lunedì 26 ottobre 2015

Certificazione energetica 2015: ecco quanto influisce sull’acquisto della casa

Certificazione energetica 2015: ecco quanto influisce sull’acquisto della casa

Maggiore l’appeal del green nell’acquisto di nuove costruzioni e di immobili in città

a cura di Redazione
26 ottobre 2015 
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Dal 1° ottobre di quest’anno sono entrati in vigore i nuovi decreti delMinistero dello Sviluppo Economico che completano il quadro normativo in materia di prestazioni energetiche degli edifici.

IL DECRETO - Il Decreto Legge “Linee guida per la certificazione energetica degli edifici” contiene la nuova disciplina per l’Attestazione della Prestazione Energetica degli Edifici (APE 2015). Il nuovo APE sarà uguale per tutto il territorio nazionale e offrirà al cittadino, alle Amministrazioni e agli operatori maggiori informazioni riguardo all’efficienza degli edifici e degli impianti, consentendo un più facile confronto della qualità energetica di unità immobiliari differenti e orientando il mercato verso strutture con migliore qualità energetica.

CLASSI ENERGETICHE - Le classi energetiche passano da sette a dieci, dalla A4 (la migliore) alla G (la peggiore). Il certificatore incaricato di redigere l’APE dovrà effettuare almeno un sopralluogo presso l’edificio o l’unità immobiliare oggetto di attestazione. Inoltre, l’APE dovrà indicare le proposte per migliorare l’efficienza energetica dell’edificio, distinguendo le ristrutturazioni importanti dagli interventi di riqualificazione energetica e segnalando le informazioni su incentivi di carattere finanziario per realizzarli. Infine, il Decreto Legge definisce uno schema di annuncio di vendita e di locazione che uniforma le informazioni sulla qualità energetica degli edifici e istituisce un database nazionale dei certificati energetici (SIAPE).

LA CONVENIENZA - Secondo un’analisi effettuata da Casa.it sull’offerta immobiliare presente nelle grandi città italiane – che costituisce oltre il 50% del totale delle abitazioni in vendita nel nostro Paese - gli annunci che riportano la classe energetica dell’appartamento in vendita rappresentano solo il 57% del totale, mentre per oltre il 40% delle abitazioni in vendita non viene fatto cenno alcuno alla classe di appartenenza. E per gli immobili in affitto la percentuale di annunci che riporta la presenza di certificazione energetica scende addirittura al 34% del totale. Dall’analisi geografica si evince che le Regioni più virtuose sono quelle del Nord Est con Trentino Alto Adige e Veneto a guidare la classifica, mentre nel Sud del Paese il tema della certificazione e del risparmio energetico sembra non avere fatto ancora breccia.
FONTE : SOLDIWEB.COM

Salta la compravendita se il venditore omette di compiere le formalità burocratiche entro la data concordata per la stipula del rogito

Se il venditore non regolarizza l'immobile entro la data del rogito il promissario acquirente può tranquillamente recedere dal contratto

Salta la compravendita se il venditore omette di compiere le formalità burocratiche entro la data concordata per la stipula del rogito


