giovedì 15 dicembre 2016

La detrazione fiscale della provvigione pagata all'agenzia immobiliare


La detrazione fiscale della

provvigione pagata all'agenzia

immobiliare


Provvigione agenzia immobiliare. Facciamo chiartezza





Nel caso di acquisto di un'abitazione per il tramite di agenzia immobiliare è possibile fruire di detrazioni fiscali per la provvigione riconosciuta all'agenzia?
Se sì, qual è la misura della detrazione alla quale si è ammessi a godere?
La risposta ai quesiti va ricercata nel così detto TUIR, testo unico delle imposte sui redditi, altrimenti noto come d.p.r. n. 917 del 1986.
Prima di entrare nel merito della questione è utile rammentare che cosa s'intende per detrazione.
Detrazione fiscale
Siamo abituati a sentire parlare, ad esempio con riferimento alle ristrutturazioni edilizie, di detrazioni fiscali. Ma che cosa vuol dire, esattamente, detrazione?
La detrazione fiscale è quella somma che il contribuente ha diritto a scorporare dall'imposta lorda dovuta allo Stato.
Esempio: Tizio deve allo Stato, a titolo di Irpef, un'imposta lorda pari ad € 1.000,00, considerate varie spese effettuate, tuttavia, egli avrà diritto di detrarre da quella imposta la somma di € 180,00. Di conseguenza l'imposta netta che Tizio è tenuto a versare sarà pari ad € 820,00 (€ 1000,00 - € 180,00).
La misura delle detrazioni è stabilita dalla legge e può essere prevista:
a) in misura secca (es. detrazione fino ad € 100,00);
b) in percentuale sulla spesa sostenuta (es. detrazione del 19% della spesa);
c) in misura percentuale con un tetto (es. 50% fino ad un massimo di € 96.000,00, così come indicato per le detrazioni riguardanti ristrutturazioni).
La detrazione, poi, può essere fruita in un'unica soluzione oppure in più annualità (si vedano detrazioni fiscali per interventi edilizi).
Detrazioni per provvigioni degli agenti immobiliari
Rispetto ai compensi (provvigioni) corrisposte agli agenti immobiliari in ragione dell'acquisto di un immobile, l'art. 15 del d.p.r. n. 917 del 1986 stabilisce che:
Dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento dei seguenti oneri sostenuti dal contribuente, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo:
[…]
b-bis) dal 1° gennaio 2007 i compensi comunque denominati pagati a soggetti di intermediazione immobiliare in dipendenza dell'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale per un importo non superiore ad euro 1.000 per ciascuna annualità” (art. 15, primo comma lett. b-bis, d.p.r. n. 917/86).
Nella propria guida su acquisto e vendita della casa l'agenzia delle entrate specifica che “la detrazione spetta a condizione che l‘acquisto dell'immobile sia effettivamente concluso. In caso di stipula del contratto preliminare, per poter usufruire della detrazione è necessario aver regolarmente registrato il compromesso” (Fonte: Guida Agenzia entrate).
Lo stesso ente, nel medesimo documento, specifica che se l'appartamento è acquistato da più persone, della detrazione beneficiano tutti i comproprietari che hanno concorso alla spesa sul massimo detraibile (cioè € 1000,00) e nella misura della rispettiva quota di comproprietà.


Fonte http://www.condominioweb.com/detrazioni-provvigioni-degli-agenti-immobiliari.13275#ixzz4SuDVCCbi
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La casa si può acquistare anche con un assegno scoperto?


La casa si può acquistare anche 

con un assegno scoperto?


L'assegno scoperto per la caparra non annulla il preliminare di vendita di un immobile





Ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo
dell'obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l'avvenuta emissione e la consegna del titolo. "Il preliminare di compravendita di un immobile è da ritenersi comunque valido anche in presenza di una caparra concordata emessa dal promissario acquirente che è risultata priva di provvista al momento della sua emissione".
Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24747 del 5 dicembre 2016 n. 24747 in materia di validità del contratto preliminare.
I fatti di causa. Caio (promissario acquirente) veniva citato in giudizio davanti al Tribunale da Tizio (promittente venditore) per la condanna in via principale al pagamento del doppio della caparra ex art. 1385 c.c., previo accertamento del legittimo esercizio di recesso dal contratto preliminare avente ad oggetto la promessa di vendita di un immobile di civile abitazione disatteso dal promittente alienante.
Chiedeva inoltre la condanna al risarcimento del danno, in accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento, ex art. 1453 c.c.
In primo grado, il Tribunale adito accoglieva la richiesta di Caio e condannava Tizio al pagamento del doppio della caparra.
In secondo grado, la corte territoriale riformava la sentenza impugnata e dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento del promissario acquirente in quanto, a parere della Corte d'Appello, il mancato adempimento (della caparra) era causa legittima di risoluzione del contratto per inadempimento del promissario acquirente. Avverso tale sentenza Caio ha proposto ricorso in Cassazione.
La caparra. È la somma di denaro o di altre cose fungibili che una parte versa all'altra come anticipo della prestazione finale (caparra confirmatoria) o come corrispettivo del diritto di recesso (caparra penitenziale).
I due tipi di caparra, seppure simili, sono molto diverse tra loro per presupposti ed effetti. La caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.) rappresenta una garanzia tramite la quale, in caso di inadempimento di una delle due parti (acquirente o venditore) se è inadempiente la parte che ha dato la caparra l'altra parte può: trattenerla e chiedere l'esecuzione del contratto o il risarcimento del danno subito; oppure, recedere dal contratto ritenendo la caparra.
Invece, se è inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra l'altra parte può: chiedere l'esecuzione del contratto o il risarcimento del danno subito; oppure recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Quanto alla caparra penitenziale (1386 c.c.), la garanzia della possibilità del mancato adempimento è preventiva: quando una delle parti interessate, per esempio acquirente e venditore di un immobile, non intenda concludere un contratto la caparra ha la funzione di risarcimento al danno subito da una delle due parti.
Quindi se recede la parte che ha dato la caparra, l'altra parte può trattenere la caparra senza poter chiedere altro; se recede la parte che ha ricevuto la caparra, l'altra parte può esigere il doppio della caparra versata senza poter chiedere altro.
Il ragionamento della Corte di Cassazione. Secondo i giudici di legittimità, la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che nel caso in esame, la caparra aveva perduto la funzione di rafforzamento del vincolo contrattuale dato che l'assegno con il quale si intendeva corrispondere la caparra concordata al momento della sua emissione era privo di provvista, perché la funzione della caparra era stata assolta dalla messa a disposizione della somma e non anche dall'immissione della stessa, nella disponibilità del destinatario.
Difatti secondo un orientamento giurisprudenziale di legittimità la caparra ben può essere costituita mediante la consegna di un assegno bancario anche se l'effetto proprio della caparra si perfeziona al momento della riscossione della somma recata dall'assegno, e quindi salvo buon fine (Cass. n. 17127/11).
Ed ancora,in caso di pagamento effettuato mediante assegni di conto corrente, l'effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata; tuttavia, poiché l'assegno, in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilità del traente a quella del prenditore, ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell'obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l'avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo, invece, al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento (Cass. 17749/09).
Conformemente al citato orientamento giurisprudenziale, a parere della corte di legittimità, nel caso si specie il contratto di caparra, quale contratto reale, si era perfezionato.
Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha accolto il ricorso di Caio (promissario acquirente) e per l'effetto ha confermato la validità del preliminare di vendita.
Corte di Cassazione, del 5 dicembre 2016, n. 24747


Fonte http://www.condominioweb.com/assegno-scoperto-per-la-caparra-non-annulla-il-preliminare-di.13281#ixzz4SuAQpIjt
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sabato 10 dicembre 2016

Riduzione spese condominiali appartamento vuoto


Riduzione spese condominiali

appartamento vuoto


Appartamento vuoto e spese condominiali. Ecco perchè quasi sempre non è possibile pagare di meno







