martedì 30 settembre 2014

5 consigli per risparmiare in cucina

5 consigli per risparmiare in cucina

Nelle cucine italiane sono molti gli elettrodomestici o le azioni che possono far salire inutilmente i consumi di energia elettrica e gas.n email

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a cura di Sos Tariffe
30 settembre 2014 | ore 12.40
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Nelle cucine italiane sono molti gli elettrodomestici o le azioni che possono far salire inutilmente i consumi di energia elettrica e gas. Ma si può fare qualcosa per continuare a cucinare prelibatezze senza bollette salate. Ecco i nostri consigli:

1. Scegliere la tariffa luce e gas adeguata
La prima mossa vincente sarà quella di avere attiva una tariffa gas e/o luce adeguata, che si adatti alle nostre esigenze senza sprechi. Per identificarla, meglio affidarsi agli esperti e confrontare la maggior parte di proposte con l’aiuto di un comparatore come quello di SosTariffe.it, che consente di individuare le proposte più adatte alle nostre effettive necessità.

2. Usare meglio il forno elettrico o preferire quello a gas
Se avete un forno elettrico meglio ottimizzare il suo impiego, altrimenti si può spendere più di quanto si pensa. Inutile ad esempio pre-riscaldarlo, così come lasciarlo accesso sempre fino alla fine cottura. In effetti, possiamo tranquillamente spegnerlo un po’ prima e che la temperatura interna finisca di cucinare le pietanze. A questo scopo, inoltre, ricordatevi di non aprire la porta del forno inutilmente. Qualora sia possibile preferite i forni a gas; i loro consumi energetici sono molto più contenuti. Inoltre, se dovete investire in uno nuovo, scegliete un forno ventilato, perché aiuta all’ottimizzazione dei consumi distribuendo omogeneamente il calore al suo interno. Questo riduce i tempi di cottura dei cibi e di accensione. Se gli alimenti sono congelati, ricordatevi di toglierli con sufficiente anticipo dal freezer (magari la sera prima), oppure passateli velocemente per il microonde per scongelarli prima di introdurli nel forno. A prescindere dalla tipologia e i modelli, i forni vanno mantenuti puliti utilizzando appositi prodotti o, in alternativa, aceto bianco e sgrassatori.

3. Preferite la pentola a pressione
Per le ricette che richiedono lunghe cotture, preferite una pentola a pressione. Quest’attrezzo può fare la differenza in maniera notevole, tagliando molto i tempi di cottura delle pietanze. Ci sono anche delle pentole a piramide per la cottura a vapore che sono molto interessanti perché consumano molto meno energia.

4. Non dimenticare di usare i coperchi
Per quanto possa sembrare un consiglio banale, l’utilizzo dei coperchi per le pentole e padelle durante la cottura può diminuire notevolmente i tempi e i consumi energetici.

5. Evitate elettrodomestici non indispensabili
Ad esempio, se non avete fretta, non c’è bisogno di riscaldare l’acqua della pasta nel boiler; questo è uno degli elettrodomestici che più corrente elettrica utilizza. Gelatiere e yogurtiere elettriche, sbattitore e mixer, toaster e frullatori: a volte possiamo fare a meno di molti di questi attrezzi, sostituendoli per quelli manuali. Infine, sempre che si devano acquistare nuovi elettrodomestici, scegliete quelli appartenenti alla classe energetica A in su, che offrono prestazioni elevate a bassi consumi.
FONTE : SOLDIWEB

L’ultimo rapporto OMI premia le città capoluogo: compravendite a +1,8%

L’ultimo rapporto OMI premia le città capoluogo: compravendite a +1,8%

 in “Analisi mercato mutui


compravendite immobilairiDopo l’inatteso segnale di ripresa registrato nel primo trimestre dell’anno, il mercato immobiliare torna a segnare un dato negativo: - 3,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Lo dice la nota trimestrale dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate pubblicata il 25 settembre scorso, sottolineando che il precedente dato positivo era stato influenzato dallo spostamento ai primi mesi del 2014 della stipula degli atti di compravendita, al fine di avvalersi del più vantaggioso nuovo regime fiscale in materia di imposte di registro. Dopo un +1,6% registrato nel primo trimestre 2014, il mercato immobiliare registra nel secondo trimestre dell’anno un -3,6% rispetto allo stesso periodo del 2013. La nota riporta i volumi di compravendita, ridottisi dell’1% nel settore residenziale rispetto al secondo trimestre 2013: un calo quindi più ridotto rispetto al totale.
Positivo invece il dato nelle città capoluogo, in rialzo dell’1,8%, anche se molto ridotto rispetto all’8,8% registrato nel primo trimestre 2014. A soffrire di più sono il settore terziario e quello delle pertinenze - cantine, box, posti auto - con cali superiori al 5%. Mentre in tendenza totalmente inversa è il settore industriale, che registra un +10,3%.
Interessante notare il dato differente registrato per area geografica. Il settore residenziale perde il 4,3% al Sud e solo lo 0,3% al Nord, mentre il Centro guadagna addirittura l’1,7% rispetto al II trimestre del 2013.
Ancora differenti sono i volumi di compravendite di abitazioni rilevati nei comuni minori e per diverse aree geografiche, tutti negativi se si guarda al trimestre in analisi. Le variazioni sono tutte negative al Sud (capoluoghi e comuni minori), mentre sono tutte positive al Centro e registrano segno + anche nei capoluoghi di provincia al Nord.
La tendenza si rivela fortunata anche per le 8 maggiori città della Penisola: più 3,8%. Città come Firenze, Bologna, Genova, mostrano tassi di variazione oltre il 10%; ma anche Milano tiene bene, registrando segno positivo per il quarto mese di seguito. Così anche Palermo, che realizza un +7% dopo due anni di segno positivo. Differente è la situazione nelle città di Torino e Napoli, le cui compravendite sono in perdita del 5,5% e del 6,3% rispettivamente.
La crisi non è dunque alle spalle e la reale ripresa sarà auspicabile soltanto quando i consumatori riceveranno segnali certi di fiducia.

