giovedì 24 settembre 2015

Chi paga la sostituzione della ringhiera del balcone aggettante?


Chi paga la sostituzione della ringhiera del balcone aggettante?




La ringhiera del balcone aggettante di un appartamento in condominio dev'essere considerato parte comune e quindi la spesa per la sostituzione suddivisa tra tutti i condòmini?
Oppure è elemento di proprietà individuale con conseguente addebito del costo al singolo condomino?
A dirla tutta in questo ultimo caso non solamente il costo sarebbe a carico del condomino, ma anche la decisione sulla sua sostituzione.
Insomma nel caso in cui si considerasse la ringhiera di proprietà esclusiva, l'assemblea non avrebbe possibilità di decidere in merito alla sua sostituzione.
Per rispondere al quesito (spesso posto nel nostro forum), non possiamo fare a meno di riprendere ladefinizione di balcone aggettante (elaborata da dottrina e giurisprudenza) e la valutazione della condominialità delle sue parti elaborata dalla Corte di Cassazione (vista l'assenza di una normativa di riferimento).
Il balcone aggettante è quel manufatto che sporge rispetto alla facciata dell'edificio e costituisce un prolungamento dell'unità immobiliare dalla quale è possibile accedervi.
Essi, afferma ormai da anni la Corte di Cassazione, “non sono necessari per l'esistenza o per l'uso, e non sono neppure destinati all'uso o al servizio dell'intero edificio: è evidente, cioè, che non sussiste una funzione comune dei balconi, i quali normalmente sono destinati al servizio soltanto dei piani o delle porzioni di piano, cui accedono” (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637).
La sostanziale assenza di utilità comune dei balconi aggettanti, considerati nella loro interezza, non elimina la possibile condominialità di alcune loro parti.
In particolare, è sempre la Cassazione a parlare, “i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole (v., da ultimo, Cass. 23 settembre 2003 n. 14076)” (così Cass. 30 luglio 2004, n. 14576).
Rivestimenti ed elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, il così detto sottobalcone.
Insomma se queste parti assumono particolare rilevanza rispetto all'estetica del fabbricato (connotandola e diventandone parte integrante) allora devono essere considerata di proprietà comune. In conseguenza di ciò:
a) l'assemblea diviene competente a deliberare sugli interventi di manutenzione (ergo riparazione o sostituzione);
b) la spesa diviene spesa condominiale e, salvo diverso accordo tra le parti, va ad essere ripartita in ragione dei millesimi di proprietà (art. 1123, primo comma, c.c.).
Le sentenze, abbiamo visto, parlano di elementi decorativi di parte frontale ed inferiore, quasi ad operare una distinzione tra questi e la parte strutturale (es. parapetto). E qualora sia l'intera parte frontale (o inferiore) ad assumere nella sua interezza valore estetico tale da far considerare essa nella sua interezza parte comune? Il caso della ringhiera è proprio la rappresentazione plastica di tale situazione. Si pensi ad una ringhiera che presenti una particolare lavorazione.
In tale ultima ipotesi, allora, la ringhiera è da ritenersi bene comune con le conseguenza appena descritte.
La valutazione della condominialità, che in questo caso coincide con la valutazione dell'incidenza sul decoro dello stabile, nel caso di contrasti, è rimessa all'Autorità Giudiziaria.


Fonte : http://www.condominioweb.com/spesa-sostituzione-ringhiera-del-balcone.12095#ixzz3meqtQv1R
www.condominioweb.com 

Come calcolare il numero dei condòmini?

Come calcolare il numero dei condòmini?


Qual è il modo esatto per calcolare il numero dei condòmini, cioè delle persone che partecipano alla compagine?
Se una persona è proprietaria di più unità immobiliari, conterà come un solo condomino o per tanti condòmini quante sono gli appartamenti di sua proprietà?
E se un appartamento è in comunione tra più persone (ipotesi più ricorrente quella della comunione tra i coniugi), essi dovranno essere considerati un solo condomino o ciascuno entrerà a far parte singolarmente del conteggio dei partecipanti al condominio?
La questione non è di poco conto giacché da questo calcolo discendono delle conseguenze non indifferenti.
La nomina dell'amministratore è obbligatoria solamente se il numero dei condòmini è superiore ad otto (art. 1129, primo comma, c.c.).
Dall'obbligatorietà della nomina discende, se non vi provvede l'assemblea, il diritto dei condòmini, anche singolarmente, di rivolgersi al Tribunale per addivenire alla così detta nomina giudiziale; in caso di numero inferiore a tale soglia, tale ricorso è precluso.
Altro caso: il regolamento condominiale. Esso, specifica l'art. 1138, primo comma, c.c. è obbligatorio quando il numero dei condòmini è superiore a dieci (quindi undici).
Prendendo spunto dagli esempi di cui sopra, in un condominio con undici unità immobiliari, tre delle quali appartenenti alla stessa persona, il numero dei condòmini dovrà essere considerato pari ad otto. Sul punto la legge non ammette dubbi: ciò che conta, ai fini del soglie superamento delle soglie che fanno divenire obbligatoria la nomina dell'amministratore e l'adozione del regolamento è il numero di persone e non delle unità immobiliari.
E se ci sono otto appartamenti uno dei quali in proprietà a due persone? I condòmini dovranno essere considerati otto, oppure nove con conseguente obbligo di nomina dell'amministratore?
Al riguardo, ad avviso di chi scrive, l'art. 67 disp. att. c.c. contiene la risposta inequivocabile a questo dubbio.
Recita la norma:
Qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea […]” (art. 67, secondo comma, disp. att. c.c.).
Dal dettato normativo emerge chiaramente che ai più comproprietari corrisponde un solo votoergo quei comproprietari, ai fini del conteggio che condòmini partecipanti, dovranno essere considerati al pari di un unico condomino. Allo stesso modo si dovrà ragionare rispetto all'ipotesi dell'appartamento concesso in usufrutto (cfr. art. 67, sesto e settimo comma, c.c. e Cass. n. 124/78).
Di conseguenza in un condominio che conta otto unità immobiliari, delle quali una in comproprietà tra due persone, il numero dei condòmini dovrà essere considerato pari otto.
Resta fermo, in capo all'amministratore l'onere di convocare tutti i comproprietari; tale onere può dirsi assolto anche se l'avviso di convocazione è stato inviato ad uno solo di questi, purché la situazione concreta possa portare a presumere che tale comunicazione sia stata conosciuta dagli altri (il caso dell'appartamento tra i coniugi conviventi, cfr. Cass. ult. cit.).