È possibile ottenere la riduzione delle spese condominiali di un appartamento vuoto?
È questa la domanda di un nostro lettore che specifica: "Da ormai due anni l'appartamento che prima utilizzavo come abitazione è vuoto perché mi sono trasferito in un'altra città. Dapprima ho pensato di affittarlo, ma poi ho preferito evitare perché a breve vorrei provare a venderlo.
Giacché è vuoto (anche di arredi) ho staccato tutte le utenze dirette (luce, gas e telefono) e così facendo ho ottenuto una riduzione della tassa sulla spazzatura. Mi sono quindi domandato se tale procedura mi può fare accedere automaticamente ad una riduzione delle spese condominiali. Mi potete aiutare?"
La risposta al nostro lettore è che, salvo particolari accordi con tutti i suoi vicini e/o clausole contenute in un regolamento condominiale contrattuale, egli dovrà continuare a pagare le spese condominiali nella misura piena.
Vediamo perché. Esiste una norma del codice civile, esattamente il secondo comma dell'art. 1123, la quale specifica che ogni condomino deve pagare le spese condominiali in base all'uso che può fare dei servizi e delle cose comuni.
Sovente questa norma viene utilizzata per sviluppare un ragionamento che è pressappoco questo: "Siccome il mio appartamento non è utilizzato da nessuno, allora lo utilizzo meno anzi non lo utilizzo proprio e quindi non devo pagare nulla o almeno devo pagare meno". Non è così.
La Cassazione ha chiarito che non si paga per l'uso effettivo, ma per quello potenziale. In una sentenza datata 1991 si legge che il secondo comma dell'art. 1123 c.c. "stabilisce una ripartizione delle spese in questione in misura proporzionale non già al valore della proprietà di ciascun condomino ma all'uso che ciascun condomino può fare di una determinata cosa comune - riguarda il caso in cui la cosa comune (più esattamente il servizio comune) sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa (inferiore o superiore al loro diritto di comproprietà sulle parti comuni); e, a tal fine, si deve avere riguardo all'uso che ciascun partecipante può farne, cioè al godimento potenziale e non al godimento effettivo, e, quindi, non all'uso che effettivamente ne faccia o non ne faccia"(Cass. n. 13161/91).
Così, ad esempio, mentre per quel che riguarda il servizio idricoevidentemente vi sarà una riduzione delle spese dovuto al fatto che non si consuma acqua, per l'ascensore, il portierato, oppure per il compenso dell'amministratore non si potrà, in via generale, addivenire ad alcuna riduzione poiché il condomino potrà sempre entrare nella propria abitazione, interagire con l'amministratore, ecc. al di là del fatto che questa sia abitata effettivamente.
La regola generale, tuttavia, soffre un'eccezione: un differente intercorrente tra tutti i condòmini che può essere contenuto in un regolamento di origine contrattuale oppure in un successivo atto siglato dagli stessi.
Questo accordo può prevedere modalità e termine della riduzione e/o dell'esenzione, stante il fatto che la materia della ripartizione delle spese condominiale rientra tra quelle disciplinabili da un accordo tra tutti i condòmini (art. 1123, primo comma, c.c.).


Fonte http://www.condominioweb.com/le-spese-condominiali-di-un-appartamento-vuoto.13264#ixzz4SQxTiHMo
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Certificazione energetica : un documento obbligatorio e utile se redatto opportunamente al miglioramento dell'efficienza energetica.

Certificazione energetica : 

un documento obbligatorio e 

utile se redatto opportunamente 

al miglioramento dell'efficienza 

energetica.


Attestato di Prestazione Energetica. Facciamo chiarezza.