FONTE : MUTUIONLINE.IT

Modelli unici per Scia e permesso di costruire, le Regioni si adeguano

Modelli unici per Scia e permesso di costruire, le Regioni si adeguano

Le prime: Puglia, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio. Possibile modificare in parte i moduli nazionali; seguirà l’allineamento dei Comuni

 
05/09/2014 - Le Regioni iniziano ad adeguarsi ai modelli unificati per la presentazione della Scia e la richiesta del permesso di costruire.
Modelli unici per Scia e permesso di costruire, le Regioni si adeguano


In Emilia Romagna, Lazio e Piemonte è stato deciso di utilizzare una modulistica unificata, che dovrà essere rispettata in tutti i comuni secondo quanto deciso a livello nazionale con l’accordo Stato-Regioni siglato il 12 giugno scorso.

L’Accordo prevede che le Regioni, ove necessario, adeguino i moduli adottati a livello nazionale alle specifiche normative regionali di settore, limitatamente ai quadri e alle informazioni individuati come variabili. I Comuni devono a loro volta adeguare la propria modulistica sulla base dei nuovi modelli unificati. Se necessario, i moduli potranno essere aggiornati con successivi accordi.

Ecco come si stanno muovendo le Regioni.

Emilia Romagna
La prima ad allinearsi è stata l’Emilia Romagna, che un mese dopo l’adozione dei modelli unici nazionali ha approvato la modulistica edilizia unificata con la Delibera993/2014. Per effetto di questa norma, i principali atti di avvio del procedimento edilizio (la richiesta del permesso di costruire, la SCIA e la comunicazione di inizio lavori), sono sottoposti alla medesima disciplina in tutti i Comuni della Regione.

La delibera contiene anche la modulistica per richiedere il rilascio del certificato di conformità edilizia e di agibilità, indispensabile sia per la conclusione dei lavori edilizi sia per regolarizzare i fabbricati attualmente privi di abitabilità che, per questa ragione, trovano notevoli  difficoltà ad essere commercializzati.

Piemonte
All’inizio di agosto il Piemonte ha reso noto che la modulistica messa a punto dal tavolo Mude Piemonte è perfettamente aderente a quanto deliberato a livello nazionale per contenuto informativo e adeguatezza alle norme vigenti. Ricordiamo che i lavori per l’adozione del modello unico digitale per l’edilizia (MUDE) sono statiavviati nel 2010, quando la Regione ed un gruppo di Comuni si sono impegnati ad elaborare un modello telematico per la presentazione di denunce di inizio attività, permessi di costruire e ogni altro atto di assenso in materia di attività edilizia.

Lazio
Sempre all’inizio di agosto, sul bollettino ufficiale della Regione Lazio è stata pubblicata la Delibera 502/2014contenente l’atto di indirizzo per l’adozione dei modelli unificati e semplificati. Sulla base di queste indicazioni, il Direttore della Direzione regionale per lo Sviluppo economico e le Attività produttive dovrà procedere all’adeguamento alle disposizioni regionali di settore. I Comuni dovranno inoltre rendere conforme la modulistica attualmente in uso a quella standardizzata.

Puglia
Si è dimostrata all’avanguardia la Puglia, che un anno prima dell’accordo Stato-Regioni ha approvato laDelibera 334/2013 con cui è stata uniformata la modulistica di riferimento per i titoli abilitativi edilizi: Permesso di costruire, provvedimento unico autorizzativo, denuncia di inizio attività (DIA), Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), comunicazione inizio lavori e comunicazione edilizia libera.
fonte : edilportale.com

I pannelli fotovoltaici sul tetto devono sempre rispettare il paesaggio. Legittimi gli atti che ne dispongano la rimozione.

Quando l'impianto fotovoltaico incide negativamente sul paesaggio.

I pannelli fotovoltaici sul tetto devono sempre rispettare il paesaggio. Legittimi gli atti che ne dispongano la rimozione.