In tema di preliminare di vendita immobiliare, il promissario acquirente può legittimamente recedere dal contratto se il promittente venditore ha omesso di regolarizzare l'immobile compiendo, a tal fine, tutte le formalità burocratiche e amministrative necessarie entro la data prevista per la sottoscrizione del contratto definitivo.
È questo il principio espresso dalla quarta sezione delTribunale di Milano con la sentenza n. 4745, depositata il 16 aprile 2015, che ha condannato il promittente venditore a pagare il doppio della caparra ricevuta al momento del compromesso. Per il giudice milanese, la mancata sanatoria dell'immobile entro la data fissata per la stipula del rogito, così com'era stato pattuito dalle parti, integra un grave inadempimento che legittima il recesso ex art. 1385 c.c.
La controversia trae origine dal contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto un'unità immobiliare. Le parti s'impegnavano a stipulare il contratto definitivo entro il 15 dicembre; la promissaria acquirente versava al promittente venditore una caparra confirmatoria pari a 10.000 euro, a patto che il promittente venditore provvedesse a regolarizzare l'immobile oggetto del contratto, compiendo all'uopo tutte le formalità burocratiche e amministrative necessarie entro la data fissata per il rogito.
Accadeva che, alla data stabilita, la promissaria acquirente si rifiutava di stipulare la vendita asserendo che il promittente venditore non aveva provveduto a regolarizzare l'immobile; invocava dunque il recesso dal contratto preliminare per grave inadempimento della controparte, chiedendo contestualmente la restituzione del doppio della caparra versata.
La questione finiva in tribunale, ed il giudice, con la sentenza in commento, ha dato ragione alla promissaria acquirente, ritenendo legittimo il recesso dal preliminare per inadempimento.
In effetti, la CTU disposta nel corso del giudizio ha confermato che le difformità urbanistiche ed amministrative dell'immobile, che avevano portato l'attrice a rifiutare la stipula del rogito, esistevano sia alla data prevista per il rogito stesso (15.12.2010), sia alla successiva data del 27.12.2010, giorno in cui il promittente venditore, con raccomandata a.r., aveva assicurato alla controparte – peraltro dichiarando il falso – di aver provveduto alla regolarizzazione dell'immobile.
Il venditore aveva provato a difendersi, sostenendo di aver comunque provveduto a formalizzare le istanze amministrative necessarie il giorno dopo aver affermato di averle già eseguite, cioè il 28 dicembre, ma per il tribunale ciò non esclude la gravita dell'inadempimento.
Il giudice stigmatizza il comportamento scorretto del promittente venditore, che avrebbe dovuto provvedere in tal senso entro la data della stipula del rogito, e non dopo. È grave, poi, ai fini dell'affidamento della controparte, che egli abbia consapevolmente posto in essere dichiarazioni che sapeva non essere vere. Tra l'altro, in relazione al titolo abilitativo richiesto al Comune, il promittente non ha versato gli oneri richiesti, né ha provveduto alla presentazione della domanda di inizio e fine lavori. Quanto alla dichiarazione di agibilità, la richiesta di rilascio è sì del 28 dicembre, ma l'approvazione di agibilità è stata formalizzata solo a marzo 2011.
La presenza di tutti questi elementi – conclude il Tribunale – fa ritenere grave l'inadempimento del promittente venditore e legittima l'esercizio del diritto di recesso da parte della promissaria acquirente ex art. 1385 c.c., perché la condotta posta in essere è stata contraria a buona fede e idonea a nuocere gravemente all'affidamento della promissaria venditrice nella capacità del promittente venditore di adempiere alle obbligazioni contrattuali.
Confermato, dunque, il recesso del contratto e, per l'effetto, la condanna del promittente venditore al versamento a favore dell'attrice del doppio della caparra ricevuta, pari a 20.000 euro, oltre agli interessi ed alle spese del giudizio.
Tribunale di Milano, 16 aprile 2015, n. 4745


Fonte : http://www.condominioweb.com/se-il-venditore-non-regolarizza-limmobile-entro-la-data-del.12169#ixzz3pgZHwzHl

SAN MARTINO Interessante Soluzione

venerdì 23 ottobre 2015

In assenza di una deliberazione l'amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute

Spese urgenti. Il rimborso delle anticipazioni spetta solo se l'anticipazione è stata legittimamente approvata

In assenza di una deliberazione l'amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute


L'amministratore di condominio non ha – salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 c.c. in tema di lavori urgenti – un generale potere di spesa, in quanto spetta all'assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l'opportunità delle spese sostenute dall'amministratore.
Ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell'assemblea, l'amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché, pur essendo il rapporto tra l'amministratore ed i condomini inquadrabile nella figura del mandato, il principio dell'art. 1720 c.c. – secondo cui il mandante è tenuto a rimborsare le spese anticipate dal mandatario – deve essere coordinato con quelli in materia di condominio, secondo i quali il credito dell'amministratore non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte, dell'assemblea.
In applicazione di tali principio di diritto, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. 27.6.2011 n. 14197; Cass. civ. 20.8.2014 n. 18084), la Corte d'appello di Napoli ha confermato il rigetto della domanda di restituzione avanzata da una S.p.a. per le somme che asseriva di aver anticipato per conto del condominio da essa amministrato.
Secondo la corte territoriale partenopea, la società amministratrice avrebbe dovuto dimostrare rigorosamente le spese erogate, provando sia le forniture e i servizi ricevuti da terzi, sia di aver provveduto al pagamento, sia di aver personalmente fatto fronte con propri fondi a queste spese, che dovevano risultare superiori agli incassi.
Tale onere probatorio, nel caso di specie, non è stato adempiuto. Infatti, la società ha omesso di precisare quali erano le forniture ed i servizi di cui assumeva avere anticipato i corrispettivi e come aveva determinato l'ammontare del preteso credito. Neppure chiaro risulta come avesse concretamente quantificato il debito di ciascuno dei condomini convenuti. Inoltre, la società s.p.a.ha prodotto in giudizio una gran mole di documenti contabili, relativi agli anni in cui aveva ricoperto l'incarico di amministratore, senza tuttavia alcuno specifico e pertinente riferimento all'ammontare del credito che tali documenti avrebbero dovuto provare e senza, comunque, dimostrare di aver fronteggiato gli esborsi con fondi propri.
Da questa angolazione prospettica, anche il rifiuto di espletare la CTU contabile da parte del giudice di primo grado deve considerarsi corretto, perché la consulenza d'ufficio avrebbe avuto una inammissibile finalità esplorativa, diretta a far fronte alle carenze probatorie dell'attrice.
Il rimborso delle anticipazioni spetta solo se l'anticipazione è stata legittimamente approvata. Anche da questo punto di vista, la documentazione contabile prodotta in giudizio è stata ritenuta insufficiente. L'amministratore, infatti – salvo le spese urgenti ex artt. 1130 e 1135 c.c. – è privo di un generale potere di spesa, in quanto spetta all'assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l'opportunità delle spese sostenute dall' amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell'assemblea, l'amministratore non può esigere alcun rimborso delle anticipazioni da lui sostenute.
 Corte d'Appello di Napoli, 8 ottobre 2014