Tra le varie considerazioni che bisogna tenere conto nell'acquisto di una abitazione, c'è la classe energetica.
Da qualche anno infatti sono molte le novità che riguardano un parametro fondamentale nella vendita ed acquisto di un immobile. Mentre prima era di secondaria importanza, ora è fondamentale che venga stabilita la classe energetica dell' edificio.
Ci sono diversi motivi per cui è importante la classe energetica, sia ambientali che economici. Una classe energetica di tipo "G", può indicare un'elevata età della struttura (ad esempio pareti non coibentate), degli impianti, dei materiali utilizzati e dunque i consumi che vengono generati sono maggiori.
Più consumo, più inquinamento, più spese.
E' per questo motivo che fare una riqualificazione energetica installando nuovi dispositivi (ad esempio sostituzione degli infissi oppure di una caldaia a condensazione a più alto rendimento) per portare un appartamento ad una classe energetica migliore è un'idea da considerare con molta importanza.
Una spesa iniziale può portare ad un forte risparmio di energia, meno inquinamento ed una struttura che acquista valore per una futura vendita.
Migliorare l'efficienza energetica del sistema edificio/impianto è quindi estremamente importante e una certificazione energetica mette in evidenza oltre alla classe energetica attuale dell'immobile anche gli interventi migliorativi che si potrebbero attuare per migliorare l'isolamento termico.
Per avere una certificazione energetica, è necessario rivolgersi a dei professionisti (in Regione Lombardia ad esempio accreditati presso CENED), che abbiamo l'abilitazione per potere certificare un' immobile; in particolare, sempre in Regione Lombardia, la recente normativa a seguito del D.G.R.
X/3868 attuata Decreto n. 6480 del 30 luglio 2015 pone in evidenza come devono essere fatti uno o più sopralluoghi presso l'immobile da certificare, questo fa quindi comprendere come le offerte online che con poche decine di euro consentono il rilascio di un attestato di prestazione energetica possano presentare delle insidie ed è consigliabile evitarle.
Non fatevi quindi abbagliare da un risparmio immediato, che vi comporterà poi a dovervi comunque rivolgere ad un professionista certificato e a spendere ancora soldi. Quello che viene rilasciato dall'incaricato si chiama APE, ovvero Attestato di Prestazione Energetica e questo avverrà sulle nuove norme UNI.
Ad esempio diventa obbligatorio stimare anche i consumi derivanti da ascensori, scale mobili e marciapiedi mobili. Tra i vari servizi affidabili ci permettiamo di menzionare quello offerto da ACE Consulting Certificazione energetica per la zona di Milano Monza Varese e Bergamo, oltre al rilascio di attestati di prestazione energetica possono supportarvi anche per le diagnosi energetiche.
Con le ultime normative, esiste una classificazione che va dall'ottimale "A4", fino alla peggiore "G". Bisogna poi ricordare al proprietario dell'immobile che vuole acquistare o affittare lo spazio, che l'APE ha una validità di dieci anni a meno di modifiche sostanziali che possano modificare l'efficienza energetica.


Fonte http://www.condominioweb.com/attestato-di-prestazione-energetica.13269#ixzz4SQu5PzYr
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venerdì 25 novembre 2016

Scia, segnalazione certificata di inizio attività




Scia, segnalazione certificata

di inizio attività

Definizione di SCIA. Ambiti di applicazione e conseguenze in caso di dichiarazioni false







Che cos'è la Scia?
In che ambiti trova applicazione?
Quali le conseguenze delle dichiarazioni false?
Partiamo dalla definizione: SCIA è l'acronimo di segnalazione certificata di inizio attività.
Si tratta di una particolare forma di procedimento amministrativo teso a snellire i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione in relazione a fattispecie che non necessitano di verifiche articolate e complesse.
Lo disciplina in via generale l'art. 19 della legge n. 241 del 1990 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
Dall'articolo, molto corposo e composto da numerosi commi, possiamo tirar fuori questa indicazione con valore generale:
"ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato",
salvo i casi in cui si sia in presenza di vincoli paesaggistici, ambientali e culturali.
In che modo attestare quanto richiesto dalla legge?
Nello stesso primo comma dell'art. 19 è specificato che per l'attestazione di stati e qualità personali e più in generale per quanto previsto dal d.p.r. n. 445/00 la scia è corredata da dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà. Per quanto diversamente certificabili s'è tenuti ad allegare attestazioni e asseverazioni previste in relazione allo specifico procedimento.
Il procedimento ha una durata di due mesi, eventualmente prorogabili, al termine del quale per intendersi autorizzato quanto richiesto dev'esservi un provvedimento di assenso della pubblica amministrazione (non vale in silenzio assenso). Nell'ipotesi di perdurante inadempimento (mancata risposta) si può ovviare con un'azione giudiziaria tesa ad ottenerlo.
Il sesto comma dell'art. 19 della l. n. 241/90, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, punisce "chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1" con la reclusione da uno a tre anni.
Alcuni esempi di procedimento amministrativo rispetto al quale trova applicazione la segnalazione certificata di inizio attività:
a) in ambito edilizio, con obbligo di inviarla almeno trenta giorni prima della data fissata per l'inizio dei lavori;
b) per l'attività di agente immobiliare, rispetto alla quale la comunicazione della segnalazione certificata di inizio attività consente l'inizio immediato dell'attività stessa;
c) commercio al dettaglio che si svolga in una sede fissa.
In ogni caso, salve le eventuali sanzioni penali, ad un inizio d'attività non possibile può seguire un ordine di sospensione da parte della pubblica amministrazione competente.