Scioglimento del condominio, è possibile ripensarci?

Scioglimento del condominio, è possibile ripensarci?


Cari amici di Condominioweb, vi scrivo per sapere che cosa si può fare se vogliamo tornare indietro dalloscioglimento del condominio. Mi spiego meglio.
Abito in un condominio un po' particolare. Ci sono quattro palazzine. Quella in cui abito io non ha amministratore perché siamo solamente cinque condòmini, le altre, che hanno nove condòmini, hanno tutte un amministratore.


In pratica due anni fa sono stato convinto da un mio vicino a votare per lo scioglimento del condominio. Lui diceva che siccome avevamo in comune solamente il viale d'ingresso pedonale e quello ai box, avremmo continuato a pagare le spese per quelle cose, ma che per il resto non avremmo più dovuto partecipare a nulla.
Così, come vi dicevo, l'assemblea ha deliberato lo scioglimento del condominio ed in effetti, almeno nel primo periodo, il risparmio s'è fatto notare. Il problema, però, è che con il risparmio sono arrivati anche i disservizi. L'impresa che puliva le scale interne alla nostra palazzina ha smesso di farlo. In effetti avremmo dovuto rinegoziare il contratto come autonomo condominio.
Se si fulmina una lampadina per le scale molto spesso il buio regna sovrano per giorni e giorni; per poi non parlare della difficoltà a raccogliere le somme per il pagamento delle fatture d'acqua e della manutenzione ascensore. In quest'ultimo anno abbiamo rischiato per ben due volte la sospensione dei servizi!
Allora mi domando: siccome nella mia palazzina non c'è voglia di nominare un nostro amministratore, possibile tornare indietro, non so, ad esempio, sostituendo quella delibera o votando la riunione dei vari condominii?
Sullo scioglimento del condominio abbiamo due ipotesi (cfr. artt. 61-62 disp. att. c.c.):
a) quella deliberabile esclusivamente dall'assemblea in quanto necessitante anche di opere fisiche necessarie ad addivenirvi;
b) quella deliberabile dall'assemblea o disposta dall'Autorità Giudiziaria, anche nonostante lo scioglimento alcune parti restino comuni ai nuovi edifici.
Nella prima ipotesi (cioè sia in prima, sia in seconda convocazione) è sempre necessario un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio, mentre nel secondo caso basta il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti alla riunione e la metà del valore millesimale dell'edificio.
Deliberato o disposto lo scioglimento, come si suole dire, ognuno va per la sua strada (salvo per le eventuali parti comuni ancora esistenti). Ciò vuol dire che se prima della divisione, ad esempio, palazzina A e B rappresentavano un unico condominio, dopo tale delibera palazzina A e B raggiungono la reciproca autonomia giuridica (ferme restando le eventuali eccezioni summenzionate).
In questo contesto, pertanto, non è possibile pensare che si possa addivenire alla sostituzione della delibera, perché la compagine che l'aveva deliberata non esiste più. Né si può pensare a tornare a considerare queste compagini come un unico condominio in assenza di cose comuni (salvo quelle ancora in condominio tra i vari edifici) che legittimo l'applicazione di quella normativa. In buona sostanza, nessun diritto di ripensamento.


Tubature inesistenti. Accolta l'azione di riduzione del prezzo dell'immobile acquistato

Tubature inesistenti. Accolta l'azione di riduzione del prezzo dell'immobile acquistato