L'impianto fotovoltaico installato sul tetto può avere caratteristiche tali da incidere negativamente sul paesaggio; pertanto, risultano legittimi gli atti che, adeguatamente motivati, ne dispongano la rimozione.
Il caso
La fattispecie è relativa ad un edificio composto da un piano seminterrato destinato a falegnameria e da due piani soprastanti destinati ad abitazione. Fabbricato per il quale i proprietari hanno ottenuto un permesso di costruire per “un ampliamento che prevedeva l'inserimento di alcuni pannelli fotovoltaici sulla falda del tetto esposta a ovest cioè verso la sponda del lago e, ciò, sulla base di un parere conforme della Soprintendenza”.
Nel corso dei lavori, i proprietari hanno proceduto all'installazione di ulteriori pannelli sul lato est dell'abitazione, oltre ad altre opere, in mancanza di alcun titolo abilitativo. Pertanto, è stata presentata un'istanza di sanatoria.
La Soprintendenza, quindi, ha espresso parere favorevole in relazione a dette differenti opere, prevedendo tuttavia la condizione che “venga rimosso l'impianto fotovoltaico e/o solare costituito da 13 pannelli installati sulla falda est, in quanto risulta in ordine alla posizione, alle dimensioni, alle forme ai cromatismi, al trattamento superficiale riflettente estremamente stridente rispetto all'ambito nel quale si colloca e tale da alterare in modo negativo la visione del contesto paesaggistico circostante che si può percepire sia dal basso che da posizione elevate o a distanza”.
Il Comune, pertanto, emanava l'autorizzazione paesaggistica attestante la compatibilità ambientale delle difformità edilizie eseguite, apponendo la condizione sopra ricordata.
I proprietari, però, hanno impugnato i provvedimenti della P.A.
La sentenza di primo grado.
Il T.A.R. adito ha accolto il ricorso argomentando come segue.
Come correttamente ha rilevato la parte ricorrente un più recente orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 28-01-2013, n. 235), cui questo Collegio ritiene di aderire, ha sancito che ‘ per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico sulla sommità di un edificio, bisogna dare la prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, ….'.
Per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico occorre, quindi, fornire prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, cosa che non coincide con la semplice visibilità dei pannelli da punti di osservazione pubblici (in questo senso anche T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 04-10-2010, n. 3726 e sempre TAR Brescia Sez. I 15 aprile 2009 n. 859)
In considerazione dell'orientamento sopra richiamato il ricorso può, pertanto, essere accolto e può essere annullata la condizione imposta dalla Soprintendenza di Verona all'autorizzazione paesaggistica contenente il divieto alla realizzazione dell'impianto fotovoltaico e/o solare”.
Il Consiglio di Stato
Contrariamente a quanto sostenuto dal T.A.R., il Consiglio di Stato ha dichiarato che “l'autorità preposta alla tutela paesaggistica si è soffermata, in particolare, ad analizzare i distinti profili (posizione, dimensioni, forme, cromatismi) che la hanno spinta ad apporre la condizione al parere di compatibilità paesaggistica (per la restante parte, vale sottolineare, favorevole all'intervento) di tal che, considerata la puntualità e la congruità delle ragioni addotte a sostegno della condizione, non pare condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado a proposito del carattere stereotipato e “adattabile a qualsiasi caso” della motivazione dell'atto soprintendenti zio”.
Il giudice di appello, quindi, ha ritenuto che fosse stato perseguito correttamente la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e “che risulta immune dai vizi di irragionevolezza o di errore nei presupposti, e che escludono la compatibilità paesaggistica dell'impianto fotovoltaicoposizionato sul lato est del tetto in ragione del suo negativo impatto sul particolare paesaggio lacuale, stante la sua piena visibilità, anche a distanza, sia dal basso che dall'alto”.
La giurisprudenza in tema di impianti fotovoltaici.
In merito all'installazione dei pannelli la giurisprudenza ha sottolineato come l'eventuale interesse economico sotteso all'installazione trovi un limite invalicabile nella tutela paesaggistica anche laddove “l'impianto garantirebbe il perseguimento di interessi economici, oltre che pubblici, senza compromettere la salvaguardia dell'ambiente, in quanto, pur se la zona in cui è situata ricade all'interno della fascia di protezione della Riserva di cui trattasi, essa è fortemente antropizzata e tutte le superfici non edificate sono utilizzate per l'agricoltura intensiva; in particolare l'impianto è destinato a sorgere su un terreno allo stato incolto e presenta aspetti progettuali volti a favorirne l'inserimento nel contesto esistente”.
Infatti, il Consiglio di Stato ha dichiarato che “la censura non è, ad avviso del Collegio, condivisibile, atteso che la riferita prevalenza riconosciuta in sede comunitaria e dalla Corte Costituzionale in via generale all'interesse alla promozione delle fonti energetiche rinnovabili e la concreta influenza dell'impianto sull'ambiente circostante sono nel caso di specie irrilevanti. Infatti è stata prevista la realizzazione di esso impianto nell'area di protezione esterna di una Riserva naturale, cioè in un luogo ove è stata già effettuata la valutazione circa la preminenza dell'interesse alla salvaguardia dell'ambiente rispetto ad altri interessi, come quello alla gestione delle fonti di energia rinnovabile, che è insuscettibile di deroga anche in relazione all'eventuale modesto effettivo impatto ambientale delle opere di cui è prevista la realizzazione” (Cons. Stato, sez. V, sent. 15 gennaio 2013, n. 176)
Conclusioni.
La disposizione dell'art. 9 della Costituzione sancisce che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Pertanto, le istituzioni e i privati cittadini devono non solo evitare condotte lesive di tale diritto, ma anche cercare di sensibilizzare la società civile verso una sempre maggiore tutela del paesaggio, e dell'ambiente in generale. Ambiente che, ricordiamo, è tutelato espressamente, all'art. 37, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Consiglio di Stato, sez.VI, del 17 luglio 2014, n. 3637


Fonte : condominioweb.com

lunedì 29 settembre 2014

Piano Casa Piemonte, in arrivo la proroga al 31 dicembre 2016

Piano Casa Piemonte, in arrivo la proroga al 31 dicembre 2016


Due anni in più per l’ampliamento e la riqualificazione degli edifici residenziali e per il recupero dei sottotetti





























29/09/2014 - Il Piemonte sta per prorogare la legge regionale sul Piano Casa. L'assessore all'Urbanistica, Alberto Valmaggia, ha reso noto che con la legge di assestamento al bilancio 2014 la Regione farà slittare al 31 dicembre 2016 la scadenza per l’ampliamento degli immobili ed il recupero dei sottotetti.
Piano Casa Piemonte, in arrivo la proroga al 31 dicembre 2016


La legge di assestamento al bilancio 2014 agirà su due normative. Da una parte la LR 17/2013, che aveva già spostato i termini del Piano Casa - attualmente in scadenza il31 dicembre 2014 - e che ora verrà nuovamente modificata per consentire l’avvio entro il 31 dicembre 2016 degli interventi di ampliamento del 20% degli immobili residenziali.

