venerdì 27 giugno 2014

Cittadella in contesto di sole quattro unita' abitative

L'acquisto della casa all'asta o a seguito di conciliazione giudiziaria non grava sulle imposte fiscali. Si applica il regime derogatorio della rendita catastale.

L'acquisto della casa all'asta o a seguito di conciliazione giudiziaria non grava sulle imposte fiscali. Si applica il regime derogatorio della rendita catastale.

24/06/2014
Il Giudice, in tal caso, redige un verbale di conciliazione con il quale dà atto della definizione bonaria della fattispecie trattata, ivi specificando i contenuti dell'accordo.
Tanto è occorso a due contribuenti trentini.
Il caso. Con un verbale di conciliazione giudiziario Tizio cedeva a Caio le quote di comproprietà di due immobili, pari alla metà del valore, stimate nella misura di ? 400.000.
Nel verbale di conciliazione entrambe le parti chiedevano ed ottenevano dal Giudice a quo di darsi luogo all'applicazione dell'art. 52, commi 4 e 5, del DPR nr 131/1986 (richiamato in forza dell'art. 1, comma 497, Legge 266/2005), ai fini della determinazione dell'imponibile a cui assoggettare il calcolo delle imposte dovute al fisco.
In particolare, la norma richiamata consentiva loro di commisurare l'entità del tributo sulla scorta del valore indicato nella rendita catastale dell'immobile (rivalutato secondo specifici coefficienti) e non invece sulla base del prezzo di "compravendita".
In effetti, erano preesistenti entrambi i presupposti applicativi richiesti ex lege, siccome:
1) la cessione avveniva tra persone fisiche che non agiscono nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali;
2) la cessione aveva ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze.
L'avviso di accertamento tributi. Sennonché, l'Agenzia delle Entrate, esaminato ex post l'anzidetto verbale, bocciava la scelta in ordine al regime fiscale derogatorio (sulla base della rendita catastale) applicato al caso.
Notificava ad entrambi i contendenti un avviso di accertamento, ivi liquidando le imposte sulla base del valore del corrispettivo convenuto, cioè, per l'appunto, 400.000 euro.
Ai fini della determinazione della base imponibile - affermava l'Agenzia delle Entrate - doveva trovare applicazione la disposizione generale contenuta nei commi 1 e 4 dell'art. 43 D.P:R. n. 131/1986, in forza della quale: "La base imponibile, salvo quanto disposto negli articoli seguenti, è costituita: a) per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, dal valore del bene ? ; c) per i contratti che importano l'assunzione di una obbligazione di fare in corrispettivo della cessione di un bene o dell'assunzione di altra obbligazione di fare, dal valore del bene ceduto [?]);
Viceversa - sempre secondo l'ente impositore - non risulterebbe applicabile, dal punto di vista analogico, alla fattispecie trattata l'articolo 1, comma 497 della legge 266/2005, siccome trattasi di norma speciale derogatoria che fa segnatamente riferimento ai soli atti posti in essere dal notaio. Ergo, la norma in questione non è estensibile a quelli invece emessi da un giudice (il precetto - contenuto nella finanziaria 2006 - per inciso così recita: "In deroga alla disciplina di cui all'articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, per le sole cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all'atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaiola base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell'atto. Gli onorari notarili sono ridotti del 20 per cento.").
Il giudizio di impugnazione. I due contribuenti ed ex litiganti non ci stavano (a pagare l'esosa liquidazione dei tributi resa dall'ente impositore rispetto quanto da loro convenutosi) e impugnavano l'avviso impositivo avanti la Commissione Tributaria della Provincia di Bolzano. In primo grado, il Giudice tributario gli dava ragione.
L'ente impositore soccombente non pago (verrebbe proprio da dire?), sollevava gravame avverso alla Sentenza, tacciandola di illegittimità.
Ma anche qui, il Giudice dell'appello respingeva la pretesa erariale.
Esaminiamo perché.
La motivazione. Intanto, il Giudice del gravame riconosceva la sussistenza di alcuni punti fermi, che rendevano applicabile la norma "derogatoria" alla fattispecie trattata: sarebbe a dire, l'incontestata preesistenza, da una parte, di una cessione immobile ad uso abitativo (non commerciale) e, dall'altra, dei requisiti soggettivi delle parti negozianti (i quali figuravano in una veste non imprenditoriale).
Soggiungeva, pertanto, il decidente che la particolarità della vicenda era rappresentata dalla sola circostanza per cui la cessione non si era perfezionata avanti ad un notaio rogante, bensì avanti ad un magistrato nell'esercizio delle proprie funzioni.
Il punto nodale della vicenda, postulava allora la risposta al seguente interrogativo: "un verbale di conciliazione giudiziaria può equipararsi ad un atto rogato da un notaio"? La risposta: certamente sì!
Iter argomentativo espresso. Non si vede, infatti, il motivo, per cui un giudice non possa equipararsi ad un notaio, in considerazione della medesima qualifica di pubblico ufficiale e della identità di funzioni svolte, avuto riguardo al caso concreto.
Vi è più che la Corte Costituzionale, con provvedimento nr 6 di data 15.01.2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 497, L. n. 266/2005, nella parte in cui non prevedeva la facoltà per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede diespropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, che non agiscono nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di chiedere che la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali fosse costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'art. 52, commi 4 e 5 D.P.R. n. 131/86.
Il Giudice delle leggi ha chiarito, pertanto, che il regime derogatorio previsto dalla detta norma può trovare applicazione anche per atti traslativi giudiziari.
Ora, se è pur vero che la Sentenza anzidetta si riferisce ad atti traslativi giudiziari (espropriazione) diversi da quello in disamina (verbale di conciliazione giudiziaria), è altrettanto vero che un differenziazione nel regime di trattamento importerebbe un ingiustificabile sperequazione tra i contribuenti.
"Ciò perché, come affermato dalla Corte Costituzionale nella ricordata sentenza: La mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è sufficiente a giustificare la discriminazione di due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità" (sentenze n. 328 del 1983, n. 156 del 1976 e n 39 del 1970).
In conclusione. Dovrebbe risultare oramai pacifico il principio per cui anche per le cessioni immobiliari occorrende in sede giudiziale - indipendentemente dalla natura del procedimento - la liquidazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali potrà avvenire, ove ne sussistano le condizioni soggettive e giuridiche, secondo il regime fiscale derogatorio previsto dall'art. 52, commi 4 e 5 del DPR 131/86.