Fonte http://www.condominioweb.com/definizione-di-scia.13232#ixzz4R2wSy4lk
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Immobili abusivi. Il condominio non può deliberare la ripartizione delle spese senza aver revisionato le tabelle millesimaili


Immobili abusivi. Il condominio 

non può deliberare la ripartizione 

delle spese senza aver revisionato

le tabelle millesimaili


In caso di immobili abusivi e revisione delle tabelle millesimali




In caso di immobili abusivi, successivamente demoliti, il condominio prima di adottare una delibera che pone anche a carico dei proprietari degli immobili abusivi le spese straordinarie deve revisionare le tabelle millesimali, poiché onerare un condomino delle spese relative ad un'unità demolita concretizza una violazione dei criteri legali di ripartizione delle stesse. Cosi si è espresso il Tribunale di Benevento, con sentenza del 19.9.2016 n. 2062
La vicenda analizzata dal tribunale lucano è piuttosto complessa. In sintesi tre condomini proprietari di due unità immobiliari, collocate nel piano mansarda di un edificio condominiale, dopo qualche anno dall'acquisto di tali immobili scoprono di aver acquistato degli immobili abusivi che verranno demoliti.
Dopo diversi anni dalla demolizione degli immobili abusivi il condominio, con delibera del 31.7.2012, pone a carico dei tre condomini le spese per il rifacimento della facciata dello stabile senza tener conto del fatto che tale spesa era stata ripartita in base alle quote millesimali di proprietà esclusiva accertate prima della demolizione.
Prima dell'adozione di tale delibera, però, uno dei tre condomini (Tizio) aveva agito in giudizio nei confronti del suo dante causa ed una sentenza definitiva aveva annullato il contratto di compravendita dell'immobile risultato abusivo, ed aveva trasferito la proprietà dello stesso all'originario venditore.
Tizio, a tal punto, insieme agli altri due condomini Caio e Sempronio, ha agito in giudizio chiedendo la sospensione dell'efficacia della delibera, e che il Tribunale dichiarasse la stessa nulla oppure annullabile.
Tribunale di Benevento, del 19.9.2016 n. 2062


Fonte http://www.condominioweb.com/immobili-abusivi-e-revisione-delle-tabelle-millesimali.13234#ixzz4R2svDGDI
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mercoledì 23 novembre 2016

Disdetta o rinuncia alla prosecuzione della locazione, meglio la forma scritta ma…