Una sentenza del Tribunale di Milano affronta il tema della garanzia per vizi nell'ipotesi di compravendita immobiliare evidenziando i presupposti che devono sussistere per l'operatività della garanzia per vizi.
Tizio decide di acquistare un immobile da Caio, e prima di procedere alla stipula del contratto prende visione dell'immobile verificandone le caratteristiche rendendosi conto anche dell'assenza della vasca da bagno che Caio si impegna ad installare prima della stipula del rogito.
Dopo aver acquistato l'immobile, resosi conto che lo stesso presentava una serie di vizi, decide di citare in giudizio Caio il venditore), chiedendo la riduzione del prezzo, sostenendo che la sua abitazione presentava:
a) vizi al bagno ove le tubature di acqua calda e fredda non raggiungevano la vasca;
b) vizi all'impianto elettrico e del gas;
c) vizi al vano porta della cucina;
d) vizi ad un muro divisorio realizzato in cartongesso anziché in muratura. Il venditore si oppone eccependo la decadenza della garanzia e la conoscenza dei vizi da parte del compratore al momento della stipula del contratto.
Prima di soffermarsi sulla sentenza che decide tale vicenda è bene soffermarsi sulla garanzia per vizi nella compravendita.
Il codice civile disciplina la garanzia per vizi all'art. 1490 che al primo comma stabilisce che “Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”.
Tale garanzia è esclusa se al momento del contatto il compratore conosceva i vizi della cosa o se gli stessi erano facilmente riconoscibili salvo che il venditore dichiari che la cosa sia esente da vizi ( art. 1491)
L'art. 1492 del codice civile, disciplinando gli effetti della garanzia, stabilisce che il compratore può richiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo.
Infine il compratore decade dal diritto alla garanzia se non denuncia i vizi entro otto giorni dalla scoperta;, tale termine decorre per i vizi apparenti dalla consegna della cosa, mentre per i vizi occulti lo stesso termine decorre dal momento in cui gli stessi sono riconoscibili per il compratore. ( art. 1495 c.c.)
La sentenza del Tribunale meneghino, riportandosi ai precedenti in materia , ha effettuato alcune precisazioni escludendo nel caso giunto al suo esame la garanzia per vizi in gran parte dei vizi sopra elencati ritenendola sussistente, invece, solo per il vizio relativo all'assenza di tubature di acqua calda e fredde nella vasca del bagno.
Ma è bene procedere per gradi per comprendere chiaramente il ragionamento seguito dal giudice della quarta sezione civile del Tribunale di Milano.
Per quanto riguarda i vizi dell'impianto elettrico e del gas, della struttura in cartongesso e non in muratura di un muro divisorio, ed i vizi alla porta della cucina, la sentenza evidenzia:
a) la decadenza dall'azione di garanzia tenendo conto che si tratta di vizi apparenti facilmente riconoscibili dal compratore;
b) la mancanza di prova riguardo alla gravità dei vizi denunciati, e quindi l'inesistenza delle condizioni richieste dall'art. 1490 c.c. per l'operatività della garanzia per vizi ossia il fatto che gli stessi vizi rendano inidonea all'uso la cosa venduta;
c) riguardo al muro divisorio in cartongesso, tenendo conto che il compratore si era già reso conto prima del contratto della natura del muro , questo implica che egli era a conoscenza dell'esistenza del vizio di conseguenza era esclusa l'operatività della garanzia. (art. 1491 c.c.)
L'unico vizio, a parere della pronuncia in commento, è quello consistente nella mancanza di tubature alla vasca da bagno dato che le prove assunte in giudizio risulta che l'attore non era decaduto dalla garanzia tenendo conto della natura del vizio e del tempo occorso per la scoperta dello stesso.
Proprio per tale vizio, ribadisce la sentenza, la difesa di parte convenuta (venditore) non è stata in grado di escludere tale vizio, dato che dalle prove assunte è emerso che il venditore non aveva ancora installato la vasca al momento della stipula del contratto ed è quindi apparso verosimile che malgrado l'installazione successiva lo stesso non abbia provveduto a collegare le tubature della stessa con gli altri sanitari del bagno.
Pertanto considerata l'esistenza di tale vizio la sentenza conclude con l'accoglimento dell'azione di riduzione del prezzo dell'immobile acquistato in percentuale pari rispetto alla menomazione subita dal bene compravenduto.
Tribunale di Milano, IV sez. civ., 1 4.4.2015, n.4625


Fonte : http://www.condominioweb.com/mancano-le-tubature-si-alla-riduzione-del-prezzo-dellimmobile.12100#ixzz3melswjHP

venerdì 18 settembre 2015

Riforma Catasto, Ministero Economia: nessun aumento della pressione fiscale



Riforma Catasto, Ministero Economia: nessun aumento della pressione fiscale

di Alessandra Marra



I geometri propongono sgravi fiscali per coinvolgere i cittadini nella riclassificazione degli immobili


16/06/2015 – Invarianza di gettito senza alcun aumento della pressione fiscale, dialogo con enti locali e cittadini per una procedura partecipata diriclassificazione degli immobili.

Questi alcuni argomenti trattati nel corso del convegno del 12 giugno 2015 “Il nuovo Catasto: cosa cambia per il cittadino, per il professionista, per l’amministratore pubblico” promosso dal Vice Ministro della Giustizia,Enrico Costa, che ha visto la partecipazione anche del Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze, Luigi Casero, e il Presidente del Consiglio Nazionale Geomentri e Geometri Laureati, Maurizio Savoncelli, il Direttore Centrale Catasto e Cartografia dell’Agenzia delle Entrate, Franco Maggio; il Presidente di Confedilizia,  Giorgio Spaziani Testa; un esperto in finanza locale, Maurizio Delfino. 

Nuovo catasto: i soggetti interessati

Il confronto ha toccato gli aspetti tecnici interpretativi e normativi di un intervento che riguarda una platea di oltre 20 milioni di persone, proprietarie di circa 62 milioni di unità immobiliari. Questi numeri importanti per essere affrontati e gestiti hanno bisogno di una collaborazione virtuosa tra professionisti, cittadini e amministrazioni.

Nell’introdurre i lavori, il Vice ministro Enrico Costa ha sottolineato questo aspetto ribadendo l’importanza di coinvolgere gli interlocutori più autorevoli (come i professionisti, gli enti locali e i cittadini) e di dialogare costantemente con “il territorio”.

Il Viceministro ha dichiarato: “Si tratta di una riforma che non riguarda solo i professionisti ma anche amministrazioni, comuni, cittadini e proprietari edilizi. Abbiamo cercato di mettere intorno ad un tavolo tutti gli attori coinvolti. Inviteremo esperti urbanisti e anche coloro che ci consentiranno di creare un collegamento con le amministrazioni locali, anche dal punto di vista fiscale.

