mercoledì 31 maggio 2017

Illegittimo il canone idrico calcolato a forfait dal Comune. Questa volta lo dice anche la Cassazione.


Illegittimo il canone idrico 

calcolato a forfait dal Comune. 

Questa volta lo dice anche la 

Cassazione.


I consumi di acqua non possono essere quantificate con metodi induttivi





Le prestazioni di acqua non possono essere quantificate con metodi induttivi, ad abbonamento, o con sistema “consumo presunto”, per tali ragioni i Comuni, nella gestione del servizio di distribuzione dell'acqua potabile non possono determinare il canone sulla base dei consumi presuntivi, in quanto possono chiedere il pagamento solo per l'acqua effettivamente erogata. “Il contratto di erogazione di acqua è un normale contratto di somministrazione, avente natura privatistica e pertanto soggetto alla disciplina del codice civile, con la conseguenza che la pretesa del Comune, basata su un consumo minimo presunto o a “forfait” è illegittima”. Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con l'Ordinanza del 22 maggio 2017 n. 12870 in merito alla illegittimità del canone idrico calcolato a forfait dal comune.
I fatti di causa. Il Comune di Aragona proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza n.1570 del 2015 del Tribunale di Agrigento. Il Comune segnalava l'esistenza di alcuni altri ricorsi, sull'identico tema della illegittimità del canone idrico calcolato a forfait dal Comune.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., su proposta del relatore, in quanto ritenuto manifestamente infondato.
Il Collegio, all'esito della camera di consiglio, esaminate le argomentazioni contenute nella memoria della parte ricorrente, ha ritenuto di condividere la soluzione proposta dal relatore.
Il motivo denuncia la violazione dell'art. 1339 c.c. e di alcuni articoli del regolamento per la concessione dell'acqua potabile del Comune di Aragona.
Il precedente: Giudice di Pace di Castellamare del Golfo del 16.07.2004. Tra l'utente ed il Comune, intercorreva un contratto di somministrazione di acqua potabile, con prestazione continuativa, art. 1559 C.C., posto in essere con adesione ad un contratto con moduli prestampati predisposti da una parte contraente (artt. 1341-1342 C.C.), a cui il soggetto era obbligato a sottostare per potere avere la fornitura del servizio. A detto contratto si applicavano anche gli artt. 1560-1562-1563 C.C.
Quindi, tra le parti vi era un contratto di natura privata, con prestazioni corrispettive (art. 1553 C.C.): alla somministrazione dell'acqua potabile da parte del Comune corrispondeva il pagamento del dovuto da parte dell'utente.
Il canone per la fornitura dell'acqua potabile, quindi, rappresentava il corrispettivo di un servizio commerciale reso dal Comune in regime di privativa ed i canoni e le tariffe erano determinate nella misura da coprire i relativi costi di gestione del sevizio.
Premesso quanto esposto, con la suddetta sentenza, il Giudice adito ha statuito che il prezzo della fornitura deve essere commisurato all'effettivo consumo e non può essere fissato secondo criteri meramente presuntivi che prescindano totalmente dalla situazione reale e si appalesino, pertanto, illogici.
Difatti i canoni di depurazione e fognatura e il canone per la fornitura di acqua potabile hanno natura privatistica costituendo il corrispettivo del servizio idrico integrato.