Delibere condominiali, non basta una raccomandata all'amministratore per contestarle

Ecco perchè non basta una raccomandata all'amministratore per contestare le delibere

Delibere condominiali, non basta una raccomandata all'amministratore per contestarle


Nel condominio in cui vivo all'inizio di settembre si è tenuta un'assemblea alla quale non ho potuto partecipare.
L'amministratore mi ha inviato il verbale e con mia grossa sorpresa ho scoperto che si è deciso di automatizzare il cancello carrabile; dico con grande sorpresa perché l'argomento non era inserito nell'ordine del giorno.
Quindi ho scritto subito dopo all'amministratore chiedendo di annullare quella delibera perché io non ero presente e non sapevo che avrebbero discusso di quell'argomento. Morale della favola: nessuna risposta sull'argomento, anzi! Tre giorni fa mi è arrivata una lettera dell'amministratore con la richiesta di pagamento delle quote per poter dare inizio ai lavori.
Com'è possibile tutto ciò? L'amministratore non era tenuto a riconvocare l'assemblea per decidere nuovamente o comunque per annullare la precedente delibera?
Sebbene ai più la risposta al nostro lettore possa apparire semplice, ci sono altrettanti “più” che ritengono che per la contestazione di una delibera condominiale sia sufficiente una lettera raccomandata all'amministratore. Le cose non stanno così ed anzi, la lettera da sola rischia di far perdere tempo e quindi di far consolidare il deliberato invalido.
Vale la pena comprendere il perché e quindi conoscere, per chi ancora non ne fosse a conoscenza, le ragioni che non consentono la contestazione di una delibera assembleare mediante sempliceinvio di una raccomandata.
L'addentellato normativo, come si dice in questi casi, è rappresentato dall'art. 1137, secondo comma, c.c., che recita:
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
E' l'Autorità Giudiziaria, quindi, l'organismo deputato a valutare l'illegittimità della deliberazione e dichiararne l'annullamento. Lo stesso dicasi per le delibere nulle: è sempre il giudice a dover accertare l'asserita nullità e quindi invalidare la deliberazione dell'assemblea.
Per Autorità Giudiziaria s'intende il Tribunale o il Giudice di Pace – dipende dal valore della controversia – del circondario nel quale è ubicato il condominio (art. 23 c.p.c.).
Bisogna ricordare, poi, che l'azione giudiziaria riguardante l'impugnazione di delibera dev'essere preceduta dall'esperimento di un tentativo di mediazione presso un organismo a ciò abilitato ed anche esso ubicato nel circondario dell'Autorità Giudiziaria competente (art. 71-quater disp. att. c.c. e art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010.
E la raccomandata? Quale può essere il suo valore?
Ai fini della contestazione della delibera, nessuno, puramente simbolico. Nel caso del nostro lettore, ad esempio, il semplice passare dei trenta giorni dalla comunicazione del verbale ha comportato la sua decadenza dal diritto di impugnare quella delibera il cui vizio comportava la sua annullabilità (art. 66 disp. att. c.c.).
E l'amministratore? Gli può essere mosso qualche addebito?
In buona sostanza l'amministratore è tenuto a convocare un'altra assemblea per evitare d'incorrere il responsabilità professionali?
In linea di principio sì: gli altri condòmini potrebbero rimproverargli di non averli messi in condizione di evitare una causa (e le relative spese), che avrebbero potuto evitare, ad esempio sostituendo la delibera. Il condomino che ha inviato la raccomandata, tuttavia, non può lamentarsi di nulla, in quanto l'amministratore non gli ha impedito di contestare quel deliberato.