Riforma catasto: invarianza del gettito fiscale

Il Vice ministro Luigi Casero ha ribadito la necessità che la riforma del catasto sia condotta in base al principio dell’invarianza di gettito, senza alcun aumento della pressione fiscale. Secondo Casero sarà finalmente possibile superare un sistema che nei decenni ha prodotto fortissime iniquità e sperequazioni a livello territoriale, minando il rapporto con il contribuente.

Casero ha dichiarato: “A causa del vecchio sistema case uguali sono state valutate in maniera differente; bisogna superare questo limite per cui case uguali devono essere valutate allo stesso modo e devono essere valutate in modo semplice, ad esempio passando dalla valutazione in vani ai metri quadri”.

L’obiettivo della riforma sembra quello di recuperare il rapporto cittadino -contribuente puntando sulla trasparenza, sull’equità e sulla tecnologia, che può consentire alle banche dati di essere aggiornate in tempo reale.

Aggiornamento catastale incentivato

Maurizio Savoncelli, Presidente CNGeGL, ha proposto un ulteriore elemento di riflessione: il coinvolgimento diretto dei cittadini alle operazioni di classificazione degli immobili (unitamente alle amministrazioni locali e ai professionisti) incentivando, con premi fiscali, i privati che aggiornano volontariamente i valori catastali.

Un assist subito colto da Casero, che ha ipotizzato l’utilizzo di sgravi fiscalia sostegno di una proposta giudicata interessante e capace di far compiere un successivo passo avanti in direzione del “fisco amico”.

Secondo il CNGeGL questa sinergia potrebbe fortemente limitare l’inevitabile impatto sociale della riforma grazie ad un ascolto preventivo dei dubbi e delle necessità dei contribuenti, preziosi input anche per la “messa a punto” di un nuovo sistema di aggiornamento automatico delle banche dati.

FONTE : EDILPORTALE.COM

Valore legale del timbro postale

Valore legale del timbro postale

In tema di data certa di un documento, ossia di possibilità di riscontrare con certezza giuridicamente rilevante la data nel quale il documento è stato formato, o quanto meno il giorno nel quale poteva dirsi già esistente, un ruolo importante è svolto anche dal timbro postale.
Una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 17335 del 31 agosto 2015, ci ricorda il perché.
Partiamo dalla disciplina legislativa contenuta nel codice civile in merito alla certezza della data dei documenti.
Il primo comma dell'art. 2704 del codice civile recita:
La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento.
La registrazione di cui parla la norma è quella presso l'agenzia delle entrate. La disciplina della registrazione e del pagamento della correlata imposta, o meglio la disciplina degli atti soggetti a registrazione obbligatoria, facoltativa ed in caso d'uso, è contenuta nel d.p.r. n. 131/86.
L'art. 2704 c.c. appena citato, oltre alla registrazione fa riferimento ad altri accadimenti o elementi dai quali possa desumersi la certezza della data. In particolare l'inciso finale della norma fa riferimento ad ogni altro fatto che consenta di stabilire con certezza l'anteriorità, rispetto ad esso, della formazione del documento.
In questo contesto s'inserisce la correlazione tra timbro postale e documento sul quale è apposto.
Nella pronuncia della Suprema Corte citata in principio, che si rifà ad un precedente degli stessi ermellini, si legge che “qualora la scrittura privata non autenticata formi un corpo unico col foglio sul quale è impresso il timbro postale, la data risultante da quest'ultimo è data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita: mentre grava sulla parte che contesti la certezza della data l'onere di provare - pur senza necessità di querela di falso - che la redazione del contenuto della scrittura è avvenuta in un momento diverso (Cass. 28 maggio 2012, n. 8438)” (Cass. 31 agosto 2015 n. 17335).
Far apporre un timbro postale su un foglio, quindi, vuol dire avere la prova che il documento sul quale quel timbro postale è impresso è stato formato precedentemente all'apposizione stessa.
Questa soluzione, conosciuta dai più ma spesso messa in dubbio senza effettivo fondamento, consente di datare con certezza un determinato documento rispetto al quale è utile avere questa prova.
 Cass. 31 agosto 2015 n. 17335


Fonte http://www.condominioweb.com/qual-%E8-il-valore-legale-del-timbro.12086#ixzz3m6eXcSGW