Ne discende che le prestazioni di acqua non possono essere quantificate con metodi induttivi, ad abbonamento, o con sistema “consumo presunto”, poiché così facendo verrebbe alterato il vincolo di sinallagma, sotteso ai contratti con prestazioni corrispettive.
Altro precedente: Giudice di Pace di Nocera inferiore 1606/07.Il giudice di Pace ha condannato la società di gestione alla restituzione di una somma di danaro ritenuta illegittimamente richiesta ed incassata.
Si legge nella sentenza che la società “dichiarava di aver fatturato il consumo idrico in via presuntiva, secondo il sistema “pro die” e applicava la tariffa stabilita dal Comune di Angri per il consumo di acqua potabile, ritenendo di determinare la base per il calcolo dei canoni fognari e di depurazione”.
In sostanza alla base dell'accoglimento del ricorso ci sarebbe il fatto che l'importo fatturato non era basato sulla lettura dei contatori ma su di un criterio presuntivo e forfetario.
Infatti è ancora riportato all'interno della sentenza che “il prezzo della fornitura deve essere commisurato all'effettivo consumo e non può essere determinato secondo altri criteri presuntivi che prescindano dalla reale situazione, appalesandosi, pertanto, illogici”. Per tali ragioni,la richiesta di pagamento è risultata illegittima.
Altro precedente: Tribunale Nola, Sez. I Civ. , sentenza del 19 luglio 2016. Anche in questo caso, il giudice adito ha precisato che i comuni, nella gestione del servizio di distribuzione dell'acqua potabile, non possono determinare il canone – che ha natura di corrispettivo del servizio reso – sulla base dei consumi presuntivi, in quanto possono chiedere il pagamento solo per l'acqua effettivamente erogata (principio ribadito da Tribunale di Napoli, 21/11/2001, Trib. Nola, sent. 2410/2010 e Cass. sez. iii, 21/01/2005, n. 1278)
Il ragionamento della Corte di Cassazione nella vicenda in esame. Secondo i giudici di legittimità, la pronuncia del Tribunale di Agrigento era del tutto valida in quanto evidenziava che nel contratto è previsto che l'importo del canone da corrispondere da parte dell'utente debba essere quantificato previa misurazione a contatorementre poi nelle fatture viene addebitato un importo forfettario, che prescinde dagli effettivi consumi dell'utente.
Per tali motivi, la pronuncia del tribunale evidenziava l'impossibilità di arrivare alla soluzione propugnata dal Comune non perché escludeva la possibilità di richiamare il regolamento comunale, ma perché individuava anche nel regolamento un riferimento alla contabilizzazione del corrispettivo sulla base dei consumi, conformemente al principio di corrispettività proprio di un contratto sinallagmatico quale quello di somministrazione dell'acqua.
Premesso quanto esposto, a parere della Corte, il ricorrente Comune con l'impugnativa da un lato propone una diversa interpretazione del contratto concluso tra le parti, inammissibile in questa sede, dall'altra richiama brevi stralci del predetto regolamento, artatamente orientando in tal modo l'interpretazione della Corte.
Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento ha rigettato il ricorso del Comune e per l'effetto ha confermato la pronuncia del Tribunale di Agrigento.
 Corte di Cassazione Ordinanza del 22 maggio 2017 n. 12870