La clausola di rinnovo tacito dei contratti può essere vessatoria


Locazione, ecco perchè la clausola di rinnovo tacito può essere vessatoria

La clausola di rinnovo tacito dei contratti può essere vessatoria





Il contratto s'intenderà tacitamente rinnovato se nessuna delle parti farà pervenire formale disdetta a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento entro un mese prima della data di scadenza del contratto.
Questa bozza di clausola, simile a tante altre presenti in centinaia, meglio migliaia di contratti, potrebbeessere considerata vessatoria se inclusa in un formulario predisposto da uno dei contraenti e non specificamente approvata dalla controparte contrattuale.
Questa, in breve sintesi, la decisione resa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20402 depositata in cancelleria il 12 ottobre 2015.
Dopo la querelle sulla vessatorietà del termine lungo di disdetta riguardante alcuni contratti di manutenzione ascensore, finiti nel mirino dell'antitrust, è toccato allo stesso istituto della proroga tacita finire sotto la lente d'ingrandimento dei giudici, questa volta di Cassazione.
Come vedremo qui appresso, non è la prima volta che gli ermellini si pronunciano sull'argomento. La sentenze, quindi, assume importanza in quanto va a consolidare un orientamento già esistente e che affonda le proprie radici negli anni passati.
Si badi: i giudici di piazza Cavour non mettono in discussione l'intero istituto della rinnovo tacito. In buona sostanza per la Cassazione non è l'effetto del silenzio ad essere di per sé illegittimo, ma le modalità con le quali si dà importanza a tale silenzio. Una questione di forma? Si, in parte si, cioè nella misura in cui la forma viene a coincidere con la sostanza divenendone parte integrante.
Per la Suprema Corte, insomma, ciò che conta è che l'applicazione del così detto rinnovo tacito, anche se la clausola opera reciprocamente, sia oggetto di specifica pattuizione/approvazione tra le parti contraenti.
Si legge in sentenza che “pur se una clausola, predisposta unilateralmente, non è a carico soltanto dell'altro contraente, avendo effetto per entrambe le parti - nella specie tacita proroga o rinnovo del contratto in difetto di tempestiva disdetta - non perciò è sottratta alla necessità di specifica approvazione per iscritto, ai sensi dell'art. 1341 cod. civ., perché comunque colui che la propone ha preventivamente valutato i vantaggi derivantegli dalla accettazione di essa, a differenza del contraente per adesione, che perciò è necessario vi ponga particolare attenzione” (Cass. n. 2152 del 1998)” (Cass. 12 ottobre 2015 n. 20402).
La sentenza citata nella pronuncia in esame è in realtà uno dei tanti precedenti in tal senso, unorientamento consolidato nel tempo e che trova le proprie radici nel finire degli anni settanta.
Insomma se una parte, ossia quella che predispone il contratto, inserisce nell'accordo una clausola che stabilisce che esso si proroghi tacitamente se non arriva disdetta, quella clausola può essere considerata valida se e solo se viene specificamente approvata dalla controparte anche se la rinnovazione tacita ha valore reciproco, poiché chi ha previsto ciò s'è fatto bene i calcoli sulla sua convenienza e quindi deve dare all'altro contraente particolare evidenza di questo aspetto del contratto. Questa, in sostanza, la logica alla base del ragionamento dei giudici di Cassazione.


giovedì 22 ottobre 2015

Bollette elettriche in condominio, quando si perde l’Iva agevolata

Bollette elettriche in condominio, quando si perde l’Iva agevolata

di Paola Mammarella
 

Agenzia Entrate: se ci sono appartamenti e immobili a uso non abitativo, ma un unico contatore, sulle parti comuni tutte le bollette pagano l’Iva ordinaria

22/10/2015 – Cosa accade se un condomino cambia la destinazione d’uso del suo appartamento? L’Iva sulla bolletta elettrica passa dal 10% al 22%, cioè viene meno l’agevolazione riconosciuta alle abitazioni.
 
Ciò che l’Agenzia delle Entrate – Direzione generale della Lombardia, ha spiegato rispondendo all’Interpello 904-492, è che l’aumento può ripercuotersi anche sugli altri condòmini e coinvolgere le parti comuni se i contatori non consentono un’esatta ripartizione dei consumi.
 
Il Fisco ha chiarito che se il condominio è costituito solo da unità abitative e immobili pertinenziali, la fornitura di energia elettrica alle parti comuni viene assoggetta all’aliquota ridotta al 10%.
 