Una nuova proposta di legge. Una detrazione del 65% per i tetti verdi

Una nuova proposta di legge. Una detrazione del 65% per i tetti verdi

Con una detrazione del 65% si favorisce la trasformazione dei lastrici solari in giardini pensili.
Proposta di legge del M5S.
Il M5S ha avanzato una proposta di legge per l'incentivazione delle coperture verdi degli edifici, al fine di favorire la trasformazione dei lastrici solari in giardini pensili. La proposta è stata presentata presso il Forum internazionale Eco Tech Green ma non è ancora stata depositata alla Camera.
La proposta di legge ha lo scopo di favorire la trasformazione dei lastrici solari in tetti verdi degli edifici pubblici e privati, in attuazione del DPR 59/2009 e della Legge 10/2013.
Bonus fino a 15.000 euro. L'incentivo si concretizzerebbe in una detrazione dall'imposta lorda per una quota pari al 65% degli importi rimasti a carico del contribuente, fino a un valore massimo di 15.000 euro, da ripartire in due quote annuali dello stesso importo.
L'accesso al bonus sarebbe garantito dalla documentazione delle spese relative a interventi di progettazione, esecuzione e manutenzione di giardini pensili, collocati sui tetti degli edifici di nuova realizzazione o soggetti a interventi di riqualificazione energetica, laddove non vietato da normative di decoro urbano e storico. In questo modo si favoriscono anche il ripristino e la conservazione della biodiversità.
Incarico a professionisti abilitati. Secondo la proposta di legge, il progetto di trasformazionedel lastrico solare in giardino deve essere disegnato da un professionista abilitato alle progettazioni strutturali e sottoposto alle necessarie verifiche.
I tetti verdi potranno poi essere realizzati anche mediante strutture leggere tipo aeroponico se le esigenze strutturali lo richiederanno.
La motivazione principale della promozione del verde pensile, per il M5S, consiste nella sua capacità di migliorare l'isolamento termico e acustico degli edifici e di consentire un aumento del risparmio energetico, riducendo, inoltre, l'inquinamento.
Il commento di De Rosa. Massimo De Rosa, primo firmatario della legge e deputato M5S in Commissione Ambiente, ha osservato che "La gravità dei cambiamenti climatici in atto richiede una definitiva assunzione di responsabilità da parte della politica e di tutti i cittadini. Gli effetti nefasti del fenomeno risultano particolarmente accentuati nei grandi centri urbani ed è per questo che il verde urbano assume un ruolo strategico sia per l'adattamento che per la mitigazione dei cambiamenti climatici".
Lo stesso De Rosa ritiene che questa proposta di legge andrà in aiuto anche delle aziende del settore, migliorandone la qualità dei servizi e favorendone l'inserimento in un mercato destinato a crescere. Infatti, ha aggiunto: "Ma al pari della politica, anche le aziende del settore devono produrre uno sforzo maggiore in termini di innovazione e quindi di competitività. Con questa proposta vogliamo mettere le aziende nelle migliori condizioni per operare in questo settore che crescerà rapidamente".
Nel mondo. Un provvedimento come quello proposto dal M5S non è estraneo in Europa tanto è vero che lo scorso 19 marzo il Parlamento francese ha approvato una proposta di legge che obbliga i nuovi edifici commerciali ad avere tetti coperti da piante o da pannelli solari per impianti fotovoltaici. E l'esperienza francese arriva dopo la diffusione dei tetti verdi già in Germania, in Australia e in Canada.
Scontento degli ambientalisti. La proposta di legge approvata in Francia, tuttavia, lascia scontenti gli ambientalisti in quanto solo parziale. Infatti, limita i tetti verdi solo ai nuovi edifici ed esclusivamente a quelli di natura commerciale con un obbligo di copertura neanche totale.
Nuova rotta. L'elettricità utilizzata in Francia proviene per l'80% dall'energia nucleare e ciò ha spinto a trascurare lo sviluppo di tecnologie sostenibili e rinnovabili. Ma con questa sterzata, che ha portato anche a installare due pale eoliche sulla Tour Eiffel, il governo parigino intende ridurre le emissioni e il consumo di energia almeno del 25%.


Fonte http://www.condominioweb.com/trasformazione-dei-lastrici-solari-in-giardini-pensili-bonus.12085#ixzz3m6c2w06I

Locazione, le varie tipologie contrattuali ed il recesso

Locazione, le varie tipologie contrattuali ed il recesso


4+4, 3+2 e contratti di locazione di natura transitoria.
Sono queste le tre forma contrattuali previste dalla legge n. 431/98 rispetto ai contratti di locazione per uso abitativo
Il primo è quello rispetto al quale la legge si limita a disciplinare alcuni aspetti formali e di rinnovo automatico o tacito o recesso di entrambi i contraenti. Quelli successivi sono più articolati e prevedono un rimando, per la fase prettamente applicativa ad un decreto ministeriale, il d.m. 30 dicembre 2002, ed agli accordi territoriali tra associazioni di proprietari ed inquilini. I contratti di durata 3+2 e quelli di natura transitoria, infine, non consentono la fissazione libera del canone ma devono fare riferimento alle indicazioni a degli accordi presi sulla base di una convenzione nazionale di riferimento (vedi artt. 5 e ss. l. n. 431/98).
Vale la pena osservare più da vicino le tipologie contrattuali indicate.
Innanzitutto bisogna evidenziare che ai sensi dell'art. 2, secondo comma della legge 431/98 le norme dettate in relazione ai succitati contratti, alle agevolazioni fiscali ad essi inerenti ed alle procedure di rilascio nonché ai divieti connessi a queste tipologie contrattuali non si applicano:
a) ai contratti di locazione relativi agli immobili vincolati ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, o inclusi nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, che sono sottoposti esclusivamente alla disciplina di cui agli articoli 1571 e seguenti del codice civile qualora non siano stipulati secondo le modalità di cui al comma 3 dell'articolo 2 della presente legge;
b) agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai quali si applica la relativa normativa vigente, statale e regionale;