Disdetta o rinuncia alla prosecuzione

della locazione, meglio la forma 

scritta ma…


Disdetta locazione comunicata senza forma scritta. Ciò che conta è la sostanza




In tema di disdetta del contratto di locazione al termine dell'ottennio, le parti che non vogliano proseguire nel contratto possono formalizzare disdetta (il locatore) o rinuncia (il conduttore) con lettera raccomandata da inviarsi all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza del contratto.
Che cosa succede se tale disdetta/rinuncia è comunicata con forme differenti? Questa può comunque considerarsi valida o deve intendersi come non comunicata per carenza del requisito formale?
La questione è di non secondaria importanza, poiché le parti interessate potrebbero trovare a litigarsi:
a) su una procedura di sfratto per finita locazione, laddove il conduttore non abbia lasciato l'appartamento;
b) su una procedura di richiesta canoni (e danni) qualora il conduttore abbia lasciato l'appartamento non pagando più i canoni pattuiti.
La problematica è stata anche oggetto di pronunciamento da parte della Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 11808 del 9 giugno 2016).
Nel caso di specie il conduttore, sia in primo che in secondo grado, s'era visto sfrattato per doversi considerare conclusa la locazione. Egli aveva proposto ricorso per Cassazione, in quanto, a suo modo di vedere, la disdetta del contratto non era ritualmente avvenuta.
La Corte di Cassazione ha rigettato questa doglianza.
La sentenza, con un'articolata motivazione, smonta quella tesi che vede nella forma scritta con invio raccomandato della disdetta un requisito ad substantiam della stessa, con conseguente nullità nel caso di utilizzazione di una differente modalità.
La pronuncia parte dall'assunto che sebbene la legge n. 431 del 1998 citi la comunicazione a mezzo raccomandata, tale prescrizione “non è assistita da alcuna prescrizione che indichi expressis verbis od anche indirettamente che tale forma debba osservarsi a pena di nullità o invalidità del negozio di rinuncia-disdetta”.
Il conseguenza di ciò prosegue la Corte, se ne deve desumere che la disdetta del contratto di locazione al termine dell'ottennio non ricade in alcun modo sotto della forma scritta a pena di nullità.
In questo caso il riferimento normativo sarebbe stato l'art. 1350 c.c., n. 13, ma proprio questa norma, affermano gli ermellini
esige che il requisito formale scritto sia indicato "specialmente" dalla legge allude ad una indicazione espressa dell'obbligatorietà del requisito formale o comunque ad una indicazione indiretta ma chiaramente rivelatrice della volontà imperativa della legge”.
In questo contesto, quindi, ciò che conta è la sostanza, cioè la conoscenza della disdetta/rinuncia e chiaramente la sua dimostrabilità nell'eventuale successivo giudizio.
In tal senso, la Corte nomofilattica, chiosa ed afferma che:
ne segue che il negozio di rinuncia-disdetta di cui al secondo inciso dell'art. 2, comma 1, non deve essere compiuto a pena di nullità con una lettera e, quindi, in forma scritta, e nemmeno la sua forma di trasmissione deve essere necessariamente quella della raccomandazione.
Ciò che è necessario è che il negozio di rinuncia disdetta venga ricevuto dal destinatario sei mesi prima della scadenza” (Cass. 6 giugno 2016 n. 11808).
Cass. 6 giugno 2016 n. 11808


Fonte http://www.condominioweb.com/disdetta-locazione-comunicata-senza-forma-scritta.13190#ixzz4QrGGEz6E
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La presenza di muffa non autorizza l'inquilino ad astenersi dal versamento del canone né ad autoridurlo





La presenza di muffa non 

autorizza l'inquilino ad astenersi

dal versamento del canone né ad 

autoridurlo


la comparsa di fenomeni di umidità non esonera il pagamento del canone di locazione













Il Tribunale ha escluso che la comparsa di fenomeni di umidità potesse legittimare l'omissione del pagamento del canone di locazione da parte del conduttore.
"Al conduttore non è consentito di astenersi di versare il canone, ovvero, di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o diminuzione nel godimento del bene e ciò, anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore, atteso che la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti".
Questo è il principio di diritto espresso dal Tribunale di Pescara con la sentenza n. 939 del 31 maggio 2016 in merito al mancato pagamento dei canoni di locazione.
I fatti di causa. Tizio (locatore) intimava a Caio (conduttore) lo sfratto per morosità per il mancato pagamento dei canoni di locazione dei mesi da gennaio a giugno 2015 nonché di oneri accessori (tassa sui rifiuti e consumi di gas, acqua ed energia elettrica) dovuti in virtù di contratto di locazione stipulato tra le parti il 4.12.2014, registrato il 24.12.2014 avente ad oggetto appartamento ammobiliato.
Costituendosi in giudizio, Caio si opponeva alla convalida e precisava che il locatore, nel cedere in locazione il suddetto immobile, aveva omesso di avvertire che i locali erano interessati da fenomeni di umidità tale da rendere impossibile il godimento, né, poi, la stessa aveva mantenuto la cosa locata in stato di servire all'uso convenuto o aveva provveduto alle riparazioni necessarie ad eliminare i vizi sopravvenuti nel corso della locazione, essendo presenti nell'appartamento vistose macchie di umidità; sicché, a parere del conduttore, tali condizioni del bene locato, incidendo sull'idoneità all'uso convenuto, impedivano la risoluzione del contratto per inadempimento, chiesta dall'attrice, potendo i conduttori valersi dell'eccezione di inadempimento.
 Tribunale di Pescara n. 939 del 31 maggio 2016


Fonte http://www.condominioweb.com/fenomeni-di-umidita-pagamento-canone-locazione.13198#ixzz4QrDIaaPf
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Cosa fare se il conduttore lascia l'appartamento ma non cambia residenza?