Commissione Tributaria della Provincia di Bolzano - 29 febbraio 2014



Fonte : condominioweb.com 

L'inquilino non ha diritto al risarcimento se l'infiltrazione deriva dal tubo condominiale.

L'inquilino non ha diritto al risarcimento se l'infiltrazione deriva dal tubo condominiale.

24/06/2014
Il guasto non può costituire motivo per la compensazione delle spese perché non incide sul godimento dei locali. Il proprietario non e tenuto alle riparazioni.
Il proprietario dell'immobile locato non è tenuto alle riparazioni in presenza di infiltrazioni provenienti da parti condominiali esterne all'immobile locato, ancor più quando l'alterazione dell'immobile, causata dalle infiltrazioni stesse, non ne impedisca al conduttore il godimento secondo l'uso pattuito. (Il condomino che intende chiedere il risarcimento del danno da infiltrazione)
L'eventuale clausola che prevede espressamente l'esonero da responsabilità del proprietario per danni derivati per fatto di terzi non rientra nell'ambito delle cd. clausole vessatorie, che richiedono la doppia sottoscrizione ex art. 1341 c.c., in quanto diretta semplicemente a circoscrivere la sfera delle obbligazioni contrattuali e la correlativa responsabilità dei contraenti.
È questo, in estrema sintesi, quanto statuito dalla Corte d'Appello di Ancona con la sentenza n.586 del 20 marzo 2014, che ha confermato la decisione di primo grado.
L'inquilino che non paga l'affitto deve lasciare l'immobile, se non eccepisce subito il mancato intervento del proprietario per porre rimedio alle infiltrazioni. In ogni caso, se le infiltrazioni sono di lieve entità e non impediscono l'utilizzo dell'immobile, il proprietario non è obbligato ad attivarsi per la riparazione. Né tale circostanza può giustificare la compensazione delle spese processuali, che vanno imputate interamente al conduttore. (Muro comune e danni derivanti da infiltrazione d'acqua. Il condominio è responsabile )
Il caso - La complessa vicenda al vaglio della Corte d'Appello di Ancona può essere così riassunta. I proprietari dell'immobile ottenevano ordinanza di sfratto per morosità della società conduttrice, con contestuale decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni scaduti. La conduttrice, a sua volta, agiva per la risoluzione del contratto per gravi vizi dell'immobile locato (umidità e infiltrazioni), nonché per l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei propri confronti. (Perché il conduttore non può ridurre il canone di locazione?)
Il tribunale rigettava le domande della conduttrice, compensando però le spese processuali tra le parti, considerato che la presenza di umidità non era imputabile ai locatori e, comunque, trattandosi di inconveniente di lieve entità, che non aveva inciso sul godimento dell'immobile.
I proprietari proponevano appello limitatamente al capo della sentenza riguardante la spese processuali, a loro dire imputabili solo alla conduttrice. Quest'ultima si costituiva in giudizio, contestando la decisione del tribunale nella parte in cui, pur avendo accertato la presenza di umidità e infiltrazioni, non aveva tenuto in giusta considerazione la domanda di risoluzione del contratto per gravi vizi della cosa.
L'eccezione di inadempimento - È noto che, nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua prestazione, se l'altro non adempie o non offra di adempiere la propria (art. 1460 c.c.). Così, ad esempio, nel contratto di locazione il conduttore può rifiutarsi di pagare i canoni di affitto eccependo l'inadempimento del proprietario di garantire il buon funzionamento dell'immobile (art. 1512 c.c.).
Nel caso di specie i giudici d'appello rilevano che l'eccezione di inadempimento, fondata sulla presenza di umidità e infiltrazioni, deve essere necessariamente eccepita dal conduttore moroso nel procedimento di convalida di sfratto, promosso dal proprietario dell'immobile.
L'ordinanza di convalida di sfratto per morosità, infatti, una volta preclusa l'opposizione ex art.668 c.p.c., acquista efficacia di cosa giudicata sia sulla esistenza del rapporto contrattuale, sia sull'inesistenza di precedenti fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto non dedotti con l'opposizione, sia, in generale, sull'intervento di una causa di risoluzione del contratto di locazione.
Detto in altri termini: la risoluzione del contratto disposta con l'ordinanza di sfratto produce effetti in ogni altro giudizio, tra le parti stesse, avente ad oggetto ulteriori pretese inerenti al medesimo rapporto contrattuale. Pertanto, nel caso in esame, l'eccezione di inadempimento per vizi della cosa avrebbe dovuto essere proposta dalla conduttrice nel giudizio di sfratto per morosità.
Quanto al risarcimento dei danni da infiltrazioni, la Corte osservano che le macchie di umidità riscontrate sono relative alle pareti esterne del fabbricato, non risultando le stesse presenti all'interno dei locali, e di entità tale da poter influire negativamente sul godimento dell'immobile. (Macchie di umidità derivanti da parti comuni? Chi paga?)
Le denunciate infiltrazioni, in particolare, sono riconducibili ad un tubo discendente esistente all'interno della muratura, da considerare di pertinenza condominiale. Le stesse infiltrazioni non hanno comunque impedito l'uso dell'immobile. Anche dopo la convalida di sfratto, infatti, la società conduttrice ha continuato a svolgere l'attività imprenditoriale, a riprova della idoneità dell'immobile all'uso pattuito, nonostante la presenza delle infiltrazioni. Pertanto, alla luce del principio di diritto anzidetto, non si configura l'obbligo del locatore di intervenire per ripristinare il buono stato dell'immobile.