Dall’altro lato, la norma in fase di approvazione darà continuità alla LR 21/1998, che consente di recuperare a fini abitativi i sottotetti degli edifici a destinazione residenziale. La norma rende possibile il recupero, a patto che siano rispettate le altezze medie interne dei locali, pari a 2,40 metri per quelli ad uso abitazione (cucine, soggiorni, camere da letto e studi), e a 2,20 metri per quelli accessori (bagni, angoli cottura, verande, tavernette) e di servizio (corridoi, disimpegni, lavanderie, spogliatoi, guardaroba e ripostigli). Nei comuni montani è ammessa una riduzione delle altezze.

Al momento, per effetto della LR 20/2009, che aveva già prorogato i termini della norma del 1998, per poter essere recuperati a scopi abitativi, i sottotetti devono risultare realizzati legittimamente entro il 31 dicembre 2010. Con l'arrivo della nuova legge si potranno quindi recuperare anche i sottotetti realizzati più di recente.

Come ricordato dall’assessore Valmaggia, l’obiettivo delle disposizioni, oltre al rilancio dell’attività edilizia, è limitare l’utilizzo di suolo e favorire il contenimento dei consumi energetici.
FONTE : EDILPORTALE.COM

Hai usato qualche volta il sottotetto? Non basta per dire che è in condominio.

L'uso saltuario del sottotetto fatto da un condomino non può essere indice della condominialità di tale parte dell'edificio.

Hai usato qualche volta il sottotetto? Non basta per dire che è in condominio.

Il sottotetto è uno di quegli spazi negli edifici in condominio per il quale è molto facile litigare; le liti solitamente hanno inizio perché uno dei condomini (solitamente il proprietario dell'abitazione sottostante) se ne appropria.
In una sentenza resa dalla Corte di Cassazione il 29 gennaio 2014, la n. 1953, si litigava proprio in materia di proprietà esclusiva o condominiale del sottotetto.
La risposta della Corte in un caso sorto prima dell'entrata in vigore della riforma - ma vedremo che ciò è sostanzialmente indifferente - è quella che ormai da anni si sente pronunciare nelle aule di giustizia: il sottotetto può essere condominiale ma dipende dalla sua conformazione.
La peculiarità della pronuncia appena citata sta nel fatto che i giudici di piazza Cavour hanno rimarcato un aspetto non secondario: l'uso saltuario fatto da un condomino non può essere indice della condominialità di tale parte dell'edificio.
Il caso, si diceva, è di quelle che ricorrono con frequenza: un condomino attrae il sottotetto nella sfera della sua esclusiva disponibilità. In poche parole: trasforma quella parte dell'edificio in una mansarda a suo uso esclusivo. Un altro condomino non ci sta e gli fa causa.
Di chi è il sottotetto? Questa in sostanza la domanda cui hanno dovuto dare risposta i vari giudici aditi.
Nell'ambito dei giudizi di merito la risposta è stata la seguente: il sottotetto è del condominoche l'ha trasformato in mansarda. Motivo: non esistevano elementi indicatori della sua condominialità.
Quali sono tali elementi? In primis l'atto d'acquisto e poi la sua conformazione.
Secondo la giurisprudenza, infatti, "l'appartenenza del sottotetto (non indicato nell'art. 1117 c.c. tra le parti comuni dell'edificio) si determina in base al titolo ed in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattisi di vano destinato esclusivamente a servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se è utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi"(Cass. 19 dicembre 2002, n. 18091).
La riforma del condominio (legge n. 220/12) ha sostanzialmente ripreso quest'orientamento; l'attuale art. 1117 n. 1 c.c., infatti, specifica che devono considerarsi di beni in condominio "i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune".
In questo contesto, sostanzialmente invariato nella disciplina vigente prima e dopo l'entrata in vigore della riforma, s'inserisce la sentenza n. 1953 del 29 gennaio 2014 e lo fa specificando che l'uso fatto dal singolo non è indicativo della concreta destinazione all'uso comune.
Si legge in sentenza che il compossesso dal quale far desumere la condominialità non può evincersi "da uno sporadico ed occasionale accesso".
In definitiva: la destinazione funzionale del sottotetto all'uso comune, è elemento imprescindibile per valutare la sua condominialità.


Fonte : condominioweb.com

Mansarda abusiva. Anche se il privato si impegna a non usarla per fini abitativi?

Mansarda abusiva. Anche se il privato si impegna a non usarla per fini abitativi?