Cosa fare se il conduttore lascia

l'appartamento ma non cambia 

residenza?


Ecco cosa succede se l'ex conduttore non cambia residenza





Sono proprietario di un appartamento e qualche mese fa il conduttore – di comune accordo – è andato via (era stato trasferito in altra città).
Ho deciso di non affittarlo più, ma di darlo a mia figlia che andrà a conviverci con il suo compagno. Quando hanno iniziato ad informarsi per il cambio di residenza hanno scoperto che in quell'abitazione risulta ancora residente il mio vecchio inquilino.
Non riesco a contattarlo per chiedergli – per ora cortesemente – di regolarizzare la situazione. A parte la città dov'è andato, non so dove esattamente viva, poiché non mi ha lasciato indirizzi. Al cellulare non riesco a parlargli. Che cosa posso fare?
Partiamo dal fatto che, in effetti, sarebbe meglio cercare di sollecitare bonariamente questa persona che, magari presa da altro, ha tralasciato questo non secondario aspetto delle dichiarazioni da rendersi alle pubbliche autorità.
Entriamo nel dettaglio esaminando le norme che regolano la fissazione della residenza e di conseguenza gli obblighi nel caso di questa variazione anagrafica.
L'art. 2, primo comma, legge n. 1228/1954 recita:
È fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell'anagrafe del Comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche, a norma del regolamento, fermo restando, agli effetti dell'art. 44 del Codice civile, l'obbligo di denuncia del trasferimento anche all'anagrafe del Comune di precedente residenza.
La norma è chiarissima: ognuno di noi è tenuto a dichiarare all'anagrafe (all'ufficio di anagrafe) del comune di dimora abituale la propria residenza, nonché le variazioni ad essa relative.
La legge specifica altresì che il Sindaco è l'ufficiale d'anagrafe del comune che rappresenta e che le funzioni riguardanti tali qualifica possono essere delegate a personale idoneo dell'ente.
Le funzioni connesse alla carica non sono quelle di mero tenutario e conservatore dei registri, ma hanno anche relazione con il suo aggiornamento.
Tanto si desume dalla lettura del primo comma dell'art. 5 l. n. 1228/54 che recita: “l'ufficiale d'anagrafe che sia venuto a conoscenza di fatti che comportino la istituzione o la mutazione di posizioni anagrafiche, per i quali non siano state rese le prescritte dichiarazioni, deve invitare gli interessati a renderle”.
Quanto alla dizione “che sia venuto a conoscenza di fatti…” deve ritenersi che ciò possa avvenire:
a) in ragione di adempimenti del proprio ufficio che abbiano portato a tale scoperta;
b) in ragione di segnalazioni giuntegli.
In queste ipotesi l'ufficiale di anagrafe è tenuto ad aprire un procedimento che abbia come risultato la cancellazione o conferma della residenza dal luogo in cui era fissata.
Come recita il secondo comma dell'art. 5 succitato: “in caso di mancata dichiarazione, l'ufficiale di anagrafe provvede di ufficio, notificando all'interessato il provvedimento stesso. Contro il provvedimento d'ufficio è ammesso ricorso al prefetto”.
Al nostro lettore possiamo quindi suggerire, se non riesce a risolvere la questione bonariamente, di rivolgersi all'ufficio anagrafe del comune per segnalare il fatto.


Fonte http://www.condominioweb.com/ecco-cosa-succede-se-lex-conduttore-non-cambia-residenza.13208#ixzz4QrASpbNq
www.condominioweb.com 

mercoledì 16 novembre 2016

Successione: morte del mutuatario, chi paga il mutuo?