Fonte http://www.condominioweb.com/consumi-di-acqua-forfait.13831#ixzz4ietSkhvU
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Locazioni brevi. Da domani scatta la nuova tassa


Locazioni brevi. Da domani 

scatta la nuova tassa


Da domani cedolare secca del 21% per tutti gli affitti brevi




Domani entrerà in vigore l'imposta speciale che prevede il pagamento della cedolare secca del 21% per tutti gli affitti brevi.
La Airbnb. Dal primo giugno entrerà in vigore l'imposta speciale introdotta con la manovra di primavera (la cosiddetta manovrina, articolo 4 del Dl 50/2017), che prevede il pagamento della cedolare secca del 21% per tutti gli affitti brevi, inferiori ai 30 giorni, stipulati da persone fisiche direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online come Booking e Airbnb, ad esempio.
Da qui il soprannome "tassa Aibnb". La nuova imposta andrà a sostituire quella dell'Irpef e quella di registro che chi affitta è chiamato a pagare a fine anno con la dichiarazione dei redditi.
Trasmissione dati, ritenuta e sanzioni. Nell'audizione del 4 maggio 2017, è stato ribadito cheai sensi del comma 4 della norma in esame, gli adempimenti devono essere posti in essere non solo dagli agenti immobiliari ma da tutti coloro che, in senso lato, effettuano intermediazione mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare.
Si prevede per tali soggetti l'obbligo di trasmissione dei dati relativi ai contratti stipulati per il loro tramite e, laddove incassino i canoni o i corrispettivi, l'obbligo di applicare, in qualità di sostituti di impostala ritenuta del 21 per cento all'atto dell'accredito e di provvedere al relativo versamento.
La ritenuta, nel caso in cui non sia stata esercitata l'opzione per il regime della cedolare secca, si considera operata a titolo di acconto.
La omessa, incompleta o infedele trasmissione dei dati richiesti è punita con la sanzione da euro 250 a 2.000 euro applicabile in caso di omissione di ogni comunicazione prescritta da leggi tributarie, ridotta alla metà se l'adempimento è effettuato correttamente entro i quindici giorni successivi alla scadenza.
Audizione del direttore dell'agenzia dell'Entrate. Il 4 maggio 2017, in Commissioni Riunite Bilancio Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, durante l'audizione del direttore dell'agenzia dell'Entrate, è stato precisato che per i redditi rivenienti dai contratti di locazione breve previsti dall'art. 4 del decreto-legge n. 50 del 2017, stipulati a partire dal 1° giugno 2017è previsto l'assoggettamento, su opzione, alle disposizioni relative alla cedolare secca di cui all'articolo 3 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, con l'aliquota del 21 per cento. Il regime della cedolare secca, con applicazione della aliquota del 21, per cento è già applicabile ai contratti di locazione di durata inferiore a 30 giorni.
Il contenuto innovativo della norma è dato dalla previsione che ne estende l'applicazione ai contratti menzionati, in cui la locazione è integrata dai servizi di pulizia locali e cambio biancheria, nonché ai contratti di sub-locazione a quelli conclusi dal comodatario.
Il tratto di novità è dato, inoltre dalla previsione di obblighi posti a carico degli intermediari: la norma introduce, per finalità di controllo nonché di contrasto all'evasione fiscale, specifici obblighi, a carico dei soggetti esercenti attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on-line.
Salvo modifiche in sede di conversione, il regime previsto si applica ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve stipulati a decorrere dal 1 giugno 2017; tale termine, correlato alla previsione di gettito, dovrebbe (secondo l'Agenzia dell'Entrate) comunque escludere un ulteriore rinvio degli adempimenti, oltre la data di emanazione del Provvedimento, in quanto la norma stessa già contiene sufficienti indicazioni per l'effettuazione delle ritenute (la stessa norma prevede che il prelievo deve essere effettuato all'atto dell'accredito dei canoni e dei corrispettivi relativi ai contratti stipulati a partire dal 1 giugno).
I primi dati statistici. Secondo i primi rilevamenti(ricerca condotta dal Monitor Allianz Global Assistance in collaborazione con l`istituto di ricerca Nexplora) 1 italiano su 2 ha dichiarato di aver già utilizzato o di voler utilizzare in futuro i servizi di home sharing, 1 su 4 lo preferisce ad alberghi e pensioni per le proprie vacanze, mentre il 30% ancora non conosce questa tipologia di soggiorno.
Sicché, secondo tale indagine, trenta milioni di italiani sarebbero colpiti dalla cedolare secca che sta per entrare in vigore con la manovrina del governo Gentiloni.
Di questi, hanno già usufruito del servizio o contano di farlo in futuro il 52% dei giovani compresi fra i 25 e i 34 anni, contro il 34% degli over 65.
L'aspetto più apprezzato di questo tipo di alloggio (con formula home sharing) resta il fattore economico, indicato dal 75% degli intervistati, la formula più economica rispetto alle tradizionali strutture ricettive.
Dal punto di vista territoriale, è emerso che il 57% sceglierebbe questo tipo di strutture per una meta europea, contro il 36% che le utilizzerebbe per un viaggio in Italia e solo il 7% per viaggiare fuori dall`Europa. Tra questi spicca il dato dei Baresi (49 %) e dei Bolognesi (83 %).
Gli aspetti controversi. Secondo Matteo Stifanelli (Country manager di Airbnb Italia),"Se la legge rimane questa siamo pronti a fare ricorso e ad aprire un contenzioso con lo Stato per tutelare i diritti dei nostri host”. In pratica, a parere del Manager di Airbnb Italia, la nuova imposta così come è stata pensata viola in diversi punti la normativa europea, soprattutto in termini di privacy e di territorialità; ciò, in quanto, il servizio Airbnb fattura i suoi servizi dall'Irlanda, sicché il ruolo di sostituto d'imposta comporterebbe l'obbligo di avere la residenza fiscale in Italia. Ed ancora, secondo Stifanelli,il vero nodo sono questi emendamenti intesi come "tentativi di introdurre oneri ingiusti che nulla hanno a che fare con un miglioramento del rapporto tra cittadino e fiscalità ma puntano, chiaramente, a limitare il diritto di condividere la propria casa”.