I ricorrenti hanno proposto appello (Cons. stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2467), avverso la sentenza di primo grado che ha ritenuto legittimi un permesso di costruire ed il successivo permesso in variante 6 luglio 2010 n. rilasciati dal Comune ad una società di costruzioni per la realizzazione di una palazzina residenziale di quattro piani , ubicata su terreno confinante con quello degli appellanti.
In particolare, per quanto qui interessa, i ricorrenti hanno affermato che:
- la sentenza abbia errato laddove ha sostenuto di non poter considerare la volumetria del sottotetto (che ha un'altezza al colmo superiore a 3m) della palazzina per il fatto che la società di costruzioni si fosse impegnata con atto notarile a mantenere il medesimo non abitabile;
- ai fini della volumetria complessiva sarebbero dovuti essere calcolati i volumi della mansarda, del vano scala e del piano pilotis trasformato in autorimesse.
Volume tecnico: nozione. Per orientamento giurisprudenziale consolidato i volumi tecnici sono quelli "destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali - e quindi sono computabili ai fini della volumetria consentita - le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli do sgombero; e non è volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Consiglio di Stato, sez.V, 13 maggio 1997 n.483) Sono tali , quindi, solo le "opere edilizie completamente prive di una autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa. Al di fuori di tale ambito, ritiene il Collegio che il concetto non può essere utilizzato né dall'amministrazione né dal privato al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica (cfr. anche T.A.R. Milano - sez.II, 4 aprile 2002 n.1337) .(T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, sent. 9 luglio 2007, n. 1749)
In particolare, la giurisprudenza ha definito i volumi tecnici nei seguenti termini: "volumi tecnici sono quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita, le soffitte, gli stenditoi chiusi nonché il piano di copertura impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda;in particolare,poi, la realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna costituisce indice rilevatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (Cons. Stato, sez. IV, 10.7.2013 n. 3666)" (CGA, sez. giurisdizionale, sent. 14 aprile 2014, n. 207)
a) che la parte di edificio immediatamente inferiore al tetto, a seconda dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e dell'esistenza o meno di finestre, si distingue in mansarda o camera a tetto (che costituisce locale abitabile), in soffitta (vano inabitabile, ma utilizzabile soltanto come deposito, stenditoio o altro), oppure in camera d'aria sprovvista di solaio idoneo a sopportare il peso di persone o cose e destinato essenzialmente a preservare l'ultimo piano dell'edificio dal caldo, dal freddo e dall'umidità (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 maggio 2005 n. 2767);
b) che la realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (Consiglio Stato, sez. V, 31 gennaio 2006, n. 354). (Cons. Stato, sez. IV, sent. 7 febbraio 2011, n. 812).
La pronuncia in esame. Alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale sopra richiamata, nel caso in esame il Collegio ha ritenuto: "Ciò che rileva, dunque, al fine della considerabilità del cd. vano sottotetto, è la sua materiale potenzialità di sfruttamento a fini abitativi (il che lo rende pienamente rilevante per tutti gli aspetti inerenti alla legittimità del fabbricato assentito), mentre non assumono alcun rilievo gli impegni, anche assunti per atto pubblico, limitativi delle facoltà di godimento del bene.
A fini edificatori, e quindi per le valutazioni della pubblica amministrazione che deve rilasciare il titolo autorizzatorio ciò che rileva è la effettiva consistenza del volume e la sua concreta utilizzabilità, non già la limitazione unilateralmente assunta delle facoltà dominicali di godimento del bene. (Vivere nel sottotetto non si può. Ecco il perché.)
Le caratteristiche di ciò che si intende realizzare devono essere in concreto ed ex ante valutate dall'amministrazione nella loro oggettività, non potendosi ovviare ad un difetto di valutazione, ovvero ritenere comunque assentibile il progetto, considerando (come non condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata) che "ove le prescrizioni in parola dovessero mai essere violate verrebbe posta in discussione la stessa efficacia del permesso di costruire".
Pertanto, da un alto, il sottotetto, in quanto potenzialmente abitabile, deve essere calcolata nell'altezza complessiva dell'edificio, che nel caso in esame violava le N.T.A. in tema di altezze; dall'altro lato, che ai fini della volumetria complessiva avrebbero dovuto essere calcolati i volumi della mansarda, del vano scala e del piano pilotis trasformato in autorimesse.
Inoltre, la sentenza in commento ha confermato che per costante giurisprudenza la nozione di volume tecnico è relativa in particolare ad "impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere ubicati all'interno di questa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica. Resta dunque estraneo a tale nozione il volume del vano scale ( cfr. V Sez. n. 120 del 2.3.1994)".
Per effetto dell'inclusione del sottotetto e del vano scala, il volume totale così realizzato ha reso illegittimo il permesso di costruire in sanatoria, con conseguente accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, e annullamento dei provvedimenti con il medesimo impugnati.
Conclusione. Dalla pronuncia esaminata emerge, quindi, che il permesso di costruire è un atto amministrativo ad efficacia istantanea che non può essere incisa da un comportamento successivo alla realizzazione del fabbricato, e pertanto sono irrilevanti come già detto, ai fini della valutazione di legittimità del titolo edilizio, obblighi unilateralmente assunti.
La valutazione di un'opera come volume tecnico, pertanto, deve avvenire sempre ex ante e mai ex post,in caso contrario si potrebbero far rientrare in tale nozione opere di cui il privato di è impegnano ad un godimento limitato.
Cons. stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2467


Fonte : condominioweb.com

Ecco cosa succede quando i vicini costruiscono una baracca senza rispettare le distanze

Ecco cosa succede quando i vicini costruiscono una baracca senza rispettare le distanze

