sabato 4 febbraio 2017

Tettoie, se alterano la volumetria serve il permesso di costruire



Tettoie, se alterano la volumetria serve il permesso di costruire

di Paola Mammarella

Tar Campania: il permesso va richiesto anche quando si modifica la sagoma di un immobile vincolato o la destinazione d’uso nei centri storici



03/02/2017 – Una tettoia, realizzata per coprire un balcone o un terrazzo, non necessita del permesso di costruire se non altera la volumetria dell’edificio. Lo ha stabilito il Tar Campania con la sentenza 109/2017.

Quella della volumetria non è l’unica condizione posta dai giudici, ma la sostanza è che, se una tettoia con determinate caratteristiche è realizzata senza permesso di costruire, il responsabile pagherà al massimo una multa, ma non dovrà demolirla.

Tettoie e permesso di costruire

Il Tar ha spiegato che, per rientrare nella normativa sul permesso di costruire e l’eventuale demolizione delle opere illegittime, prevista dal Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), l’intervento deve portare “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. Ma non solo, perché è necessario anche che i lavori comportino un aumento della volumetria o la modifica dei prospetti.

Il permesso di costruire è richiesto anche, ha ricordato il Tar, quando si effettuano lavori che cambiano la destinazione d’uso degli immobili situati nei centri storici e quando si altera la sagoma degli immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 42/2004).

Nel caso preso in esame dai giudici, era stata realizzata una tettoia di 31,42 metri quadri, altezza in gronda di 2,50 metri e alla gronda di 2,65 metri. L’edificio non era vincolato né si trovava in un centro storico. Restava quindi solo da capire se alterasse la volumetria preesistente. Dato che il manufatto era aperto su tre lati, tranne quello appoggiato al muro dell’edificio principale, i giudici hanno respinto la richiesta di demolizione avanzata dal Comune.
 FONTE: EDILPORTALE.COM

Definizione di vano catastale



Definizione di vano catastale


Cosa si intende per vano catastale



 





In ambito catastale, ai fini di una regolare tenuta dello stesso in ragione della necessità di determinare la rendita delle unità immobiliari ai fini dell'applicazione delle imposte fondiarie, un ruolo fondamentale assumono i vani e più nello specifico i così detti vani catastali.
Questa la prima distinzione che bisogna tenere bene a mente: un vano, comunemente inteso, è cosa differente dal vano catastale.
Il vano, nella sua accezione comune, è un ambiente che va a comporre un'unità immobiliare. In ambito catastale, la definizione va ricercate nel decreto del Presidente della Repubblica n. 1142 del 1949.
Ai sensi dell'art. 45 del testé citato d.p.r. “per la misura della consistenza dell'unità immobiliare con destinazione ordinaria ad uso di abitazione si assume come elemento unitario di vano utile. Si considera vano utile quello che ha destinazione principale (camera, stanza, salone, galleria e simili), nell'uso ordinario della unità immobiliare”.
La consistenza è la grandezza catastale utile ai fini propri del catasto, ossia alla determinazione delle rendite fondiarie.
Da questa prima disamina, quindi, si evince chiaramente che ai fini catastali un vano destinato a stanza da letto è cosa diversa da uno destinato a ripostiglio. È la differenza normativamente individuata nella dicotomia vani principali – vani accessori.
L'art. 46 del d.p.r. n. 1149/1942 delinea il concetto di vano accessorio, affermando, al secondo comma, che: “si considerano vani accessori quelli necessari al servizio o al disimpegno dei vani principali (latrine, bagni, dispense, ripostiglio, veranda, ingresso, corridoio e simili), nonché quelli che, pur non essendo strettamente necessari alla utilizzazione dei vani principali, ne integrano la funzione (soffitte, cantine, bucatai, spanditoi, stalle, granai, porcili, pollai e simili).
Sono compresi fra gli accessori quelli che, pur avendo destinazione principale nell'uso ordinario dell'unità immobiliare, hanno superficie minore di quella minima prestabilita in ogni zona censuaria per ciascuna categoria e classe”.
Il vano accessorio entra nel computo dei vani utili ai fini catastali nella misura fissata dagli usi locali; ciò vuol dire che un insieme di due vani accessori possono essere un vano utile ai fini catastali oppure mezzo vano utile a seconda della zona in cui è ubicato l'immobile.
Tale modalità di calcolo non riguarda solamente i vani accessori, ma anche i vani principali particolarmente grandi. Si tratta dei così detti vano ragguagliati, rispetto ai quali l'art. 47 del d.p.r. n. 1142/1949 recita:
Si computano per più di un vano utile i vani principali che abbiano superficie maggiore di quella massima stabilita in ogni zona censuaria per ciascuna categoria e classe. Il ragguaglio a vani utili od a frazione di vano utile della eccedenza di superficie, rispetto a quella massima anzidetta, viene fatto rapportando l'eccedenza alla superficie massima stessa”.
L'accatastamento è operazione demandata a tecnici del settore (es. geometri) e la verifica è rimessa agli uffici catastali della provincia di riferimento. 