Fonte http://www.condominioweb.com/cedolare-secca-locazione-breve.13846#ixzz4ieqlOuqI
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martedì 30 maggio 2017

Anche in caso di distacco dall'impianto di riscaldamento si può prevedere il pagamento delle spese di gestione?


Anche in caso di distacco 

dall'impianto di riscaldamento

si può prevedere il pagamento 

delle spese di gestione?


La ripartizione delle spese successive al distacco è derogabile con volontà unanime dei condomini.



Ai sensi dell'art. 1118, co. 4, c.c., così come riformato dalla L. 220/2012, il condomino ha diritto di rinunciare all'utilizzo dell'impianto di riscaldamento centralizzato,se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.
In tal caso, il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto, nonché quelle relative per la sua conservazione e messa a norma.
Parafrasando il dettato normativo, il condomino sarà quindi tenuto a sostenere tali spese, poiché l'impianto centralizzato costituisce comunque un accessorio di proprietà comune (di cui rimane comproprietario) ed il condomino che ha effettuato il distacco, potrebbe, in futuro, decidere di riallacciarne nuovamente la propria abitazione.
Se questi sono i criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, il legislatore, con l'art. 1123, co. 1, c.c. [1] ,ne consente comunquela deroga convenzionale, non ponendo alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittimo unaccordo che ripartisce le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale [2] .
Questi i fatti di causa. Due condomine propongo appello contro una decisione della Corte d'Appello di Roma, confermata la decisione del Giudice di prime cure del Tribunale capitolino, inerente una deliberazione condominiale che aveva imposto ad entrambe di contribuire, nella misura del 50%, alle spese di gestione dell'impianto di riscaldamento centralizzato,nonostante le stesse se ne fossero distaccate anni addietro.
Decisivo, secondo la Corte, ai fini della decisione in tal senso, è stata la presenza all'interno del regolamento condominiale dell'art. 11.
Testualmente, tale articolo dispone che: "la rinuncia al servizio di riscaldamento centralizzato può essere ammessa purché per un'intera stagione e con le opportuna garanzia ed importa l'obbligo di pagare la metà del contributo che il rinunciante avrebbe dovuto pagare se avesse usufruito del servizio".
Il motivo di impugnazione delle ricorrenti, si basa sulla errata interpretazione della norma condominiale in oggetto da parte della Corte di Appello di Roma, rea di non aver ritenuto che il tenore letterale di tale norma convenzionale indicasse la rinuncia temporanea al riscaldamento, e non il distacco definitivo.
La Corte di Cassazione (ordinanza n°12580 del 18 maggio 2017)nel rigettare il ricorso, ribadisce la possibilità del regolamento condominiale di derogare ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, attesa l'insindacabilità nel merito delle norme contenute nel regolamento condominiale, salvo violazione delle stesse dei canoni di ermeneutica o vizi logici, così come confermato dall'orientamento costante della Corte [3] .
Circa il motivo di doglianza di parte attrice, la Corte, dopo aver motivato il rigetto affermando che non esiste alcuna ontologica temporaneità della "rinuncia" al riscaldamento, quale concetto da contrapporre al definitivo "distacco", ha ritenutodel tutto legittima la possibilità del regolamento condominiale di porre a carico del condomino che non fruisce più del servizio, di concorrere comunque al pagamento delle spese.
Coerente risulta quindi essere l'interpretazione data dalla Corte d'Appello di Roma, circa la possibilità dell'art. 11 del regolamento condominiale di prevedere, anche il caso di rinuncia al servizio di riscaldamento centrale (purché per una intera stagione), di essere obbligati a pagare la metà del contributo.
Infatti è oramai costante l'orientamento giurisprudenziale in materia, circa la possibilità da parte del regolamento condominiale di poter derogare ai criteri di ripartizione delle spese così come stabiliti dall'art. 1118, co. 4, c.c..
Tale assunto lo si evince dal combinato disposto degli art. 1123 c.c. (analizzato ad inizio articolo) e gli artt. 1139 c.c. e 72 delle disposizioni di attuazione c.c., quest'ultimi riportanti tassativamente i casi in cui l'assemblea e relativi regolamenti condominiali non possono derogare alle disposizioni codicistiche in materia, elenco nel quale non compare la previsione di cui art. 1118, co. 4, c.c..
=>