Fonte : condominioweb.com 

Installazione di piccoli impianti rinnovabili. Arriva il Modello Unico per le procedure.

Installazione di piccoli impianti rinnovabili. Arriva il Modello Unico per le procedure.

23/06/2014
di Angelo Pesce
Dal 1° ottobre 2014 si potrà utilizzare un modello unico per la realizzazione, la connessione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Il Decreto Semplificazioni.
Il 13 giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Semplificazioni che prevede snellimenti in materia edilizia (modelli unici per SCIA e Permesso di Costruire), oltre che procedure autorizzative semplificate per gli impianto a fonti rinnovabili e biometano.
Sulla base di questo decreto, in particolare l'art. 37, vengono apportate modifiche al Decreto rinnovabili: dopo l'art. 7 del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, si inserisce l'art. 7-bis che prevede la semplificazione di alcune procedure relative alla realizzazione di interventi di efficienza energetica e piccoli impianti a fonti rinnovabili.
Nel dettaglio si stabilisce che a far data dal 1° ottobre 2014, potrà impiegarsi un modello unico per la realizzazione, la connessione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (per i quali attualmente è prevista la comunicazione quale attività di edilizia libera (art. 6, co. 1 del D.Lgs. n. 28/2011).
Il modello unico. Questo modello unico sarà approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico, con il nulla osta dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas e il sistema idrico, e andrà a sostituire i modelli eventualmente previsti dai Comuni o dai gestori di rete e dal GSE. Comunque, per la parte relativa alle comunicazioni da effettuarsi al Comune (art. 6, co.11 e art. 7, co. 1, 2, 5 del .D.Lgs. n. 28/2011), il modello dovrà contenere esclusivamente:
  • dati anagrafici del proprietario (o di chi ne abbia titolo a presentare la comunicazione);
  • indirizzo dell'immobile e descrizione sommaria dell'intervento;
  • dichiarazione del proprietario di essere in possesso della documentazione di conformità dell'intervento alla regola d'arte e alle normative di settore (rilasciata dal progettista).
La procedura. Tali dichiarazioni, rilasciate ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (artt. 46, 47), saranno sottoposte a controlli sulla veridicità da parte delle autorità competenti del Comune e soggette a sanzioni (art. 76), in caso di non corrispondenza.
In quei casi in cui sia necessario acquisire atti amministrativi di assenso, il soggetto interessato può allegarli alla comunicazione o richiedere allo Sportello Unico per l'Edilizia (SUE) di acquisirli d'ufficio, allegando la documentazione strettamente necessaria allo scopo. È poi competenza del Comune provvedere entro 45 giorni dalla presentazione della richiesta. In conseguenza, l'inizio dei lavori resta sospeso se gli atti non sono stati completamente acquisiti (sarà competenza del SUE comunicare tempestivamente l'avvenuta acquisizione degli atti all'interessato).
Dettaglio non trascurabile è che il soggetto destinatario della comunicazione avvenuta con il modello unico, non può richiedere documentazione aggiuntiva (co. 8).
È importante ricordare che l'installazione di impianti solari fotovoltaici e termici, come previsto dal D.Lgs. 115/2008, art. 11, co. 3 (Semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative e regolamentari), sia che si tratti di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 m. e diametro non superiore a 1 m., nonché di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività, qualora la superficie dell'impianto non sia superiore a quella del tetto stesso (in altro caso è sufficiente una comunicazione preventiva al Comune).
Se poi l'installazione di questi impianti avviene su edifici che non rientrano in categorie specifiche, quali quelle previste dal Codice dei Beni Culturali e dell'Ambiente (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), in particolare indicati nella Parte III – Beni Paesaggistici, all'art. 136,co. 1, allora non è vincolante l'acquisizione di atti amministrativi di assenso.
I limiti. Riportiamo in breve le categorie di cui sopra, soggette alle disposizioni di questo titolo per il loro notevole interesse pubblico, e per le quali non è consigliabile prevedere installazione di impianti rinnovabili:
  • le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica;
  • le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza;
  • i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, ivi comprese le zone di interesse archeologico;
  • le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.