La casistica della costruzione a distanze inferiori a quelle previste dal codice civile e dai regolamenti edilizi locali si arricchisce di un nuovo caso.
È illegittima la costruzione di una baracca in lamiera - destinata a ricovero di autoveicoli - edificata ad una distanza dal confine inferiore a quella prescritta dal codice civile (art. 873 c.c.) e dai regolamenti edilizi locali vigenti al momento della sua edificazione.
La circostanza che il manufatto sia stato assentito da un titolo amministrativo autorizzatorio è irrilevante, posto che t6ale atto regola i rapporti tra pubblica amministrazione e privati e non incide sui diritti soggettivi dei privati lesi dal quell'edificazione.
Firmato Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 16687 depositata in cancelleria il 22 luglio 2014.
Costruzione, distanze dal confine e norme applicabili; la pronuncia in esame ruota attorno a questi tre concetti.
Il caso presentato in breve: i proprietari di un terreno intraprendevano una causa contro i loro vicini; questi ultimi avevano costruito sulla loro proprietà un fabbricato interrato sovrastato da una baracca in lamiera destinata al ricovero di autoveicoli. A dire degli attori questi manufatti non rispettavano le distanze dal confine. Essi domandavano, quindi, la demolizione delle costruzioni ed il risarcimento dei danni. Le domande venivano accolte nel giudizio di primo grado e la sentenza di prime cure veniva confermato in sede d'appello. Da qui il ricorso in Cassazione dei titolari della baracca.
Che cos'è una costruzione?
Secondo la Corte di Cassazione, ai fini dell'osservanza delle norme di cui all'art. 873 c.c. e di quelle previste dai regolamenti edilizi locali "deve considerarsi costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, e ciò indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno, dall'uniformità o continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione e dalla sua funzione o destinazione" (Cass. 28 settembre 2007 n. 20574).
Nel caso di specie, quindi, la baracca doveva essere considerata tale, com'anche il piano interrato in quanto il solaio del medesimo fuoriusciva dal piano di campagna.
È utile ricordare che ai sensi dell'art. 873 c.c. "le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore".
In questi casi vale il così detto principio di prevenzione: in sostanza le distanze sono calcolate prendendo come punto di riferimento il primo manufatto costruito.
Nella causa risolta con la sentenza n. 16687, che ha rigettato in toto il ricorso confermando nei fatti l'ordine di demolizione, la Cassazione ha ribadito che "nelle controversie tra privati derivanti dall'esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni dei regolamenti edilizi o dei piani regolatori comunali viene in discussione sempre la lesione di diritti soggettivi, configurino o meno, le disposizioni violate, norme integrative del codice civile in materia di rapporti di vicinato (con la sola differenza che nel primo caso la tutela del privato giunge sino alla rimozione dell'opera costruita contra legem, mentre nel secondo caso essa è limitata al risarcimento del danno); cosicché, ai fini della decisione delle dette controversie, ciò che rileva è soltanto la violazione delle suddette norme di edilizia, essendo invece irrilevante in linea di principio (salva l'ipotesi delle cosiddette licenze in deroga) la esistenza o la legittimità degli atti amministrativi (licenze, concessioni, ecc.) che condizionano in concreto l'esercizio dello ius aedificandi sul piano del diritto pubblico, come pure la conformità delle costruzioni a tali atti [?]" (Cass. 22 luglio 2014 n. 16687).
Come dire: il fatto che il Comune abbia autorizzato non esime chi intenda costruire a farlo alle dovute distanze dalle costruzioni dei vicini
Cass. 22 luglio 2014 n. 16687


Fonte : condominioweb.com

Via la canna fumaria se lede il decoro architettonico dell'edificio

Via la canna fumaria se lede il decoro architettonico dell'edificio


Il condomino può installare sul muro comune una canna fumaria a servizio esclusivo del proprio appartamento, a condizione però che vengano adottati tutti gli opportuni accorgimenti necessari alla sicurezza dei condomini e alla tutela del decoro architettonico dell'edificio.
A ricordarlo è la sentenza del Tribunale di Benevento n. 6 del 10 gennaio 2014. Per il giudice campano è da considerarsi sempre lesiva del decoro architettonico e, pertanto, vietata, non soltanto l'innovazione che alteri le linee architettoniche dell'edificio condominiale, ma tutti quegli interventi che comunque riflettano negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'immobile.
Il caso. Il Condominio, nella persona dell'amministratore in carica, citava in giudizio una coppia di condomini chiedendo la rimozione del tubo di scarico di una stufa a pellet, che i coniugi avevano installato lungo il muro perimetrale dell'edificio condominiale, senza alcuna autorizzazione del condominio e con danno alle singole unità private ed al decoro architettonico. => Quando è lecito appoggiare la canna fumaria sulla facciata del condominio ?
I coniugi si opponevano alla rimozione affermando che il tubo non arrecava alcun pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio e non provocava immissioni intollerabili o altri danni o pericoli alle unità private. Nelle more del giudizio, peraltro, gli stessi coniugi provvedevano a spostare opportunamente la canna fumaria nella parte posteriore dell'edificio, adeguandola anche alla normativa di emissioni.
L'art. 1102 del codice civile, nel disciplinare l'uso da parte dei condomini delle parti comuni dell'edificio, consente al singolo condomino di utilizzarle e, quindi, anche di eseguire opere purché esse, oltre a non pregiudicare gli altri condomini, non arrechino pregiudizio al decoro architettonico dello stabile.
Questa essendo la regola generale, nello specifico il Tribunale di Benevento osserva che l'alterazione delle linee architettoniche dell'edificio e, quindi, le alterazioni di notevole impatto sull'aspetto dell'immobile, costituiscono innovazioni pacificamente vietate. Più in generale, costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio.
Non si tratta solo di una questione estetica. Il decoro architettonico infatti costituisce una qualità essenziale dell'edificio condominiale (Cass. civ. 11.5.2011, n. 10350). Pertanto, dalla menomazione dello stesso deriva necessariamente anche un pregiudizio economico che influisce negativamente sul valore del fabbricato.
Nel caso di specie, è stato accertato in modo chiaro ed univoco che la canna fumaria arrecava grave pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato, imbrattando i muri di fumo e creando pericolo per la stessa salute dei condomini e per la vicinanza al cavo elettrico dell'Enel. Soprattutto è stato accertato che la canna fumaria era in acciaio, lunga ben tredici metri, e avrebbe dovuto attraversare l'intera parete laterale dell'edificio in posizione quasi centrale e, quindi, sarebbe risultata assolutamente antiestetica e lesiva del decoro dell'edificio.
La domanda di rimozione, dunque, andava senz'altro accolta. Se non fosse che i “previdenti” coniugi, nel corso del giudizio, avevano già provveduto volontariamente alla rimozione del tubo di scarico, collocandolo nella parte posteriore dell'edificio, una posizione che non pregiudica il decoro architettonico e offre maggiori garanzia di sicurezza.
Preso atto dello stato attuale dei luoghi, il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere, condannando però la coppia al pagamento delle spese processuali.
TRIBUNALE DI BENEVENTO, SENTENZA N. 6 DEL 10 GENNAIO 2014