Se, al contrario, nel condominio ci sono sia appartamenti ad uso abitativo siauffici e autorimesse, non pertinenziali alle abitazioni, e non c'è la possibilità di distinguere i consumi degli uni e degli altri, sull’energia fornita alle parti comuni scatta l’Iva ordinaria al 22%. L’aumento dell’aliquota colpisce tutti, anche i proprietari degli immobili destinati ad uso abitativo.
 
La situazione cambia se ci sono contatori distinti. Quando è possibile ripartire oggettivamente i consumi di energia elettrica delle parti comuni tra quelli destinati agli usi domestici agevolati e quelli destinati ai consumi non agevolati, i proprietari delle abitazioni pagano l’Iva sulla bolletta al 10% mentre i condòmini titolari di immobili a uso diverso non usufruiscono dell’agevolazione e viene loro applicata l’aliquota ordinaria.
 
Il secondo caso rappresenta una soluzione più equa, che mette al riparo da eventuali contenziosi tra condòmini, ma necessita dell’installazione di un nuovo contatore.
 fonte : edilportale.com

Prorogate le detrazioni del 65% e del 50% per tutto il 2016

Prorogate le detrazioni del 65% e del 50% per tutto il 2016


Approvato dal Consiglio dei ministri il disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
Proroga delle detrazioni fiscali. Il Consiglio dei ministri ha approvato da pochi giorni il disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, ossia la Legge di Stabilità 2016. La detrazione fiscale del 65% per le riqualificazioni energetiche degli edifici (ecobonus) e la detrazione fiscale del 50% per le ristrutturazioni edilizie sono state prorogate per un altro anno, fino al 31 dicembre 2016. Per quest'ultimo restano valide le regole precedenti: ripartizione in 10 rate annuali e tetto massimo di 96 mila euro.
Il ministro dell'ambiente, Gian Luca Galletti, ha affermato che l'ecobonus é stato uno strumento che ha "funzionato e che quindi bisogna continuare ad applicare. È stata un'esperienza molto positiva, dobbiamo continuarla, sia per l'efficienza energetica sia perché dimostra come le buone pratiche ambientali siano un volano per l'economia del Paese, mettendo in moto investimenti per le piccole e medie imprese sul territorio".
È stata confermata ancora per un anno anche la detrazione del 50% per l'acquisto dei mobili e di grandi elettrodomestici in classe A+ (A per i forni), per un importo massimo complessivo di 10.000 euro e in 10 rate annuali.
Inoltre, la detrazione del 65% coinvolge le schermature solari, gli interventi antisismici e di bonifica dell'amianto.
Estensione delle detrazioni alla ERP. La Legge di stabilità 2016, ancora, ha ampliato l'ecobonus 65% all'edilizia residenziale pubblica (ERP). A tal proposito, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato un "intervento straordinario sulle case popolari", da realizzarsi grazie all'inserimento, nella manovra varata dal Consiglio dei ministri, di 170 milioni di euro destinati agli interventi di recupero degli ex Iacp e di relativa manutenzione. => Detrazioni fiscali e videocitofono
Gli avanzi di amministrazione degli enti locali, poi, potranno essere utilizzati per interventi contro le frane, per la pulizia dei fiumi e contro il dissesto idrogeologico.
La reazione di Federcasa. A proposito del recupero delle case popolari, Luca Talluri, presidente dell'associazione Federcasa, ha commentato: " Si tratta di una cifra significativa e di una scelta politica chiara, che rimette l'Erp come priorità politica ed elemento centrale, anche se non esclusivo delle politiche dell'abitare sociale". E ha continuato: "Quanto deciso da Palazzo Chigi ci consentirà di dare una risposta concreta e significativa al disagio abitativo, ovvero alle fasce più povere della popolazione, il tutto in tempi rapidi. Inoltre, dal punto di vista politico, creerà uno spazio temporale per ipotizzare le soluzioni strutturali su questo tema". Infine, ha concluso dicendo: "Adesso sarà compito nostro lavorare seriamente per realizzare questo recupero di alloggi, mentre le Regioni dovranno agevolare con qualsiasi strumento il flusso di finanziamento alle nostre aziende".
Stabilizzazione dell'Ecobonus 65%. Il M5S vedrebbe di buon occhio una stabilizzazione dell'Ecobonus, da realizzare mediante una proroga dello stesso fino al 2020, in quanto "permetterebbe l'accesso all'incentivo anche a 14 milioni di condomini che con la proroga annuale non hanno i tempi per organizzare l'investimento". Di diverso avviso è il ministro Galletti, secondo il quale, invece, una stabilizzazione rischia di compromettere l'efficacia della norma.