Fonte : condominioweb.com 

martedì 24 giugno 2014

Bicocca Interessante Appartamento

Porta Mortara Quattro locali

Porta Mortara Interessante Trilocale con ampio box1

Bicocca Casa Indipendete

Cittadella Ampio e Panoramico appartamento

Cittadella Ampio e Panoramico appartamento

Cittadella Ampio e Panoramico appartamento

Cittadella Ampio e Panoramico appartamento

3 Locali e servizi Porta Mortara

Porta Mortara 3 Locali e servizi

Pernate Interessante casa di corte

San paolo 3 locali e doppi servizi

Pta mortara 3 locali e servizi

sabato 21 giugno 2014

Classe Energetica. Meglio tenerne conto.

Classe Energetica. Meglio tenerne conto.
Guida all'acquisto consapevole. Le case "certificate" sono garanzia di sicurezza e risparmio energetico

Acquistare edifici “certificati” sotto il profilo della sicurezza e del risparmio energetico è sempre più importante dal punto di vista economico e sociale. L’efficienza energetica della casa, per quanto riguarda sia i consumi, sia la limitazione delle dispersioni, può contribuire a preservare l’ambiente oltre a consentire un non trascurabile risparmio. Per questo l’Unione Europea prima e il legislatore nazionale poi, con diversi interventi, hanno dato vita a una normativa in materia di disciplina energetica degli edifici.

Obbligatoria la certificazione Ape
È infatti diventato obbligatorio - sia in caso di acquisto oneroso (caso classico la compravendita), sia quando il trasferimento della proprietà avviene a titolo gratuito (per esempio per donazione) e anche in caso di affitto - che l’immobile, fra i vari requisiti, sia anche dotato di una particolare certificazione: l’APE, cioè Attestato di Prestazione Energetica, quello che fino a qualche tempo fa si chiamava ACE, cioè Attestato di Certificazione Energetica. Nella scelta dell’immobile da acquistare è possibile valutare quindi la sua classe energetica. Un immobile in classe energetica “G” (la meno efficiente), avrà sicuramente un valore di mercato più basso di quello che ricade in classe energetica “A” (la più performante). Poiché alcune regioni in passato hanno legiferato in tema di efficienza energetica, è essenziale verificare se la regione ove è situato l’immobile da trasferire abbia o meno prodotto norme in materia, comunque da coordinare con la normativa “nazionale”.

Consegna dell'Ape in fase di trattativa
Il venditore deve produrre l’APE e consegnarlo all’acquirente già in fase di trattativa; inoltre in caso di vendita “sulla carta” di un immobile da costruire il venditore deve già fornire indicazioni all’acquirente sulla futura prestazione energetica dell’edificio e deve produrre l’APE insieme alla dichiarazione di fine lavori.