Fonte http://www.condominioweb.com/vano-catastale-definizione.13397#ixzz4XiXoaTEO
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Decreto ingiuntivo, quali costi iniziali a carico del creditore?




Decreto ingiuntivo, quali costi 

iniziali a carico del creditore?


I costi del decreto ingiuntivo e l'importo del contributo unificato











Quali sono i costi iniziali che un creditore deve sostenere per iniziare l'azione giudiziaria tesa ad ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento?
Si badi: si tratta di somme che il creditore anticipa per poi vedersi rifuse al momento dell'adempimento da parte del debitore in seguito alla notifica del decreto ingiuntivo.
È utile mettere in evidenza che nel caso di respingimento della domanda (cioè del ricorso), i costi restano a carico della parte istante.
In questo contesto è utile comprendere quali siano le somme che il creditore deve anticipare per iniziare l'azione monitoria, ossia per depositare il decreto ingiuntivo di pagamento.
Si badi: la persona che inizia l'azione può pure non pagare alcunché prenotando a debito le spese iniziali, ma ciò è sconsigliabile per la maggiorazione di costi.
Passiamo al dunque: quali somme il creditore si vedrà richieste dal proprio avvocato?
La somma di € 1.033,00 rappresenta uno spartiacque in termini di maggiore onerosità dell'azione.
Fino a questo importo, l'unico costo vivo da sostenere per il deposito è quello del così detto contributo unificato (artt. 9 e ss. d.p.r. n. 115/02), ossia un pagamento una tantum finalizzato alla contribuzione ai costi del sistema giustizia.
Esso è stabilito dal testo unico delle spese di giustizia (d.p.r. n. 115/02) ed ha valore proporzionale al valore della controversia che si inizia.
Così, ad esempio, per le cause di valore fino ad € 1.100,00 il contributo unificato è pari ad € 43,00, ridotto alla metà per le azioni monitorie, ossia per i decreti ingiuntivi (art. 13 d.p.r. n. 115/02).
Date queste indicazioni è utile, come si suole dire, fare qualche conto della serva:
a) per il deposito di un decreto ingiuntivo per un credito inferiore ad € 1.033,00 sono necessari € 21,50.
b) per il recupero di un credito compreso tra € 1.033,01 e € 1.110,00 ad € 21,50 bisogna aggiungere € 27,00 in marche da bollo.
c) per crediti di valore superiore ad € 1.100 e fino ad € 5.200, il contributo unificato è pari ad € 49,50 oltre € 27,00 di bollo.
L'importo del contributo unificato aumenta progressivamente in relazione al credito da recuperare, mentre il bollo è sempre fisso. L'esenzione dal pagamento dei bolli è prevista da d.lgs n. 274/00 relativo alla istituzione del giudice di pace.
Ottenuto il decreto, fino ad € 1.033,00 l'unica spesa ulteriore è il costo della notifica, per importi superiori andranno aggiunti i bolli per le copie da richiedere ai fini della notifica e che variano a seconda del numero delle pagine dell'atto di cui si chiede copia con un minimo di € 0,72.
Ulteriore costo da anticiparsi, se richiesto prima del pagamento del debitore, è l'imposta di registro che si paga sui decreti ingiuntivi esecutivi anche provvisoriamente e emessi per importi superiori ad € 1.033,00. L'imposta ha un valore minimo di € 200,00 (cfr. d.p.r. n. 131/86).
Insomma la base di costo da considerare (onorari dell'avvocato a parte) per il deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo è di € 21,50, a salire in relazione all'importo da recuperare.