Infiltrazioni e danni al conduttore, il proprietario non è responsabile dell'intasamento causato da altri

Infiltrazioni e danni al conduttore, il proprietario non è responsabile dell'intasamento causato da altri


In tema di danni da infiltrazioni provenienti dalla condotta fognaria e subiti dal conduttore di un'unità immobiliare, nessuna responsabilità può essere ascritta al proprietario del locale se si accerta che il danno è stato causato da un intasamento provocato da altri condòmini.
Questo, in breve sintesi, quanto affermato dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 20474 depositata in cancelleria il 12 ottobre 2015.
Il “casus belli”: il conduttore di un magazzino proponeva una causa contro il proprietario di quell'unità immobiliare per vedersi risarcito dei danni subiti dal proprio materiale ivi depositato in conseguenza di infiltrazioni di acque nere nel suddetto locale.
Il fatto, così come descritto, non era contestato. L'infiltrazione in effetti c'era stata e con essa anche i danni ai beni di proprietà del conduttore. Le parti, tuttavia, litigavano sulla responsabilità.
Per l'inquilino era il proprietario ad essere responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c., ossia per danni da cose in custodia e più nello specifico per i danni provenienti dalla rottura di una tubazione del locale.
Il proprietario, invece, riteneva che non gli potesse essere mosso alcun rimprovero e quindi nessuna responsabilità poiché il danno proveniva dall'impianto comune ed era stato causato da un intasamento della tubazione condominiale a sua volta.
L'azione proposta dal conduttore si fondava sulla responsabilità per danno da cose in custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c.
Per la Corte di Cassazione – e prima di essa per la Corte d'appello la cui sentenza era stata impugnata – quest'azione non era meritevole di accoglimento.
Secondo gli ermellini, infatti, nel caso di specie era emerso in modo chiaro ed incensurabile che “il danno verificatosi nel magazzino condotto in locazione dal ricorrente non è dovuto ad una rottura o alla omessa manutenzione delle tubature di proprietà esclusiva del locatore, ma alla ostruzione della colonna condominiale, dovuta al fatto del terzo che vi ha immesso materiali inappropriati, in corretta applicazione del principio secondo il quale in caso di danni subiti dal conduttore dell'immobile locato a causa di perdite verificatesi all'interno dell'immobile è esclusa la responsabilità per custodia del locatore allorchè risulti accertata l'esimente del caso fortuito, ovvero che il danno si sia verificato per il fatto di un terzo (o dello stesso danneggiato), ovvero per una causa non imputabile al locatore” (Cass. 12 ottobre 2015 n. 20474).
Ciò vuol dire che al proprietario dell'unità immobiliare non possono essere addossate responsabilità per fatti non a lui riconducibili, proprio com'è accaduto nel caso di specie.
Si badi: un conto è la responsabilità per i danni alle cose, altro l'obbligo del titolare del locale di mantenerlo idoneo all'uso convenuto. Rispetto a quest'ultima ipotesi, infatti, il proprietario non può esimersi dall'obbligo da tale obbligo specificamente previsto dall'art. 1575 c.c.
In tal senso la Cassazione ha più volte affermato che "nel caso in cui nello immobile locato l' utilizzazione dei locali divenga inagibile a causa di infiltrazioni di acqua provenienti da parti comuni dello edificio, sussiste la obbligazione principale del locatore in ordine al mantenimento della cosa locata in stato da servire allo uso convenuto. Dedotta ed accertata anche a mezzo di CTU la violazione di tale obbligo, il conduttore dispone di azione risarcitoria consequenziale allo inadempimento, potendo ben richiedere il ripristino dei locali per utilizzarli secondo lo uso convenuto ed il maggior danno da inadempimento" (così, ex multis, Cass. 28 giugno 2010 n. 15372).
Cass. ord. 12 ottobre 2015 n. 20474



martedì 20 ottobre 2015

Condannato a risarcire i danni l'inquilino che non fa visitare l'alloggio ai possibili acquirenti


Condannato a risarcire i danni l'inquilino che non fa visitare l'alloggio ai possibili acquirenti





