giovedì 8 ottobre 2015

Il voto in assemblea dei condòmini in conflitto di interessi con il condominio.

Il voto in assemblea dei condòmini in conflitto di interessi con il condominio.


La Cassazione, con una recente sentenza ha risolto il problema delle conseguenze sul voto in assemblea dei condòmini che siano in conflitto di interessi con il condominio.In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dal voto.
Ne consegue che, anche nell'ipotesi di conflitto d'interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla leggee, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria.
A sancirlo è la seconda sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19131, depositata il 28 settembre 2015. In pratica, anche in caso di astensione dal voto dei condomini in conflitto di interessi, le maggioranze necessarie per approvare la delibera vanno comunque riferite al numero totale dei condomini ed al valore dell'intero edificio, non potendo essere detratte le quote (personali e reali) dei condomini in posizione di conflitto.
Il fatto – La sentenza origina da una delibera assembleare di un supercondominio impugnata da alcuni condomini, alcuni dei quali avevano dichiarato il conflitto di interessi e si erano astenuti dal voto. Oggetto della lite era dunque la computabilità, ai fini delle maggioranze necessarie, dei partecipanti in conflitto di interessi: se, cioè, le necessarie maggioranze debbano essere calcolate comunque con riferimento a tutti i condomini e al valore dell'intero edificio; oppure soltanto considerando le teste e i relativi millesimi dei singoli partecipanti che non si trovino in conflitto di interessi per quel determinato affare.
La suprema Corte ha dato risposta affermativa attraverso un'articolata motivazione, di cui riportiamo di seguito i passaggi più rilevanti. La sentenza ruota intorno ad un precedente della stessa Cassazione (n. 1201 del 2002).
Il conflitto di interesse nel diritto societario. L'art. 2373 c.c., dettato in tema di società di capitali, stabilisce l'obbligo di astensione del socio in posizione di conflitto e l'impugnabilità della delibera “se, senza il voto dei soci che avrebbero dovuti astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza”.Nelle società di capitali, dunque, il quorum deliberativo deve essere computato non già in relazione all'intero capitale sociale, bensì in relazione alla sola parte di capitale facente capo ai soci aventi diritto al voto, con esclusione della quota dei soci in posizione di conflitto.
Perché l'art. 2373 c.c. non può applicarsi al condominio? La diversa ipotesi del potenziale conflitto d'interessi tra il condominio e i singoli partecipanti non è regolata dall'ordinamento, ragion per cui, in passato, parte della giurisprudenza ha ritenuto di applicare, in via analogica, l'art. 2373 c.c. La sentenza in commento, invece, smentisce tale impostazione, ritenendo non applicabile tale disposizione al condominio, il quale ha caratteristiche proprie che lo differenziano nettamente dalle società in ordine:
- Al rapporto esistente tra gestione delle cose comuni e fruizione delle proprietà esclusive;
- Alla diversità strutturale del funzionamento delle assemblee nelle società di capitali e di quelle condominiali.
In ordine al primo punto, la Corte rileva che nell'organizzazione dell'assemblea la gestione delle parti comuni è predisposta in funzione del godimento delle parti comuni e, soprattutto, in funzione strumentale a vantaggio del godimento delle proprietà esclusive, per cui la disciplina del metodo collegiale e del principio di maggioranza occorrenti per la validità delle delibere non possono essere modificati.
Sotto il secondo profilo, deve rilevarsi che nell'assemblea condominiale – sia prima che dopo la legge di riforma – il quorum deliberativo (come quello costitutivo) è determinato con riferimento sia all'elemento personale (per teste), sia all'elemento reale (per valore). Da nessuna parte si prevede che, ai fini della costituzione dell'assemblea, non si tenga conto di taluni condomini e dei relativi millesimi.
In definitiva, secondo la Corte i quorum previsti dall'art. 1136 c.c. sono inderogabili in meno, anche nelle ipotesi di conflitto d'interessi. Ciò si ricava, peraltro, dall'art. 1138, co. 4, c.c., secondo cui il regolamento di condominio in nessun caso può derogare alle norme ivi richiamate, comprese quelle stabilite dall'art. 1136 c.c. concernenti la costituzione dell'assemblea e la validità delle delibere.
La conclusione a cui giunge la Cassazione è chiara: nel caso in cui l'assemblea non sia in grado di deliberare, perché non si raggiunge la maggioranza prescritta per l'esistenza di condomini in conflitto d'interessi, non è possibile rideterminare le maggioranze richieste dall'art. 1136 c.c., perché ciò “sovvertirebbe gli equilibri fissati, sulla base degli elementi personale reale, dalle regole concernenti il metodo collegiale ed il principio maggioritario”.
L'unico rimedio da applicare in questi casi è quello previsto dall'art. 1105 c.c., secondo cui,quando non si formano le maggioranze, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria.
Cassazione civile, n. 19131 del 28 settembre 2015





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