Fonte http://www.condominioweb.com/i-costi-del-decreto-ingiuntivo.13416#ixzz4XiWB1DrG
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Mutuo. Senza un valido titolo

 esecutivo la banca non può

 riprendersi la casa


Il Tribunale può sospendere la procedura esecutiva dopo aver constatato che una banca ha intrapreso l'esecuzione forzata, pur non avendo un valido titolo esecutivo.




Il fatto. Gli acquirenti di un immobile, al fine di procedere all'acquisto dello stesso, ricorrono ad un mutuo rivolgendosi ad una Banca tedesca.Tale istituto nel concedere il mutuo agli interessati ricorre ad un rapporto contrattuale complesso che si suddivide in due fasi:
1. nella prima fase il cliente stipula con la banca un contratto di risparmio edilizio, fra l'altro disciplinato dalle norme di diritto tedesco, concordando un piano di accumulo e le relative somme serviranno ad estinguere, tramite compensazione, il mutuo.
La caratteristica di tale mutuo è quella di essere privo di ammortamento, di conseguenza il cliente dovrà solo pagare interessi mensili al tasso fisso del 5,40% nonché una quota mensile di risparmio da accreditarsi sul contratto di risparmio edilizio;
2. la seconda fase, di tale contratto, coincide con l'assegnazione dell'immobile al cliente. In questa fase le somme risparmiate si considerano un credito del cliente e questo credito viene impiegato per estinguere in parte, tramite compensazione, il mutuo immediato.
La restante parte, invece, dovrà essere restituita dal cliente con un normale ammortamento ad un tasso fisso inferiore rispetto a quello fissato durante la prima fase.


 Tribunale Vallo della Lucania, del 17.


Fonte http://www.condominioweb.com/mutuo-titolo-esecutivo-banca-casa.13415#ixzz4XiSbdS6b
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L'imposta di registro non si applica al contratto preliminare di locazione




L'imposta di registro non si 

applica al contratto preliminare 

di locazione


"L'obbligo di registrazione, con imposta fissa, dei contratti di locazione si riferisce solo ai contratti definitivi