Sanzioni salate
Gli annunci di vendita o di locazione devono contenere l’indice di prestazione energetica dell’edificio o dell’unità immobiliare e la classe energetica corrispondente; la mancata osservanza di questo obbligo viene sanzionata: - per il proprietario che non provvede a dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici o le unità immobiliari nel caso di vendita, la sanzione va da 3000 a 18000 euro; - nel caso di locazione, invece, la sanzione amministrativa va da 300 euro a 1800 euro; - per gli annunci di vendita o di locazione privi dei parametri energetici, il responsabile dell’annuncio è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3000 euro.

E c'è anche la...qualificazione energetica

La legge prevede anche l’attestato di qualificazione energetica, strumento di controllo ex post del rispetto delle prescrizioni sul miglioramento della prestazione energetica, in fase di costruzione o ristrutturazione degli edifici. I due attestati si distinguono, sia perché nell’Ape è specificata l’attribuzione della classe di efficienza energetica, sia per quanto riguarda le caratteristiche del certificatore. Mentre l'attestato di qualificazione energetica può essere predisposto da un professionista abilitato alla realizzazione dell’edificio quindi non necessariamente terzo; l’Ape dovrà, invece, essere rilasciato da esperti, dei quale dovranno essere garantiti la qualificazione e l'indipendenza. I due attestati sono, pertanto, chiamati a svolgere ruoli e funzioni ben distinte e non sono tra loro “fungibili”.
FONTE : MUTUI&FUTURO

Ecobonus 65%, abolita la comunicazione all’Agenzia Entrate

Ecobonus 65%, abolita la comunicazione all’Agenzia Entrate

Il Decreto sul 730 precompilato cancella l’onere per chi effettua lavori di riqualificazione energetica che proseguono nell’anno successivo

20/06/2014 - Abrogazione della comunicazione all’Agenzia delle Entrate per i lavori di riqualificazione energetica degli edifici, ammessi alla detrazione del 65%, che proseguono per più periodi di imposta.
Ecobonus 65%, abolita la comunicazione all’Agenzia Entrate



La novità è contenuta nel Dlgs “Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata” approvato dal Consiglio dei Ministri di questa mattina, in attuazione dell’articolo 7 della Delega fiscale (Legge 23/2014).

Si tratta della cancellazione di un adempimento previsto dal comma 6, dell’articolo 29, del DL 185/2008, convertito dalla Legge 2/2009, che impone a chi sta realizzando interventi di riqualificazione energetica usufruendo della detrazione fiscale del 55%-65%, di comunicare all’Agenzia delle Entrate i lavori che proseguono da un anno all’altro.

Ad oggi la mancata osservanza del termine entro cui inviare la comunicazione (90 giorni dal termine di ciascun periodo di imposta in cui sono state sostenute le spese oggetto di comunicazione), o la sua omissione non comportano la decadenza dal beneficio fiscale, ma solo una multa da 256 a 2.065 euro.

Soltanto nel caso in cui i lavori proseguono per più periodi di imposta, cioè per più anni, ad oggi c'è l'obbligo di comunicarlo alle Entrate, oltre che all'ENEA, al quale vanno trasmessi i documenti relativi a tutti i lavori, indipendentemente dagli anni di imposta; le procedure nei confronti dell'ENEA non cambiano.

La maggior parte del decreto è dedicata però al 730 precompilato che i lavoratori dipendenti e i pensionati riceveranno per via telematica dal 2015. Se il contribuente accetta la dichiarazione inviata dall'Agenzia delle Entrate senza apportare modifiche, non sarà soggetto ad alcun controllo.

Qualche novità riguarda i professionisti. Dal 31 dicembre 2015 le spese di vitto e alloggio per i professionisti, sostenute direttamente dal committente, non costituiranno compensi in natura per il professionista.  Pertanto, il professionista non dovrà più “riaddebitare” in fattura tali spese al committente e non dovrà più operare la deduzione del relativo ammontare quale componente di costo deducibile dal proprio reddito di lavoro autonomo.

A legislazione vigente le spese di vitto e alloggio sostenute dal committente per conto del professionista vengono fatturate e quindi da quest’ultimo integralmente dedotte. La norma modifica l’articolo 54, comma 5, del Testo Unico delle imposte sui redditi - TUIR (Dpr 917/1986).

Alle Società tra Professionisti (STP) indipendentemente dalla forma giuridica, si applicherà, anche ai fini dell’IRES, il regime fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, di cui all’articolo 5, comma 3, lettera c) del TUIR. Di conseguenza, il reddito è imputato a ciascun socio per trasparenza in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili consentendogli di farlo valere anche a fini previdenziali.