c) agli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche”.
Tizio è proprietario di una villa di lusso e la vuole affittare? Il contratto dovrà essere disciplinato dal codice civiìe. Tizio è proprietario di un appartamento in località marittima e Caio lo vuole prendere in affitto per una breve vacanza? Idem.
Tizio è proprietario di un'unità immobiliare residenziale (secondo la categorie catastalihttp://www.catasto.it/categorie.html) e Caio intende prenderla in affitto per soddisfare le proprie normali esigenze abitative? Le parti possono scegliere di fare ricorso a due tipologie contrattuali:
a) quella così detta 4+4;
b) quella così detta 3+2.
Contratto quadriennale con rinnovo automatico, salvo recesso giustificato ex art. 3 legge n. 431/98.
E' in questo modo che possiamo definire il più volte citato contratto 4+4.
Come funziona esattamente?
Ai sensi dell'art. 2, primo comma, l. n. 431/98:
Le parti possono stipulare contratti di locazione di durata non inferiore a quattro anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di quattro anni, fatti salvi i casi in cui il locatore intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all'articolo 3, ovvero vendere l'immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3. Alla seconda scadenza del contratto, ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo lettera raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata di cui al secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione. In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
Proseguiamo nell'illustrazione della norma riprendendo l'ultimo esempio.
Tizio concede in locazione a Caio una propria unità immobiliare. Le parti, poiché intendono determinare in autonomia il canone locatizio, dovranno utilizzare il contratto quadriennale con rinnovo automatico. Ciò vuol dire, ad esempio, che se il contratto è stato stipulato il giorno 1 febbraio 2010, la prima scadenza avverrà il giorno 1 febbraio 2014. Se non ricorre alcuna delle circostanze indicate dall'art. 3 della legge n. 431/98 (si veda più avanti) che consentono al proprietario di recedere, il contratto deve considerarsi rinnovato per un altro quadriennio, con nuova scadenza, quindi, per il giorno 1 febbraio 2018. Arrivando alla seconda scadenza, le alternative sono due:
a) le parti, con lettera raccomandata da inviarsi almeno sei mesi prima della scadenza, attivano la procedura di rinnovo a nuove condizioni o di rinuncia al contratto;
b) le parti restano inattive facendo così rinnovare tacitamente il medesimo contratto per un altro periodo 4+4.
Solitamente, è evidente, se v'è accordo per proseguire alle medesime condizioni, il silenzio è la soluzione migliore, insomma inutile scrivere “desidero rinnovare alle medesime condizioni” se si sa che la controparte è d'accordo. Scrivere, come prescrive la legge, serve per valutare la possibilità di proseguire nel rapporto a condizioni diverse o per dire che non lo si vuole più fare. Farlo con così tanto tempo di anticipo (almeno sei mesi dalla seconda scadenza) serve per consentire ad entrambe le parti di poter provvedere a cercare una nuova soluzione (abitativa per il conduttore, di locazione per il proprietario).
Il proprietario dell'unità immobiliare concessa il locazione può interrompere il contratto 4+4 alla prima scadenza, purché lo faccia per ben determinati motivi.
Lo dice chiaramente l'art. 3, primo comma della legge n. 431/98, a mente del quale:
Alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 1 dell'articolo 2 e alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, dandone comunicazione al conduttore con preavviso di almeno sei mesi, per i seguenti motivi:
a) quando il locatore intenda destinare l'immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado;


b) quando il locatore, persona giuridica, società o ente pubblico o comunque con finalità pubbliche, sociali, mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali o di culto intenda destinare l'immobile all'esercizio delle attività dirette a perseguire le predette finalità ed offra al conduttore altro immobile idoneo e di cui il locatore abbia la piena disponibilità;
c) quando il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune;
d) quando l'immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale debba essere assicurata la stabilità e la permanenza del conduttore sia di ostacolo al compimento di indispensabili lavori;
e) quando l'immobile si trovi in uno stabile del quale è prevista l'integrale ristrutturazione, ovvero si intenda operare la demolizione o la radicale trasformazione per realizzare nuove costruzioni, ovvero, trattandosi di immobile sito all'ultimo piano, il proprietario intenda eseguire sopraelevazioni a norma di legge e per eseguirle sia indispensabile per ragioni tecniche lo sgombero dell'immobile stesso;


f) quando, senza che si sia verificata alcuna legittima successione nel contratto, il conduttore non occupi continuativamente l'immobile senza giustificato motivo;


