stabilendo la nullità del contratto preliminare stipulato senza aver osservato l'obbligo di consegnare all'acquirente, prima della stipula del contratto, una polizza fideiussoria.
La disciplina. Il decreto legislativo n. 122 del 2005 contenente “Disposizioni per la tutela dell'acquirente di immobili da costruire” ha introdotto nel nostro ordinamento una normativa protesa a regolarel'acquisto di immobili da un'impresa costruttriceprevedendo una serie di norme finalizzate a contenere i rischi connessi a tale tipo di operazione. Prima dell'avvento di tale intervento normativo varie erano le problematiche connesse all'acquisto di immobili da costruire, ove l'acquirente acquista “su carta” un immobile versandone il relativo acconto e riservandosi, in seguito all'avanzamento dei lavori, di versare le rate successive. Ovviamente tale operazione giuridica, fino all'avvento del decreto n. 122, presentava notevoli rischi per l'acquirente esposto alla possibilità che l'impresa costruttrice potesse essere coinvolta in situazioni pericolose (crisi, indebitamento, fallimento) (Tribunale di Brescia, 23 maggio 2014).
Con l'avvento del decreto legislativo n. 122 del si assiste alla disciplina di nuove forme di tutela per gli acquirenti di immobili da costruire fra le quali rientra quella prevista dall' 2 del decreto legislativo n. 122/2005 che prevede l'obbligo del costruttore di consegnare all'acquirente una polizza fideiussoria a pena di nullità del contratto. (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 4.6.2013; Trib. Monza Sez. I, 10-05-2014). Oltre alla fideiussione il decreto legislativo n. 122 del 2005 prevede anche un'altra forma di garanzia in favore dell'acquirente e cioè la polizza assicurativa che, ai sensi dell'art. 4, il costruttore ha l'obbligo di consegnare al promissario acquirente al momento della stipula del contratto. La finalità di tale polizza è proprio quella di, compresi i danni a terzi, che potrebbero verificarsi nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori. E' bene precisare, inoltre, che il decreto legislativo 122 del 2005 è stato oggetto di modifiche ad opera del decreto legge n. 47 del 2014 ( convertito in legge n. 80/2014) che introducendo il comma 1 bis all'art. 5 ( del d.lgs. 122/2005) ha disposto il divieto di rinuncia alla tutele previste da tale decreto ( d.lgs.122) stabilendo la conseguente nullità di ogni clausola contraria che, pertanto, dovrà considerarsi come non apposta.
La sentenza. Nel caso giunto all'esame della Corte d'appello pugliese una ditta costruttrice chiedeva la riforma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato nullo il contratto preliminare di vendita di un immobile poiché, la polizza fideiussoria, era stata consegnata dal costruttore all'acquirente solo dopo la stipula del contratto, violando in tal modo la prescrizione prevista dall'art. 2 del D.lgs. 122/2005.
Secondo la società costruttrice, che ricorreva in appello chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, doveva considerarsi irrilevante il rilascio della polizza fideiussoria in data posteriore rispetto alla stipula del contratto preliminare che disponeva la vendita dell'immobile da costruire.
La Corte di appello, attraverso la sentenza in commento, respinge le doglianze mosse dall'impresa costruttrice alla pronuncia di primo grado, e conferma la nullità del preliminare intercorso fra quest'ultima ed il promittente acquirente dato che la fideiussione era stata rilasciata dall'impresa solo dopo la stipula del contratto preliminare violando palesemente quanto espressamente sancito dall'art. 2 del decreto legislativo n. 122/2005.
La sentenza in commento, inoltre, precisa che la nullità del preliminare non può essere sanata neanche dal successivo contegno delle parti ed in particolare della promittente venditrice che, dopo la stipula del preliminare, ha consegnato al promissario acquirente una polizza fideiussoria.
Per quanto concerne, invece, il presupposto che giustifica l'operatività della disposizione prevista dall'art. 2 del decreto legislativo n. 122 del 2005, con tutti gli oneri a carico del costruttore primo fra tutti quello di consegnare all'acquirente la polizza fideiussoria: è indispensabile che ricorra una condizione e cioè che si tratti di immobili per i quali, ai sensi dell'art. 1 del decreto in questione, sia stato richiesto il permesso di costruire. Pertanto la Corte d'appello esclude che la nullità possa coinvolgere anche il preliminare di permuta poiché questo era stato stipulato dalle parti prima della richiesta del permesso di costruire.
La conferma della nullità del preliminare stipulato violando l'obbligo del costruttore di rilasciarepreventivamente la fideiussione, ad opera della sentenza in commento, comporta come conseguenza l'obbligo dell'impresa costruttrice di restituire l'acconto ricevuto dal promittente acquirente maggiorato degli interessi legali calcolati a partire dal giorno del pagamento.
In sintesi, quindi, nella vendita di immobili da costruire dopo la richiesta del permesso di costruire incombe sul costruttore l'obbligo di consegnare all'acquirente, prima della stipula del contratto che abbia ad oggetto il suo trasferimento non immediato, una polizza fideiussoria e l'inadempimento di tale obbligo comporta la nullità del contratto che, ricordiamo, può essere fatta valere unicamente dall'acquirente.
Scarica Corte d'appello di Lecce, sez. civ., II, 14.5.2015, n. 222








Il mancato isolamento acustico di un immobile fa scattare l'azione per gravi difetti

Il mancato isolamento acustico di un immobile fa scattare l'azione per gravi difetti





Il mancato isolamento acustico di un immobile rientrano nel novero dei gravi difetti costruttivi disciplinati dall'art. 1669 del codice civile e, se pregiudicano il godimento e l'utilizzazione delle unità abitative, legittimano l'esercizio dell'azione nei confronti dei soggetti responsabili.
Prima di soffermarsi sulla vicenda giunta al vaglio del Tribunale di Roma, è bene dedicare qualche breve cenno alla gravi difetti costruttivi disciplinati dall'art. 1669 del codice civile. L'art. 1669 del codice civile rovina e difetti di cose immobili stabilisce che “Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.


Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia
In pratica tale norma stabilisce tre aspetti:
1. che se entro dieci anni dalla realizzazione di un immobile si manifestano gravi difetti dell'opera l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente (In tema di gravi difetti dell'opera si segnala fra le pronunce più recenti Trib. Grosseto, 01-08-2015 che include nella nozione di grave difetti anche le carenze costruttive);
2. La denunzia del committente deve essere effettuata entro un anno dalla scoperta del vizio;
3. E il diritto del committente ad instaurare ad esempio la relativa azione giudiziaria volta ad accertare le responsabilità ed ad ottenere il risarcimento dei danni patiti si prescrive entro un anno dalla denunzia. (sui tre termini previsti dall'art. 1669 c.c. vedasi: Trib. Ivrea, 03-06-2015)
Il caso. I proprietari delle singole unità immobiliari di un edificio citano in giudizio la società appaltatrice dei lavori di ristrutturazione, il progettista, il direttore dei lavori nonché i tecnici incaricati di redigere la relazione sui requisiti acustici dell'immobile al fine di ottenere una sentenza di condanna per il risarcimento dei danni derivanti dai gravi difetti dei loro immobili scaturenti dal mancato isolamento acustico e dal mancato rispetto dei parametri previsti dal DPCM del 5.12.1997. A tal fine gli agguerriti proprietari deducono l'intollerabilità del livello di rumorosità percepito nelle singole unità abitative determinato dalla mancata insonorizzazione dell'edificiocon corrispondente diminuzione di valore dello stesso. A fronte di tale situazione i proprietari delle singole unità abitative hanno chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali subiti nonché i danni non patrimoniali scaturenti dalla prolungata esposizione al rumore.
Instaurato il giudizio si costituiscono i vari convenuti, ed il progettista ed il direttore dei lavori contestano le richieste degli attori ed eccepiscono la decadenza dall'azione ex art. 1669 c.c. in considerazione della tardività della denuncia e della proposizione della successiva azione giudiziaria.
La sentenza. Il Tribunale di Milano, ha rilevato in primo luogo l'infondatezza dell'eccezione di decadenza e prescrizione dell'azione e riportandosi all'orientamento espresso in tema di prescrizione dell'azione ex art. 1669 c.c. ha puntualizzato che il termine di un anno per la proposizione dell'azione in questione decorre dalla scoperta del vizio osservando che il dies a quo di decorrenza di tale termine “va fatto risalire al momento in cui il danneggiato dispone di sufficienti elementi conoscitivi in relazione sia alla gravità dei difetti costruttivi, sia al collegamento causale tra i vizi e l'attività progettuale costruttiva espletata” (Cass. civ. sez. II, 19.10.2012 n. 18078; Cass. sez. II, 1.02.2008 m. 2460).
Dopo aver chiarito che la natura del vizio denunciato mancato isolamento acustico dell'immobile richiedeva degli accertamenti tecnici e che pertanto solo al termine degli stessi gli attori sono stati pienamente a conoscenza dei vizi in questione, la sentenza evidenzia che essendo stata la relazione redatta nel maggio del 2010 e la denuncia è stata effettuata nel giugno dello stesso anno e l'azione, e cioè la notifica dell'atto di citazione, è stata instaurata nel dicembre dello stesso anno non vi era alcun dubbio sul rispetto dei termini previsti dall'art. 1669 c.c.
Nel merito, invece, la sentenza del Tribunale di Milano attraverso una dettagliata ricostruzione dei fatti di causa, dei rilievi effettuati dalla consulenza tecnica d'ufficio che ha messo in luce la mancata esecuzione delle opere necessarie per l'isolamento acustico dell'immobile, si conclude con la condanna a titolo di concorso della ditta appaltatrice dei lavori di ristrutturazione dell'edificio, del direttore dei lavori e di tutti qui soggetti che a vario titolo hanno contributo, per colpa professionale, alla determinazione dell'evento dannoso. (Cass. sez. II, 16.2.2006 n. 3406; Cass. civ. sez. II, 21.5.2012 n. 8016)
In pratica la sentenza, condividendo le conclusioni alle quali è giunta la CTU, colloca nel novero dei gravi vizi ai quali fa riferimento l'art. 1669 del codice civile anche l'inadeguato isolamento acustico dell'immobile allineandosi in tal modo con l'orientamento ormai prevalente della giurisprudenza di legittimità secondo cui la nozione di difetto di costruzione ricomprende anche alterazioni che non investono parti essenziali dell'immobile “ma quegli elementi secondari o accessori funzionali all'impiego duraturo dell'opera e tali da incidere in modo considerevole sul godimento dell'immobile” (Cass. civ. sez. II, 4.10.2011 n. 20307; Cass. civ. sez.II, 19.2.2007 n. 3752)
Non vi è dubbio quindi, anche il mancato isolamento acustico rientra fra i gravi difetti dell'immobile e legittima il proprietario dell'unità immobiliare ad agire nei confronti di tutti quei soggetti che, a vario titolo, hanno contribuito a determinare l'evento dannoso (ditta appaltatrice, direttore dei lavori, progettisti, tecnici incaricati della redazione della relazione sull'isolamento acustico dell'edificio).
Scarica Tribunale di Milano, sez. VII, 13 novembre 2015, n. 12818







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