Infine, viene allineata la nozione di “prima casa”rilevante ai fini delle agevolazioni IVA a quella in materia di imposta di registro, prevedendo che l’IVA agevolata del 4% si applichi in relazione ad abitazioni classificate o classificabili nelle categorie catastali diverse da A1, A8, e A9, anziché in base ai criteri finora utilizzati fissati dal DM 2 agosto 1969 sulle caratteristiche delle abitazioni di lusso.

Il provvedimento passa ora al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti per il parere, poi tornerà all’esame del Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva.

Nella seduta di questa mattina è stato approvato uno schema di regolamento che estende agli ascensori in servizio pubblico le norme del dPR 162/1999 in materia di ascensori e montacarichi, il cui ambito di applicazione era stato limitato agli impianti ad uso privato. Con il provvedimento si punta a chiudere la procedura di infrazione comunitaria e a recepire pienamente e correttamente gli indirizzi espressi dalla Commissione europea in materia di attuazione della normativa in materia di ascensori, correggendo alcune disposizioni che ne avevano dato un’attuazione parziale.
FONTE : EDILPORTALE.COM

San Martino

MUTUO, IL PROFESSIONISTA DEDUCE GLI INTERESSI PASSIVI

MUTUO, IL PROFESSIONISTA DEDUCE GLI INTERESSI PASSIVI

La circolare 35/E/2012 dell'agenzia delle Entrate, al punto 2.2, chiarisce che i costi delle utenze relativi a un immobile usato promiscuamente da un professionista sono deducibili al 50 per cento. La stessa deduzione si può applicare per gli interessi del mutuo e per la Tares? Il discorso vale anche per un professionista che è nel regime dei minimi? Nel caso, tali spese, relative all'uso promiscuo dell'immobile, concorrono poi al conteggio della soglia dei 15.000 euro per i beni strumentali?
Per quanto riguarda gli interessi passivi sul mutuo, le istruzioni relative alla compilazione del modello Unico prevedono la possibilità di indicare in deduzione gli interessi passivi sostenuti nel periodo d'imposta per finanziamenti relativi all’attività artistica o professionale, o per dilazione nei pagamenti dei beni acquistati per l’esercizio dell’arte e professione.L’indicazione riguarda solo i soggetti che determinano il reddito con criteri ordinari, ma, in mancanza di una precisa causa di esclusione, si ritiene applicabile anche ai contribuenti che si avvalgono del regime dei minimi. Il costo è deducibile nella misura forfetaria del 50 per cento, come chiarito dalla circolare dell’agenzia delle Entrate 35/E/2012 (punto 2.2). Lo stesso criterio, cioè la deduzione forfetaria (nella misura del 50 per cento), è applicabile anche per la deduzione della Tares (oggi Tari). Gli oneri citati non concorrono alla determinazione della soglia di 15mila euro, relativa ai beni strumentali, al fine di verificare se il contribuente possa avvalersi del regime dei minimi.
FONTE : CASA24PLUS

Pensiline coprincancello: quali sono le maggioranze necessarie per installarle?

Pensiline coprincancello: quali sono le maggioranze necessarie per installarle?

19/06/2014
Nel condominio in cui vivo, per limitare il disagio di chi citofona nei giorni di pioggia è stato deciso di discutere in assemblea in merito all'installazione di una pensilina copricancello. La stessa dovrebbe garantire una maggiore comodità per chi deve suonare per ottenere l'ingresso oltre che un punto di strazionamento utile quando si aspetta qualcuno nei giorni di pioggia.
In più d'uno siamo d'accordo nel deliberare tale intervento, ma un nostro vicino insiste a dire che questa decisione è un'innovazione e come tale dev'essere deliberata; secondo voi ha ragione?
Questa la domanda che ci rivolge un nostro lettore, alla quale diamo risposta con questo articolo.
Innovazioni, modificazioni delle cose comuni e decoro architettonico dell'edificio; questi in concetti cardine cui bisogna fare riferimento per rispondere al quesito; partiamo da quest'ultimo.
Decoro architettonico
Il decoro architettonico, dice la Cassazione seguita dalla dottrina, rappresenta "l'estetica del fabbricato data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità "(così Cass. 16 gennaio 2007, n. 851).
Uno stabile di pregio ed un edificio popolare possono avere entrambi una propria linea armonica, quindi entrambi un proprio decoro, ergo: in tutte e due le situazioni può giungersi ad una lesione del decoro dello stabile.
La violazione del decoro si sostanzia in un peggioramento della situazione estetica che ha dei riflessi di carattere economico (leggasi deprezzamento delle parti comuni e delle unità immobiliari, cfr. Cass. n. 1286/2010).
L'alterazione può avvenire tanto per iniziativa del singolo, tanto perché è stata l'assemblea a deliberare un'opera alterativa. In quest'ultimo caso o siamo davanti ad un'innovazione oppure ad un semplice modificazione delle cose comuni. (Pensilina per ripararsi dallo sporco dei piccioni: l'assemblea può dire di no)
Innovazioni
Che cos'è un'innovazione non lo dice il codice civile, ma, come per il decoro, il riferimento sono le sentenze della Cassazione. Gli ermellini, oramai da anni, quando sono chiamati a dire che cos'è una innovazione, affermano che "innovazioni delle cose comuni s'intendono, dunque, non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), sebbene le modifiche, le quali importino l'alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (tra le tante: Cass.,23 ottobre 1999, n. 11936; Cass., 29 ottobre 1998, n. 1389; Cass., 5 novembre 1990, n. 10602)" (così Cass. 26 maggio 2006 n. 12654). (così Cass. 26 maggio 2006 n. 12654).
Una semplice modificazione dalla quale discenda una miglioria nel medesimo utilizzo di una parte comune non è un'innovazione ma una semplice modificazione della cosa comune.
L'installazione di una pensilina copricancello, quindi, poiché non modifica la destinazione della cosa, rappresenta una semplice modificazione che, se non comporta notevole spesa può essere deliberata con le seguenti maggioranze:
a) in prima convocazione maggioranza favorevole degli interventi e 500 millesimi;
b) in seconda convocazione maggioranza favorebole degli intervenuti e 333 millesimi.
Se si tratta di intervento di notevole entità (economica) è sempre necessaria la maggioranza di cui al punto a).
In ogni caso potrebbe essere eccepita l'alterazione del decoro: chi la eccepisce, però, dovrebbe provare quanto detto sopra.
Se il regolamento contrattuale vieta qualunque modificazione, l'installazione della pensilina copricancello deve considerarsi vietata salvo diverso accordo tra tutti i condomini.