g) quando il locatore intenda vendere l'immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. In tal caso al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione, da esercitare con le modalità di cui agli articoli 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392”.
Il locatore vuole dare l'abitazione al proprio figlio che si sta per sposare (o che più semplicemente vuole andare a viverci)? Il locatore può disdire il contratto.
Il locatore scopre che il conduttore ha un immobile libero e di sua proprietà nello stesso comune? Idem.
Si badi, come ha specificato la giurisprudenza di merito e di legittimità, in più occasioni, sebbene la lettera di disdetta non debba osservare particolari formule sacramentali, è, tuttavia, obbligatorio che il diniego motivato di rinnovo del contratto di locazione alla prima scadenza
“per essere idoneo allo scopo, deve esprimere testualmente, inequivocamente e specificamente alcuno dei motivi (tra quelli descritti dall'art. 3 della L. n. 431/1998) che legittimano il locatore a recedere dal contratto alla scadenza del primo quadriennio” (Trib. Roma 4 ottobre 2010 n. 19817).
Insomma, prosegue il Tribunale di Roma,
non si ritiene che il richiamo per relationem agli articoli di legge, possa soddisfare il requisito di forma prescritto dal menzionato art. 3. - (V. tra le tante, Cass. n. 936 del 2013 in tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, nella comunicazione del locatore del diniego di rinnovo del contratto, ai sensi dell'art. 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati dalla stessa norma, sul quale la disdetta è fondata, in modo da consentire, in caso di controversia, la verifica ex ante della serietà e della realizzabilità dell'intenzione dedotta in giudizio e, comunque, il controllo, dopo l'avvenuto rilascio, circa l'effettiva destinazione dell'immobile all'uso indicato nell'ipotesi in cui il conduttore estromesso reclami l'applicazione delle sanzioni ivi previste a carico del locatore)” (Trib. Roma 4 ottobre 2010 n. 19817).
Come dire: non basta scrivere “esercito la facoltà di disdetta ai sensi dell'art. 3 legge n. 431/98” ma bisogna scrivere “esercito la facoltà di disdetta ai sensi dell'art. 3 legge n. 431/98 poiché (e di seguito spiegare quale tra le circostanze indicate dalla norma ricorre”.
Nei casi di disdetta per lavori manutentivi per le circostanze indicate dalle succitate lettere d) ed e), il possesso del titolo autorizzativo (es. permesso di costruire) è condizione di procedibilità dell'azione di rilascio. Come dire: senza permessi inutile andare in Tribunale a chiedere il rilascio dell'immobile in ragione dell'esercizio della facoltà di recesso ex art. 3 l. n. 431/98.
Che cosa accade se il locatore comunica l'intenzione di recedere, riacquista la disponibilità dell'immobile ma, poi, non fa ciò che ha detto (es. destinare la casa ad abitazione del figlio)?
Ai sensi dell'art.3, quinto comma, l. n. 431/98:
nel caso in cui il locatore abbia riacquistato, anche con procedura giudiziaria, la disponibilità dell'alloggio e non lo adibisca, nel termine di dodici mesi dalla data in cui ha riacquistato la disponibilità, agli usi per i quali ha esercitato facoltà di disdetta ai sensi del presente articolo, il conduttore ha diritto al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3”.
Il terzo comma del medesimo articolo specifica che:
Qualora il locatore abbia riacquistato la disponibilità dell'alloggio a seguito di illegittimo esercizio della facoltà di disdetta ai sensi del presente articolo, il locatore stesso è tenuto a corrispondere un risarcimento al conduttore da determinare in misura non inferiore a trentasei mensilità dell'ultimo canone di locazione percepito”.
Le norme, evidentemente, disciplinano due ipotesi diverse: il quinto comma fa riferimento al semplice decorrere del tempo, mentre il terzo comma disciplina le revoca illegittima. Ad ogni buon conto nel caso di cui al quinto comma, il conduttore può chiedere, alternativamente, due rimedi:
a) ripristino del contratto;
b) risarcimento del danno con corresponsione di trentasei mensilità di canone locatizio.
Anche il conduttore può esercitare il diritto recesso dal contratto 4+4 non solo alla prima scadenza:
a) sempre con un preavviso di sei mesi se ricorrono gravi motivi (es. personale crisi economica, cfr. in tal senso App. Firenze 28 marzo 2013, n. 100);
b) sempre, al di là dei gravi motivi, con un preavviso di sei mesi se se è previsto dal contratto (art. 4 legge n. 392/78).
Contratti 3+2 ovvero accordi con determinazione dei canoni di locazione agevolati nella contrattazione territoriale
Si tratta di contratti in cui le parti rinunciano ad una parte della propria autonomia contrattuale.
Ai sensi dell'art. 2, terzo comma, legge n. 431/98, in alternativa ai contratti 4+4:
[…] le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto, anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, nel rispetto comunque di quanto previsto dal comma 5 del presente articolo, ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. Al fine di promuovere i predetti accordi, i comuni, anche in forma associata, provvedono a convocare le predette organizzazioni entro sessanta giorni dalla emanazione del decreto di cui al comma 2 dell'articolo 4. I medesimi accordi sono depositati, a cura delle organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell'area territoriale interessata”.
In questo contesto, ad affermarlo è l'art. 1, primo comma, d.m. 20 dicembre 2002:
Gli Accordi territoriali, in conformità delle finalità indicate all'art. 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n.431, stabiliscono fasce di oscillazione del canone di locazione all'interno delle quali, secondo le caratteristiche dell'edificio e dell'unità immobiliare, è concordato, tra le parti, il canone per i singoli contratti.
E' bene ricordare che i contratti tipo, i quali possono poi prevedere specificazioni a livello locale, devono essere redatti dalla così detta convenzione nazionale di cui si fa menzione negli artt. 4 e 4-bis della legge n. 431/98.
Insomma per stipulare il contratto 3+2 è necessario essere a conoscenza degli accordi nazionali e di quelli della propria zona. Questi ultimi è possibile conoscerli presso il comune in cui è ubicato l'immobile o, magari, come nel link che portiamo ad esempio, sul sito istituzionale di un'associazione di proprietari o inquilini (http://www.sunia.it/accmilano).
Si badi: è sempre bene verificare che quello individuato sia l'accordo vigente e che il contratto sia stipulato nelle forme indicate dal succitato d.m. 20 dicembre 2002 o degli accordi territoriali, altrimenti quell'accordo dev'essere automaticamente riportato nell'ambito del classico contratto 4+4. La stipula dei predetti contratti è spesso accompagnata da agevolazioni di carattere fiscale (es. pagamento agevolato delle imposte sulla casa). Vista l'articolazione della materia, è consigliabile, se non s'ha esperienza nel settore, farsi assistere da un legale di propria fiducia o da una delle associazioni da categoria di proprietari o inquilini.
Che cosa succede al termine dei primi tre anni di contratto?
Ai sensi dell'art. 2, quinto comma, l. n. 431/98
“[…] Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all'articolo 3, ovvero vendere l'immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3. Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.
Nella sostanza si tratta d'un contratto quinquennale (difficile pensare ad un cambio delle condizioni di locazione dopo tre anni, fermo restando il diritto del proprietario di disdire il contratto al termine del triennio, per i motivi indicati dall'art. 3 della legge n. 431/98.
Per il recesso del conduttore vale quanto detto in relazione ai contratti 4+4.
Contratti di natura transitoria
Il contratto di natura transitoria, come afferma l'art. 5 della legge n. 431/98 è quell'accordo
anche di durata inferiore ai limiti previsti dalla presente legge per soddisfare particolari esigenze delle parti”.
La durata dei contratti transitori è prevista d.m. 20 dicembre 2002 in un minimo di un mese ed in un massimo di diciotto mesi. Questo genere di contratti possono essere utilizzati per soddisfare esigenze transitorie (debitamente documentate con atti che devono essere allegati al contratto di locazione) tanto del proprietario/locatore quanto del conduttore anche e soprattutto avendo riguardo ad esigenze di studio o lavoro, ma non solo chiaramente.
Si pensi al lavoratore che sa di essere distaccato presso un ramo d'azienda in una città diversa da quella di residenza, o al proprietario di un'unità immobiliare che viva la medesima situazione. In tal casi si può fare ricorso a questa particolare tipologia contrattuale, il cui canone non è completamente determinabile dalle parti (si segue una disciplina di determinazione dei parametri di riferimento sostanzialmente coincidente con quella prevista per i così detti contratti 3+2).
Siccome la legge n. 431/98 ed il successivo d.m. 20 dicembre 2002 (sia pur prevedendo quest'ultimo un schema tipo applicabile in ipotesi residuali, ossia di mancanza di schemi locali) prevedono un intervento non secondario degli accordi tra associazioni di categoria, specie nei costituenti aree metropolitane (es. Torino, Milano, Roma, Napoli, ecc.), è consigliabile rivolgersi ai Comuni di riferimento e/o alle associazioni locali di proprietari ed inquilini per avere tutte le informazioni/consulenze del caso. E' bene ricordare che il contratto ad uso transitorio, se utilizzato per scopi diversi da quelli succitati e meglio specificati negli accordi locali o se utilizzato per tali scopi surrettiziamente, dev'essere ricondotto nell'ambito del contratto 4+4.
Il termine di recesso previsto per il conduttore è liberamente determinato dalle parti. Non è previsto un recesso del proprietario. Sono previste particolari forma di comunicazione della continuazione della causa di transitorietà pena la riconduzione del contratto transitorio nell'ambito del contratto di locazione 4+4.