Fonte : condominioweb

venerdì 26 settembre 2014

Di chi è il sottotetto? Se il contratto è chiaro non si può dire che è condominiale

Di chi è il sottotetto? Se il contratto è chiaro non si può dire che è condominiale

In tema di condominio negli edifici, al fine di individuare la natura condominiale o la proprietà esclusiva del sottotetto è fondamentale leggere il contenuti degli atti d'acquisto delle unità immobiliari.
Se i titoli parlano chiaro, non c'è funzione che tenga: il sottotetto è da ritenersi di proprietà di chi è indicato nel contratto. Parola di Cassazione, sentenza n. 19094 depositata in cancelleria il 10 settembre 2014.
Che cos'è il sottotetto?
Una asciutta definizione fornita da autorevole dottrina rammenta che il sottotetto “è lo spazio compreso tra il tetto e il solaio che copre l'ultimo piano; si chiama anche soffitta o mansarda o con altri nomi: non serve di copertura, poiché di copertura serve il tetto sovrastante […]” (Branca, Comunione Condominio negli edifici, Zanichelli, 1982).
Di chi è il sottotetto?
Se sulla definizione non sorgono contrasti, il vero punctum dolens è rappresentato dalla individuazione del titolare di questa parte d'edificio: parte comune, proprietà esclusiva dei titolari delle sottostanti unità immobiliari o ancora bene di altra persona?
A leggere le sentenze della Cassazione, in seno alla quale non sempre c'è stata univocità di vedute, “l'appartenenza del sottotetto (non indicato nell'art. 1117 c.c. tra le parti comuni dell'edificio) si determina in base al titolo ed in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattisi di vano destinato esclusivamente a servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se è utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi” (Cass. 19 dicembre 2002, n. 18091 contra – orientamento più datato e superato – cfr. Cass. 15 giugno 1993, n. 6640).
La legge di riforma del condominio ha sposato l'orientamento più recente, introducendo nell'art. 1117 c.c. un riferimento al sottotetto. Esso, dice il novellato art. 1117 n. 2 c.c., è da considerarsi condominiale se destinato, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune.
Sia la sentenza del 2002 (quella che rappresenta nel contenzioso pre-riforma l'orientamento maggioritario) sia in quella del 1993, sia, infine, nel nuovo art. 1117 c.c. un ruolo primario è accordato al titolo (leggasi contratto d'acquisto e/o regolamento condominiale contrattuale).
Il contenuto del contratto determina la proprietà del sottotetto
È questo in sostanza il cuore della sentenza n. 19094; nel caso di specie alcuni condomini, che al momento dell'acquisto dell'abitazione dal costruttore avevano rinunciato alla proprietà del sottotetto, facevano causa al venditore per sentire dichiarata la natura condominiale di quella parte d'edificio.
Le loro domande hanno trovato accoglimento tanto in primo quanto in secondo grado; in particolare la Corte d'appello riconosceva valore prevalente alla funzione di quella parte dell'edificio rispetto a delle pattuizioni contrattuali a suo modo di vedere insignificanti. La Cassazione, però, con una pronuncia perentoria ha annullato la sentenza impugnata e di fatto delineato l'esito del giudizio di rinvio.
Secondo gli ermellini, infatti, il contratto parlava chiaro, cioè leggendo attentamente il titolo era palese la riserva di proprietà del sottotetto in capo all'originario costruttore-venditore.
In buona sostanza gli accordi scritti – il famoso titolo di cui parla l'art. 1117 c.c. – hanno precedenza assoluta sulla conformazione dello stabile.

Cass. 10 settembre 2014 n. 19094


Fonte : condominioweb.com

Mansarda «mimetizzata» nel sottotetto. I Giudici non ci cascano.

Mansarda «mimetizzata» nel sottotetto. I Giudici non ci cascano.