[1] Art. 1123, co. 1, c.c.: "Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edifici, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione".
[2] Le regole stabilite dal codice civile in materia di ripartizione delle spese condominiali possono essere modificate dall'assemblea. La deroga è valida se contenuta nel regolamento condominiale di tipo contrattuale, ossia approvato all'unanimità. Sul punto, vedasi Cass. n. 5814 del 23 marzo 2016; Cass. n. 28679 del 23 dicembre 2011.
[3] Conforme: Cass. n. 17893 del 31 luglio 2009.
 Corte di Cassazione ordinanza n°12580 del 18 maggio 2017


Fonte http://www.condominioweb.com/ripartizione-spese-successive-al-distacco-riscaldamento.13824#ixzz4iYcgUKHl
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Risponde l'acquirente o il vendito- re per le spese pregresse di acqua e riscaldamento emerse dopo la compravendita?


Risponde l'acquirente o il vendito-

re per le spese pregresse di acqua e riscaldamento emerse dopo la 

compravendita?


Compravendita di un immobile: nulla la delibera che attribuisca al nuovo proprietario gli oneri relativi ai consumi pregressi.




Nel caso di compravendita di un immobile ubicato in condomino, è nulla la delibera che attribuisca al nuovo proprietario gli oneri relativi ai consumi pregressi. Di tali spese risponde il venditore. È parimenti nulla la delibera che ripartisca le suddette spese in base ai millesimi e non all'uso (Tribunale di Treviso 18 ottobre 2016).
La vicenda. Il condominio citato in giudizio aveva approvato un bilancio straordinario per il ripianamento dei debiti verso i fornitori di acqua e gas, relativamente ad annualità pregresse (dal 2006 a seguire).
Un condomino, che aveva acquistato da poco un appartamento nello stabile condominiale, si vedeva attribuire il pagamento di quasi duemila euro in riferimento ad un periodo anteriore alla compravendita. Egli, pertanto, agiva in giudizio al fine di far dichiarare nulla la delibera in oggetto.
Il condominio si opponeva ritenendo l'attore decaduto dal diritto di impugnare la delibera, essendo decorso il termine di trenta giorni.
Inoltre, chiamava in causa il venditore, proprietario originario dell'appartamento, il quale a sua volta chiedeva il rigetto della domanda attorea.

 Tribunale di Treviso, 18-10-2016


Fonte http://www.condominioweb.com/compravendita-di-un-immobile-delibera-consumi-pregressi.13841#ixzz4iYY6z3zU
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Caduta calcinacci dal balcone in condominio e danni, chi paga?


Caduta calcinacci dal balcone 

in condominio e danni, chi paga?


Chi paga i danni causati dalla caduta di calcinacci dal balcone?