Fonte http://www.condominioweb.com/i-contratti-di-locazione-a-disposizione-e-recesso.12091#ixzz3m6afJGeN

martedì 15 settembre 2015

Niente spese di riscaldamento se il proprietario trasforma il piano-cantina in box o negozio



Niente spese di riscaldamento se il proprietario trasforma il piano-cantina in box o negozio

I proprietari dei locali al piano-cantine, adibiti a box o negozi, non sono tenuti al pagamento delle spese di riscaldamento se non usufruiscono della caldaia comune.
Lo ha stabilito la sentenza n. 636 del 23 febbraio 2015 del Tribunale di Genova, secondo cui la delibera con la quale l'assemblea di condominio ripartisce gli oneri anche a carico dei locali che non sono serviti dall'impianto di riscaldamento comune è nulla (non semplicemente annullabile) e, di conseguenza, è sempre impugnabile senza limiti di tempo.
Nel caso di specie, il giudice ligure ha accolto l'impugnazione presentata dai proprietari di varie unità immobiliari situate nel piano fondi dell'edificio condominiale (adibite a box e negozi) contro la delibera con la quale l'assemblea aveva deciso lamessa a norma della caldaia, con ripartizione delle spese anche a carico di essi attori, nonostante i propri immobili non usufruissero del riscaldamento comune.


Il condominio si era difeso eccependo tra l'altro la tardività dell'impugnazione, proposta oltre il termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c. Ma il tribunale ha respinto tale eccezione, posto che, nel caso in esame, la delibera impugnata deve ritenersi affetta da nullità e non semplicemente annullabile, in quanto non attiene alla ripartizione delle spese, ma piuttosto al fatto che le unità immobiliari degli attori non usufruiscono del servizio di riscaldamento comune a cui le spese di riferiscono.
La sentenza in commento aderisce ad un recente orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui: “in tema di condominio negli edifici, è nulla - e non soggetta, quindi, al termine di impugnazione di cui all'art. 1137 cod. civ. - la delibera assembleare che addebiti le spese di riscaldamento ai condomini proprietari di locali (nella specie, sottotetti), cui non sia comune, né siano serviti dall'impianto di riscaldamento, trattandosi di delibera che inerisce ai diritti individuali di tali condomini e non alla mera determinazione quantitativa del riparto delle spese” (Cass. civ., 3/10/2013 n. 22634).
Nel caso specifico, peraltro, è lo stesso regolamento di condominio a stabilire che il locale caldaiadove ritenersi di proprietà comune dei soli condomini titolari dei 51 appartamenti, con esclusione dunque degli immobili aventi diversa destinazione.
Dunque, la delibera è annullabile se l'oggetto della contestazione riguarda i criteri utilizzati per ripartire le spese condominiali; diversamente, la delibera è nulla se si discute della proprietà delle parti comuni a cui si riferiscono le spese da ripartire. Si tratta di una distinzione di non poco conto, nel primo caso, la deliberazione può essere impugnata innanzi al giudice competente entro il termine di 30 giorno previsto dall'art. 1137 c.c. e solo dai condomini assenti, dissenzienti o astenuti, mentre nel secondo caso la delibera potrà essere sempre impugnata in ogni tempo e da tutti i condomini interessati.
Tribunale di Genova, n. 636 del 23 febbraio 2015


Fonte http://www.condominioweb.com/spese-condominiali-cantine-adibite-a-box-negozi.12075#ixzz3lovSuGbp

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