Fonte : condominioweb.com 

I volumi tecnici sono del condominio o del condomino? Se gli atti non dicono nulla, solamente la loro destinazione può dare risposta

I volumi tecnici sono del condominio o del condomino? Se gli atti non dicono nulla, solamente la loro destinazione può dare risposta

20/06/2014
In tema di condominialità di parti di un edificio, la determinazione della proprietà comune o esclusiva di alcuni manufatti discende dai titoli d'acquisto (rectius: dall'atto di vendita della prima unità immobiliare) e nel silenzio di questi dalla specifica destinazione della cosa oggetto di contesa.
Nel caso dei volumi tecnici, la loro materiale destinazione al servizio di specifiche unità immobiliari, non può fare altro che escludere la natura condominiale di tali vani
Questa, in somma sintesi, la decisione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 12572 del 4 giugno 2014.
Volume tecnico o vano tecnologico, che cos'è?
Se ne sente parlare spesso dei così detti vani tecnici; in ambito edilizio urbanistico essi non sono computabili nell'ambito della volumetria massima entro la quale l'edificio in costruzione deve mantenersi; ma che cosa è esattamente un volume tecnico?
I volumi tecnici, dice ormai da tempo il Consiglio di Stato, altro non sono che dei manufatti “destinati ad ospitare impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzazione dell'immobile (ossia, ad esempio, gli impianti idrici, gli impianti termici, gli ascensori e i macchinari in genere), nel mentre non possono rientrare in tale nozione i volumi che assolvano ad una funzione diversa, sia pur necessaria al godimento dell'edificio stesso e delle sue singole porzioni di proprietà individuale (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2008 n. 918 e, più recentemente, anche Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2011 n. 812) (C.d.S. 8 gennaio 2013 n. 32).
Si badi: il vano tecnologico ha una specifica destinazione d'uso; in esso possono trovare alloggiamento gli impianti destinati a servizio dell'unità immobiliare o comunque dell'edificio cui servono, nient'altro. Chi li utilizza come vani veri e propri non sono sbaglia ma, legalmente parlando, commette un illecito. Chi vende un'abitazione con vano tecnico annesso, facendo capire che lo stesso può essere variamente sfruttato, sta commettendo una grave scorrettezza.
Condominialità o meno del volume tecnico
Nel caso risolto dalla Cassazione con la sentenza n. 12572 del 4 giugno 2014, alcuni condomini litigavano con dei loro vicini in merito alla proprietà – condominiale per gli attori, esclusiva per i convenuti – di alcuni volumi tecnici.
In breve: l'edificio in oggetto era stato realizzato da una cooperativa che, per ragioni di carattere strutturale, aveva dovuto realizzare tali volumi tecnici. Alcuni risultavano di proprietà condominiale, altri, al momento dell'assegnazione degli alloggi, erano stati assegnati assieme alle unità immobiliari quali vani di sgombero accessori alle prime; da qui è partito il contenzioso. La causa, alla fine dei conti, non ha mutato la situazione originaria. In poche parole secondo la Cassazione – che s'è espressa dopo due gradi di giudizio di merito – ha ritenuto corrette le valutazioni espressa dai giudici di secondo grado nella sentenza impugnata. Questi, infatti, avevano sentenziato la proprietà esclusiva dei volumi tecnici oggetto della contesa, in ragione della loro destinazione a servizio delle singole unità immobiliari, e quindi della mancanza di alcuna funzione al servizio comune, che il avrebbe resi condominiali. Il ragionamento espresso nella sentenza di appello, dice la Cassazione, è logico, adeguatamente motivato ed incensurabile.
D'altra parte, specificano gli ermellini, “il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessaria per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall'art. 1117 cod. civ., che contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario”.
Spicca ancora una volta il riferimento alla presunzione di condominialità, che appena all'inizio del 2014, aveva fatto invocare l'intervento delle Sezioni Unite:
Si ribadisce, ma non v'erano dubbi, la natura meramente esemplificativa dell'elencazione contenuta nell'art. 1117 c.c.
Cass. 4 giugno 2014 n. 12572