Chi dev'essere considerato responsabile e quindi chi deve pagare i danni derivanti dalla caduta di calcinacci da balconi nel caso di edificio in condominio?
Questo il quesito oggetto di numerose domande da parte dei nostri lettori.
balconi in condominio suscitano sempre grande interesse: anche se oramai la giurisprudenza ha cristallizzato nelle proprie interpretazioni le varie tipologie di questa struttura edilizia e le competenze che ne discendono in relazione alla responsabilità, v'è sempre chi non è ben addentro alla materia o comunque specifiche fattispecie che sembrano non adeguarsi completamente alle indicazioni giurisprudenziali.
Il balcone è quella parte dell'edificio solitamente posta a servizio di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva, chiuso almeno da un lato da un parapetto ed al quale si accede da una porta finestra.
La funzione del balcone è per l'appunto quella di dotare l'appartamento (o ufficio) di uno spazio aperto al quale accedere e dal quale affacciarsi.
In ambito giuridico si conoscono sostanzialmente due tipologie di balconi, o almeno sono due le categorie nelle quali si è soliti ricondurre i vari tipi:
a) balcone incassato;
b) balcone aggettante.
La prima tipologia è quella che non sporge rispetto alla facciata dell'edificio. La conseguenza di tale conformazione ha dei riflessi sugli assetti proprietari della struttura.
Il balcone incassato, infatti, è considerato alla stregua del solaio interpiano e il parapetto, ove rappresenti un unicum con la facciata, una parte di essa.
Si badi: non è sufficiente la semplice assenza di sporgenza per ricondurre i balconi tra i balconi incassati.
Com'ha fatto notare la Corte di Cassazione occorre che il piano di calpestio svolga la medesima funzione del solaio “vale a dire nel fatto che il balcone - come il soffitto, la volta ed il solaio - funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore” (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637).
Il balconi aggettanti, come ripete ormai da anni la Cassazione (ex pluribus Cass. 14576/2004), sono quelli che sporgono rispetto alla facciata dell'edificio e che non assolvendo alcuna funzione comune devono essere considerati di esclusiva proprietà dei titolari delle unità immobiliari dalle quali vi si accede.
Solo gli elementi decorativi della parte frontale e di quella sottostante (così detto cielino o sottobalcone) sono da ritenersi di proprietà comune.
I balconi, aggettanti o incassati che siano, sono condominiali se di pertinenza di unità immobiliari di proprietà comune (es. alloggio del portiere) o se vi si accede da uno spazio comune (es. dalle scale, da un pianerottolo, ecc.).
Date queste indicazioni imprescindibili, si possono trarre le conseguenti conclusioni in relazione alle responsabilità per i danni conseguenti alla caduta di calcinacci dai balconi in condominio.
Calcinacci caduti da balconi incassati e danni
In primis è necessario osservare da quale parte di questa struttura provengono i calcinacci.
Se si tratta della parte di struttura che funge da copertura per il piano sottostante, ove i calcinacci cadano al di fuori di quest'ultimo piano, è il suo titolare a doversi ritenere responsabile, a meno che il distacco non sia conseguenza di fenomeni infiltrativi provenienti dal piano superiore.
Nel caso di calcinacci provenienti dalla parte frontale, la responsabilità per i danni è del condominio nel caso in cui questa possa essere considerata parte integrante della facciata, oppure del singolo condomino che si faccia dal balcone, ove non sia ritenibile parte della facciata condominiale, ma mero elemento accidentale della medesima.
Calcinacci caduti da balconi aggettanti e danni
La caduta di calcinacci da balconi aggettanti comporta sempre una responsabilità in capo al proprietario dell'abitazione che il balcone serve.
Nemmeno nel caso di presenza di elementi decorativi da ritenersi comuni possono rintracciarsi responsabilità in capo al condominio, a meno che il distacco ed i conseguenti danni non provengano proprio da queste parti comuni (es. distacco in tutto i in parte di stucchi decorativi.)


Fonte http://www.condominioweb.com/caduta-calcinacci-dal-balcone-e-danni.13838#ixzz4iYWFeAAq
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Anche in presenza di espresso divieto contenuto nel regolamento di condominio ci si può staccare dal impianto di riscaldamento centralizzato?


Anche in presenza di espresso 

divieto contenuto nel 

regolamento di condominio 

ci si può staccare dal impianto 

di riscaldamento centralizzato?