"L'obbligo di registrazione, con imposta fissa, dei contratti di locazione si riferisce solo ai contratti definitivi. Pertanto l'ipotesi dell'elusione non è configurabile in riferimento al mero preliminare di locazione, da cui non sorge alcun obbligo di pagamento del canone". Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 27 gennaio 2017 n. 2037 in meritoalla validità del contratto preliminare di locazione.
I fatti di causa. Tizio (Locatore) agiva nei confronti della Società Beta per sentirla condannare - ex articolo 1591 c.c. - al risarcimento del maggior danno conseguito al ritardato rilascio di un immobile ad essa locato.
Nella vicenda in esame, la conduttrice aveva comunicato il recesso dalla locazione impegnandosi a rilasciare il bene entro una determinata data; premesso ciò, il locatore si era attivato per reperire un nuovo conduttore (società Gamma) ed aveva stipulato con questo un preliminare di locazione che prevedeva la decorrenza del rapporto dal 1 gennaio 2007.
Tuttavia, a causa del ritardo nella liberazione del bene - che era avvenuta soltanto nel mese di agosto 2007 - la promissaria locataria aveva inteso risolvere il preliminare.
Per tali ragioni l'immobile era stato nuovamente locato ad altro conduttore (Caio) a partire dall'1.10.2008, ma per un canone notevolmente inferiore a quello concordato con la società Gamma; sicché, (secondo il ragionamento di Tizio) al locatore spettavano dunque la differenza fra i canoni versati dalla (società Beta) e quelli maggiori che avrebbe percepito dalla (società Gamma), nonché i canoni non percepiti nel periodo in cui l'immobile era rimasto sfitto e la differenza fra i canoni previsti nel preliminare e quelli inferiori - pagati dal nuovo conduttore per tutta la durata contrattuale stabilita per la locazione alla (società Gamma).
In primo grado, il tribunale adito rigettava la domanda proposta dal locatore, Successivamente, la corte territoriale confermava la pronuncia di rigetto della domanda. Avverso quest'ultima pronuncia, Tizio promoveva ricorso per cassazione.
Il contratto preliminare di locazione. Il contratto preliminare è un accordo con il quale le parti assumono reciprocamente l'obbligazione di stipulare tra loro un futuro contratto, del quale determinano preventivamente gli elementi essenziali. L'art. 1351 del codice civile - dedicato ai requisiti formali del così detto preliminare - specifica che "il contratto preliminare è nullo, se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo". Premesso ciò, il contratto di locazione per immobili destinati ad uso abitativo deve essere necessariamente redatto in forma scritta; pertanto anche il preliminare di un contratto locazione debba avere la medesima forma.
Per quanto riguarda la normativa tributaria, il D.P.R. n. 131/86, (art. 10 della tariffa) prevede la registrazione (con imposta fissa) anche per ogni contratto preliminare; tuttavia deve ritenersi che il comma 346 dell'art. 1, L. n. 311/2004 ("I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti reali di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone le condizioni, non sono registrati") si riferisca solo ai contratti definitivi. In tal senso depongono sia la lettera che la ratio della norma.
Quanto alla prima, è evidente che i "contratti di locazione" e quelli che "comunque costituiscono diritti reali di godimento" sono unicamente quelli definitivi, ossia quelli che attribuiscono ad una delle parti l'effettiva disponibilità del bene, e non anche quelli che si limitano a vincolare i contraenti (del preliminare) alla futura stipula.
Quanto alla seconda, risulta di tutta evidenza che la finalità antielusiva della norma (volta a contrastare il fenomeno dei canoni sommersi) ha ragione di esplicarsi unicamente in relazione a contratti definitivi.
Il ragionamento della Corte di Cassazione. Nella fattispecie in esame, la Corte di Appello aveva rilevato che il contratto preliminare non era stato registrato (come richiesto, a pena di nullità, dalla L. n. 311 del 2004, articolo 1 comma 354); pertanto, a parere della Corte Territoriale, non era "possibile assegnare valore di prova al contratto preliminare prodotto"che era "suscettibile piuttosto di valutazione alla stregua di una mera proposta contrattuale".
Diversamente a tale ragionamento, secondo i giudici di legittimità, i "contratti di locazione" e quelli che "comunque costituiscono diritti reali di godimento" sono unicamente quelli definitivi: ossia quelli che attribuiscono ad una delle parti l'effettiva disponibilità del bene, e non anche quelli che si limitano a vincolare i contraenti (del preliminare) alla futura stipula. Ne consegue che alla mancata registrazione, secondo gli ermellini, risultava di tutta evidenza che la finalità antielusiva della norma (volta a contrastare il fenomeno dei canoni sommersi) aveva ragione di esplicarsi unicamente in relazione a contratti definitivi, giacche' l'ipotesi dell'elusione non era configurabile in riferimento al mero preliminare di locazione (da cui non sorge alcun obbligo di pagamento del canone). Ed ancora, secondo la Cassazione, sull'inidoneità del preliminare non registrato a costituire prova sufficiente della serietà delle intenzioni della (Società Gamma), prescindeva dalla valutazione della serietà e vincolatività della proposta e investiva il profilo del nesso causale fra il ritardo nel rilascio e il recesso dalla trattativa da parte della (promissaria locataria).
Da tale considerazione, emergeva che in ogni caso difettava la prova che il recesso fosse dipeso dal ritardo nella liberazione del bene, piuttosto che da un "ripensamento" da parte della (Società Gamma) o da altre ragioni.
Quindi trattandosi di ratio da sola sufficiente a giustificare l'esclusione del risarcimento del maggior danno, la sua mancata censura ha comportato il passaggio in giudicato della decisione di rigetto della richiesta.
Le conclusioni. Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha respinto la domanda di Tizio (Locatore) e per l'effetto ha confermato la sentenza di rigetto emessa dalla Corte territoriale.
Avv. Maurizio Tarantino
Via principe Amedeo 449 (Bari)
Cell.393.63.55.187
Skype maurixio78
 Scarica Corte di Cassazione, Sentenza 27 gennaio 2017, n. 2037


Fonte http://www.condominioweb.com/imposte-contratto-di-locazione.13418#ixzz4XiQncKpB
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