La sentenza, emessa dal Consiglio di Stato sentenza n. 2825 del 30 maggio 2014, dispone l'annullamento del titolo edilizio abilitativo, la sospensione delle opere in corso e l'abbattimento di quelle già eseguite con relativo ripristino della situazione preesistente.
Il caso. L'ufficio tecnico comunale riteneva che l'immobile (oggetto della DIA), superava l'altezza massima consentita (13,50 mt.) per quella zona del PRG nel quale sussisteva e tale superamento era dovuto al piano sottotetto ritenuto abitabile e quindi rientrante nel computo dell'altezza complessiva dell'edificio. Anche il Giudice di primo grado rigettava il ricorso della ditta esecutrice, ritenendo il sottotetto idoneo al normale svolgimento della vita domestica, quindi non assimilabile ad un vano tecnico; vi è la presenza, infatti, di elementi univoci che rafforzano l'intenzione di destinare il vano a normale abitazione: oltre ad essere collegato ai locali sottostanti da una scala interna, è dotato di impianto di riscaldamento e impianto elettrico, di servizio igienico ben oltre le minime dimensioni previste dal regolamento edilizio e rifinitura interna dell'intero sottotetto con intonaco. Anche la tamponatura di alcune finestre, eseguita per ridurre il rapporto aero-illuminante, requisito fondamentale per garantire l'abitabilità di un sottotetto, non è stata ritenuta rilevante.
Tuttavia, il Giudice riteneva che il Comune avrebbe dovuto limitare l'annullamento del titolo edilizio ai soli locali sottotetto e non all'intero edificio, salvaguardando appunto quelle parti non interessate da abuso; il sottotetto in questione infatti è considerato quale locale ad uso accessorio alla residenza, per la presenza non permanente di persone.
Distinzioni tecniche. Ma vediamo tecnicamente in cosa consiste un sottotetto e quando può considerarsi mansarda, cioè locale abitabile.
Viene chiamato
sottotetto lo spazio compreso tra il tetto e il solaio di copertura dell'unità immobiliare posta all'ultimo piano del fabbricato. Per la natura e le caratteristiche intrinseche dell'immobile, esso, di norma, non è destinato a soddisfare esigenze abitative ma, costituendo un volume tecnico, può essere utilizzato come deposito ovvero per ospitare impianti di servizio dell'intero fabbricato. Il sottotetto, a seconda dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e della presenza o meno di finestre, può assumere diverse destinazioni d'uso: da quella di "camera d'aria" destinato essenzialmente a preservare l'ultimo piano dell'edificio dagli agenti atmosferici, a quella di "soffitta", impiegabile solo come deposito o stenditoio, a quella di "mansarda", quindi locale abitabile, dotato di altezza media rilevante rispetto al piano di gronda.
I requisiti perché un vano sottotetto possa destinarsi ad abitazione e quindi permetta la permanenza di persone all'interno, sono così riassumibili (in linea generale, con varianti a livello regionale):
  • altezza minima dal pavimento: non deve essere inferiore a 2,7 metri per locali ad uso soggiorno e a 2,4 metri per i locali di servizio (come i bagni e i corridoi); se nel locale vi sono altezze inferiori, questi spazi vanno impiegati come armadi o ripostigli;
  • rapporto aero-illuminante (R.A.I.): il rapporto tra la superficie di calpestio e quella delle finestre, non deve essere inferiore ad un ottavo (deve garantire luminosità e ricambio d'aria sufficiente).
Come già detto, il sottotetto abitabile può definirsi mansarda: lo spazio, destinato alla permanenza di persone, è il risultato della particolare disposizione della falda del tetto. La parte più alta, nonché quella centrale, presenta una pendenza normale (la parte di colmo), mentre la parte più perimetrale ha una inclinazione molto più pronunciata, prossima alla verticalità (zona di gronda). Le finestre aperte nella zona di colmo del tetto, i cosiddetti lucernari, garantiscono il giusto apporto aero-illuminante, requisito fondamentale per l'abitabilità della mansarda. Queste finestre possono presentarsi anche sottoforma di abbaini (finestre verticali) e devono consentire il giusto apporto di illuminazione naturale e di aerazione (il rapporto fra la superficie di calpestio e quella delle finestrature, non deve mai essere inferiore ad 1/8). È facilmente intuibile che la superficie utile della mansarda, lì dove questa risulta di pari superficie rispetto all'appartamento sottostante, non risulta completamente calpestabile, per via dell'inclinazione della falda del tetto né tanto meno fruibile nella sua totalità dall'individuo, soprattutto lì dove le altezze risultano inferiori a 1,80 m.)
Nel caso specifico, l'immobile è soggetto alla normativa della Regione Lombardia (la L. n. 12 del 2005) che definisce come sottotetti i volumi sovrastanti l'ultimo piano degli edifici di cui al co. 2, dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, che abbiano un'altezza media ponderale non superiore a m. 2,40. In particolare, il regolamento edilizio del Comune di Milano prevede che nella superficie s.l.p. (superficie lorda di pavimento) non vanno ricompresi "pur trattandosi di spazi che consentono l'insediamento di abitanti? le superfici dei piani sottotetto che non hanno i requisiti di abitabilità, pari o inferiori alla superficie dell'ultimo piano"; tra l'altro, in questi piani "è sempre ammessa la realizzazione di servizi igienici".
In virtù di queste prescrizioni, il soggetto appellante riportava un preciso dettaglio tecnico a supporto della propria tesi che definiva errato il ragionamento dell'Ufficio Tecnico comunale. Infatti, l'altezza media ponderale del piano sottotetto è inferiore ai 2,40 m. prescritti ai fini dello scomputo del vano dalla s.l.p. (risulta pari a 2,25 m.); presenta servizi igienici, la cui realizzazione è consentita e non vincola necessariamente all'abitabilità del sottotetto; i rapporti aero-illuminanti sono pari a 1/15 e quindi inferiori ai prescritti 1/10 per l'abitabilità di un vano sottotetto; l'immobile, nel complesso, presenta un'altezza calcolata all'intradosso del solaio dell'ultimo piano pari a 13,30 m., quindi inferiore ai 13.50 prescritti dal P.R.G. di zona. In sostanza, secondo la ditta esecutrice, il sottotetto in questione non va considerato locale abitativo ma solo accessorio alla residenza. Perchè non si può trasformare il tetto in un terrazzo ad uso della mansarda
La decisione del Consiglio di Stato. Di tutt'altro avviso invece le conclusioni riportate nella sentenza emessa dal Consiglio di Stato che si possono così schematizzare:
  • per determinare se un locale abbia o meno i requisiti dell'abitabilità è necessario effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche;
  • bisogna verificare se il locale possa o meno essere idoneo allo svolgimento della vita domestica (la copertura effettuata deve essere considerata volume tecnico o sottotetto in base alle sue potenzialità di sfruttamento a fini abitativi);
  • il volume realizzato per la copertura di un fabbricato può essere considerato sottotetto o mansarda a seconda che la sua altezza ne consenta l'uso a fini abitativi ( il locale sottotetto è stato suddiviso in vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna);
  • il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, costituisce in realtà una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.
Consiglio di Stato n. 2825 del 30 maggio 2014


Fonte : condominioweb.com

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