Deve risarcire i danni al proprietario dell'immobile l'affittuario che non rispetta l'obbligo, contrattualmente assunto, di far visitare l'immobile agli aspiranti acquirenti. Infatti, l'impedimento dell'accesso del proprietario in un immobile dallo stesso destinato alla vendita è in sé idoneo a pregiudicare le trattative e la possibilità stessa dell'alienazione.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19543 depositata il 30 settembre 2015, che conferma la condanna del conduttore a consentire l'accesso all'abitazione una volta alla settimana per almeno due ore con esclusione dei giorni festivi, nonché al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio.
Il conduttore aveva proposto ricorso in cassazione sostenendo, tra l'altro, di aver impedito la visita dell'immobile soltanto in una circostanza, per cui non si poteva configurare alcun inadempimento contrattuale. Ma a smentire argomentazioni del conduttore c'è una lettera che lo stesso aveva fatto inviare dal suo avvocato per mettere in discussione il diritto di visita. In un'altra occasione, inoltre, il conduttore, restio ad aprire la porta di casa alle visite, aveva affermato che queste erano in contrasto con la tutela della sua libertà personale.
Per la suprema Corte si tratta di circostanze che confermano la volontà del conduttore di non adempiere all'obbligo contrattuale, con un comportamento evidentemente contrario alla buona fede che deve caratterizzare l'esecuzione del contratto. Dunque, la sentenza impugnata, messo in risalto che il base alla clausola contrattuale il conduttore era tenuto a consentire la visita dell'immobile, e che la stessa prospettata violazione della libertà personale con il diritto di visita era significativa della volontà di sottrarsi all'adempimento di obblighi assunti, ha correttamente valutato l'inadempimento della clausola in argomento.
La Cassazione ha respinto anche le eccezioni contro la condanna al risarcimento del danno, consistenti nella presunta assenza di prova circa il nesso di causalità tra condotta e danno.
Secondo i giudici di legittimità, l'impedimento dell'accesso del proprietario in un immobile dallo stesso destinato alla vendita è in sé idoneo a pregiudicare le trattative e la possibilità stessa dell'alienazione. Peraltro, nella stessa clausola contrattuale, esplicitamente si collegava il diritto di visita con la decisione di vendere l'immobile.
Nel caso di specie – conclude la Corte – è stato correttamente applicato il principio secondo il quale la condanna generica al risarcimento danni presuppone soltanto l'accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, in base ad un accertamento anche di probabilità o di verosimiglianza, mentre la prova dell'esistenza in concreto del danno, della sua reale entità e del rapporto causale è riservata alla fase successiva di determinazione e di liquidazione, “sicché la pronuncia sulla responsabilità si configura come una mera declaratoria juris, da cui esula qualunque accertamento in ordine alla misura ed alla concreta sussistenza del danni, con la conseguenza che il giudicato formatosi sulla responsabilità non incide sul giudizio di liquidazione” (Cass. civ. n. 6257 del 2002).
Cassazione civile, n. 19543 del 30 settembre 2015


Fontehttp://www.condominioweb.com/ecco-cosa-succede-se-linquilino-non-fa-visitare-limmobile.12143#ixzz3p73rw4EG

Risarcimento danni dall'assicurazione e franchigia: a chi spetta pagare la differenza?

Risarcimento danni dall'assicurazione e franchigia: a chi spetta pagare la differenza?