Successione: morte del mutuatario, chi paga il mutuo?

novembre 16
09:242016





La morte di un familiare è un momento complicato da affrontare anche dal punto di vista ereditario. Cosa succede se la persona deceduta era proprietaria di un immobile sul quale grava ancora un mutuo e chi deve pagare le rate mancanti?
Partiamo dal presupposto che l’istituto di credito che aveva concesso il mutuo pretenderà che gli impegni assunti vengano ugualmente onorati. Dopo la morte del mutuatario, esistono differenti scenari che dipendono dalle decisioni che il defunto aveva effettuato quando era in vita.
In caso di presenza di una polizza sulla vita legata al mutuo (solitamente si sottoscrive il giorno del contratto di mutuo), gli eredi non dovranno preoccuparsi di nulla in quanto l’assicurazione provvederà al pagamento del debito residuo direttamente alla banca.
In caso di mancanza di una polizza sulla vita, gli eredi che accettano l’eredità, oltre a diventare  i nuovi intestatari dell’immobile, dovranno anche accollarsi il debito con la banca e preoccuparsi del pagamento delle rate residue del mutuo. Sarà necessario inoltre iscrivere una nuova ipoteca a favore dell’istituto di credito e sottoscrivere un nuovo mutuo con la banca pari all’importo del debito residuo. Se gli eredi rifiutano l’eredità, l’istituto sarà costretto a mettere l’immobile all’asta per inadempienza.
Se l’immobile ereditato corrisponde all’abitazione principale, in caso di difficoltà a sostenere l’impegno di un mutuo da parte degli eredi, è possibile richiedere la sospensione del mutuo fino a 18 rate accedendo al Fondo di solidarietà gestito dalla Consap.

FONTE : EURIBOR.IT

sabato 12 novembre 2016

Cattiva manutenzione delle fioriere e danni derivanti da infiltrazioni. Perchè ne risponde il condominio?


Cattiva manutenzione delle 

fioriere e danni derivanti da 

infiltrazioni. Perchè ne risponde 

il condominio?


Chi paga i danni derivanti dalla cattiva manutenzione delle fioriere condominiali?








Nel caso di infiltrazioni derivanti dal cattivo funzionamento dell'impianto di smaltimento delle acque piovane e da cattiva manutenzione delle fioriere di proprietà comune il condominio, quale ente di gestione responsabile per la violazione degli obblighi di custodia e di manutenzione, deve essere condannato al risarcimento dei danni subiti da uno dei proprietari delle singole unità immobiliari. Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Avellino, 9 giugno 2016, n. 1432.
La vicenda. I proprietari di un appartamento ubicato in un edificio condominiale citando in giudizio il condominio ed il proprietario dell'appartamento soprastante lamentando infiltrazioni e percolazioni di origine meteorica nella loro unità immobiliare provenienti dal terrazzo a livello di proprietà dell'inquilino del piano superiore.
Gli attori, quindi, ritenendo sussistente una responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 hanno citato tanto il proprietario dell'appartamento al piano superiore quanto il condominio.
Una volta instaurato in giudizio si è costituito il proprietario dell'appartamento al piano superiore negando la propria legittimazione passiva per aver donato la nuda proprietà a sua figlia ritenendo che l'obbligazione propter rem invocata dalla controparte non avrebbe potuto gravare sull'usufruttuario.
Il convenuto, inoltre, ha eccepito qualsiasi responsabilità per i fatti di causa, dovendo individuarsi l'origine delle lamentate infiltrazioni esclusivamente nello stato di conservazione delle parti comuni dell'edificio condominiale con particolare riferimento ai pluviali che attraversano il solaio della terrazza a livello e discendono poi, tramite un tubo in pvc, fino al canale di gronda.
(in tema di infiltrazioni d'acqua derivanti da una terrazza a livello vedasi: Infiltrazioni d'acqua provenienti dalla terrazza a livello, rappresentanza dell'amministratore)
La sentenza. Il Tribunale di Avellino per stabilire se nel caso di specie sul condominio quale ente di gestione gravava l'obbligo di risarcimento per violazione dell'obbligo di custodia sulle parti comuni, ha dovuto chiarire quali fossero le cause delle infiltrazioni e se queste erano riconducibili all'omessa manutenzione delle parti comuni da parte del condominio convenuto.
 Tribunale di Avellino, 9 giugno 2016, n. 1432


Fonte http://www.condominioweb.com/chi-paga-i-danni-derivanti-dalla-cattiva-manutenzione-delle-fioriere.13189#ixzz4PmocrVug
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