Distacco dall'impianto di riscaldamento e regolamento condominiale




Il Tribunale di Padova aderisce all'orientamento di legittimità che consente il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato pur in presenza di un espresso divieto contenuto nel regolamento di condominio.
La vicenda. Viene impugnata da una società condomina la delibera, adottata nel febbraio del 2015, che aveva autorizzato il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato – distacco perfezionatosi già nell'ottobre del 2014 - delle unità appartenenti a un'altra società condomina.
In particolare, l'attrice rileva che la delibera aveva mutato i criteri di riparto delle spese comuni senza l'unanimità della compagine condominiale e con un voto addirittura inferiore alla metà del valore dell'edificio; che la delibera faceva illegittimamente retroagire gli effetti del distacco ad un momento antecedente l'autorizzazione medesima; che il distacco era stato realizzato in palese violazione del divieto previsto dal regolamento condominiale, che prevedeva un'eccezione solamente per i negozi.
Si costituisce il condominio contestando le pretese attoree, e interviene pure nel giudizio la società condomina che aveva effettuato il distacco rilevando che l'operazione si era necessariaa causa dell'irregolare/mancata erogazione del servizio di riscaldamento.
La sentenza. Il Tribunale di Padova rigetta le domande attoree (Trib. Padova n. 17.1.2017).
Il Giudice prende le mosse dal riformato art. 1118, comma 4 c.c. - che, com'è noto, consente a ogni condomino il diritto unilaterale a distaccarsi dall'impianto di riscaldamento condominiale a condizione che lo stesso dimostri di non causare alcun aggravio di spesa per gli altri condomini né squilibri termici pregiudizievoli per l'erogazione del servizio – ritenendo che la prova fosse stata raggiunta dall'intervenuta mediante un'esaustiva perizia tecnica e che “l'assemblea pertanto non avrebbe potuto negare l'autorizzazione al distacco (a meno che con una contro-perizia non si contestasse l'esistenza dei suddetti presupposti fornendo evidenza dell'erroneità della perizia del condominio), ciò a pena di nullità della delibera” (Cass. Civ. n. 5331/2012).
Ne consegueche “la delibera impugnata, non già deliberativa di diversa ripartizione, ma integrante una presa d'atto dell'esercizio del diritto del condomino, non richiedesse le maggioranze qualificate invocate dall'attrice e debba pertanto considerarsi legittimamente assunta a maggioranza semplice”.
Per quanto concerne, invece, la lamentata contrarietà del distacco rispetto al divieto previsto nel regolamento condominiale, il Giudice patavino aderiscea un orientamento di legittimità secondo cui “il regolamento di condominio, pur se contrattuale, non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge che tuteli interessi pubblici superiori, principio che sancisce la prevalenza del diritto del condomino di rinunziare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, in ottemperanza all'art. 1118, comma 4 c.c., sulle contrarie disposizioni contenute nel regolamento condominiale” (Cass. Civ. n. 19893/2011; ma si veda anche Trib. Torino ord. n. 20.2.2014).
A tale proposito va, tuttavia, dato conto anche dell'opposto orientamento, che ritiene al contrario ammissibile il distacco solamente “nel caso in cui il regolamento di condominio di natura contrattuale non lo vieti esplicitamente (Nella spese la corte ha affermato che il regolamento condominiale, anche se contrattuale, mentre non può consentire la rinuncio all'uso dell'impianto centralizzato con esonero delle spese, può, invece, prevedere il divieto dal distacco non essendo detto divieto in contrasto con la disciplina dell'uso della cosa comune” (Cass. Civ. n. 6923/2001; ma si veda anche Trib. Napoli n. 20.1.2010).
Dal momento, infatti, che l'art. 1118 c.c. non rientra tra le norme di funzionamento del condominio che l'art. 1138 c.c. considera inderogabili, è ben possibile che la compagine decida di deliberare il divieto assoluto di distacco per i partecipanti al condominio.
E' pure vero che, nel caso di specie, il regolamento consentiva il distacco limitatamente ai negozi “in virtù della loro destinazione commerciale e dalle esigenze particolari di riscaldamento che li contraddistinguono in quanto luoghi aperti al pubblico”:dal momentoche le unità della società intervenuta erano destinate a una scuola professionale, il Giudice ha motivato la propria decisione rilevando chel'attività esercitata potesse essere equiparata ad un luogo aperto al pubblico con destinazione commerciale.
STUDIO LEGALE AVV. GIUSEPPE ZANGARI
VIALE DELL'INDUSTRIA
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 Scarica Tribunale Di Padova Prima Sezione Civile Sentenza del. 17.1.2017


Fonte http://www.condominioweb.com/distacco-impianto-riscaldamento-regolamento-condominiale.13832#ixzz4iYUCGndm
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