Nel condominio in cui vivo si è verificato un danno da infiltrazioni dal tetto comune verso un'unità immobiliare di proprietà esclusiva.
L'amministratore ha subito provveduto a denunciare il sinistro all'assicurazione, la quale ha valutato il danno come rientrante tra quelli risarcibili e si è quindi aperta la fase di liquidazione del danno.
Lo stesso amministratore, nelle varie comunicazioni intercorse con la società assicuratrice, aveva inviato un preventivo di spesa per il risarcimento del danno al condomino. Abbiamo saputo che il danno ammontava a 900,00 euro.
Il problema è che per questo genere di danni la polizza prevede una franchigia di 200,00 euro: in pratica l'assicurazione ha mandato all'amministratore un assegno da 700 euro.
Il condomino danneggiato ha preso la somma specificando, per iscritto, che la tratteneva a titolo di acconto sulla maggior somma prevista nel preventivo a suo tempo presentato e chiedendo il saldo.
Io ritengo che siccome l'assicurazione ha riconosciuto 700 euro gli altri 200 euro, vista la franchigia, li debba considerare “andati persi”. Sbaglio?
Al nostro lettore, in questo caso, dobbiamo dare una brutta notizia. Il condomino, suo vicino, ha ragione: egli ha diritto al risarcimento integrale del danno subito (con defalcamento della propria quota in quanto comproprietario) ed è il condominio a “dover mettere mano al portafoglio” e riconoscergliela.
Vediamo perché.
È sempre utile ricordare che quello di assicurazione è un contratto grazie al quale l'assicurato, dietro il pagamento di un premio, si vede indennizzato dalla compagnia per i danni che dovessero derivare da specifici eventi (così detti sinistri) previsti dal contratto stesso.
La manleva economica, tuttavia, non vuol dire esonero dalla responsabilità, ossia dagli obblighi connessi alla posizione che si assume rispetto al bene/evento che ha causato il danno.
D'altra parte l'assicurazione per la responsabilità civile per danni circolazione dei veicoli copre l'assicurato rispetto ai risarcimenti, ma la colpa del sinistro resta sempre in capo al suddetto assicurato.
Lo stesso discorso riguarda il danno da infiltrazioni provenienti dal tetto condominiale: il fatto che l'assicurazione intervenga per tenere indenne da conseguenze economiche il custode del bene non vuol dire che lo mandi esente da responsabilità. L'esistenza di una franchigia – ossia di un'aliquota esclusa dall'indennizzo – non fa venire meno il dovere da parte del custode del bene di risarcire al danneggiato l'intero pregiudizio subito.
Nulla vieta, naturalmente, che le parti possano mettersi d'accordo e stabilire che la liquidazione dell'assicurazione possa considerarsi sufficiente, ma nel caso che ci ha sottoposto il nostro lettore, ci pare che le cose non stiano esattamente in questo modo.
In conseguenza della situazione descritta, quindi, l'amministratore (se non vi sono contestazioni in merito alla quantificazione del danno, come pare non ve ne siano) dovrà provvedere a ripartire il danno tra tutti i condòmini, sottraendo dalla somma dovuta la quota parte del danneggiato quale comproprietario del tetto.


Fonte http://www.condominioweb.com/danno-da-infiltrazione-dal-tetto-comune-e-risarcimento-dallassicurazione.12146#ixzz3p72NBkkM
 

Non è possibile applicare l'iva del 10% alle forniture di corrente elettrica destinate anche in parte ad unità non abitative.


Non è possibile applicare l'iva del 10% alle forniture di corrente elettrica destinate anche in parte ad unità non abitative.




Energia elettrica: il doppio contatore fa “risparmiare” sull'IVA
Il principio è stato espresso dall'Agenzia nelle Entrate in risposta all'interpello n. 904-492/2015formulato da un condominio composto in prevalenza da abitazioni e solo per una parte residua da unità adibite ad altro uso.
Nell'istanza di interpello avanzata all'Agenzia delle Entrate il condominio riteneva corretta l'applicazione dell'IVA nella misura del 10% alla fornitura di energia elettrica complessiva (agganciata ad un unico contatore) sul rilievo che soltanto una parte modesta di essa era destinata alle unità non abitative che scontano l'aliquota ordinaria.
Tranchant la replica del Fisco: l'applicazione dell'aliquota ridotta del 10% è riservata alle sole utenze ad uso abitativo. La soluzione? Installare un secondo contatore per le altre utenze cui si applicherà l'aliquota ordinaria.
La linea dura del Fisco - che ha aderito ad una interpretazione rigida della tabella A, parte III allegata al D.P.R. n. 633/72 riservata alle cessioni di beni e prestazioni di servizi ad aliquota ridotta del 10% - non appare del tutto coerente con le regole di sistema atteso che nel settore edilizio, ad esempio, lo sconto di imposta applicato alle manutenzioni di edifici è ancorato al criterio della prevalenza dell'uso abitativo, essendo agevolabili soltanto gli interventi su quelli la cui superficie totale dei piani fuori terra è destinata per oltre il 50% ad uso abitativo privato.
La risposta all'interpello del contribuente da parte dell'Agenzia delle Entrate deve spingere tutti quei condomini che hanno un solo contatore per forniture di energia elettrica ad uso promiscuo e che purtuttavia scontano l'aliquota ridotta a verificare “bollette alla mano” l'incidenza dei consumi per gli usi non abitativi.
In caso di accertamenti, infatti, è possibile il recupero anche in via presuntiva dell'IVA non pagata per la differenza tra l'aliquota ordinaria e quella agevolata per uso abitativo.
Al riguardo deve essere tenuto presente che sebbene l'onere di provare la sussistenza dei presupposti per fruire di un'aliquota ridotta spetta in genere al cedente o prestatore - responsabili tra l'altro della correttezza delle fatturazioni anche nei casi limite di dichiarazioni dubbie da parte di terzi beneficiari – nulla toglie che l'IVA non pagata sulle forniture non agevolabili possa essere richiesta anche a questi ultimi.
Insomma, la scelta consigliata per dormire sonni tranquilli è l'installazione di un doppio contatore.

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