Fonte : condominioweb.com 

Cade dalla bicicletta percorrendo il viale condominiale sporco di detriti. Il condominio è responsabile

Cade dalla bicicletta percorrendo il viale condominiale sporco di detriti. Il condominio è responsabile

18/06/2014
Il Condominio, quale custode delle parti comuni dell'edificio, è responsabile dei danni cagionati dalle parti medesime ai sensi dell'art. 2051 c.c. Nel caso di spece la caduta della bambina era stata causata dalla presenza di un cumulo di sabbia misto a brecciolo, che avevano reso insidioso l'asfalto.
La responsabilità del Condominio-custode si configura come responsabilità oggettiva (o senza colpa) essendo sufficiente la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e il danno arrecato, indipendentemente dalla colpa del custode e dall'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.
Nella ripartizione dell'onere della prova, il soggetto danneggiato ha l'onere di provare il nesso causale fra lo stato della cosa custodita e il danno subito, nonché dimostrare che l'evento dannoso si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. Il Condominio, invece, per liberarsi da ogni responsabilità, deve fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ovvero dell'intervento di un fattore esterno, imprevedibile e inevitabile, idoneo a "spezzare" il rapporto causale tra cosa custodita ed evento dannoso. Tale fattore può essere costituito anche da un comportamento colposo dal danneggiato, da valutarsi ex art. 1227 c.c.
Sono questi i principi di diritto affermati dal Tribunale di Nola con la sentenza del 2 gennaio 2014. Il Tribunale ha condannato il Condominio a risarcire i danni subiti dalla figlia minore di due condomini, caduta mentre percorreva in bicicletta il viale condominiale, pur riducendo la quantificazione del danno in considerazione del concorso colposo della minore.
Il caso - Due condomini, in proprio e in qualità di genitori della figlia minore, citavano in giudizio il Condominio, in persona dell'amministratore p.t., per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti dalla minore che, percorrendo in bicicletta il viale condominiale, era caduta a causa della presenza di materiale di risulta di lavori edili, lasciati incustoditi.
Condominio responsabile per mancata custodia del cortile - Il Giudice, dopo aver qualificato la domanda risarcitoria ai sensi dell'art. 2051 c.c., ha ritenuto provato da parte degli attori il fatto storico della pericolosità intrinseca della cosa custodita e del nesso causale fra il danno lamentato e la cosa stessa. Dalle prove raccolte in giudizio, infatti, è emerso che la caduta della bambina era stata causata dalla presenza di un cumulo di sabbia misto a brecciolo, che avevano reso insidioso l'asfalto.
Il Tribunale ha accertato altresì che la bambina, con la propria condotta imprudente, ha contribuito, seppur in misura minore, alla caduta, con conseguenze riduzione della responsabilità del Condominio ex art. 1227 c.c.
Il concorso di colpa del danneggiato - La bambina - osserva il Tribunale - in quanto abitante del condominio e frequentatrice abituale del viale condominiale, non poteva non aver notato, nei giorni immediatamente precedenti l'accaduto, la presenza del cumulo di brecciolo e sabbia. Circostanza confermata, peraltro, dalle prove raccolte in giudizio. Ciò nonostante, ha percorso il viale a ridosso del cumulo, ponendosi volontariamente in una situazione di pericolo.
La sentenza richiama sul punto la giurisprudenza della Corte Costituzionale, in base alla quale "nell'accertamento in concreto della sussistenza di una situazione di pericolo per l'utente della strada, in grado di cagionargli un danno, non può essere omessa l'indagine in ordine al comportamento dell'utente, in coerenza con il principio di auto responsabilità" (C. Cost. n. 156/99).
Nel caso di specie, è stato accertato che, nonostante la presenza del cumulo di detriti, una bicicletta potesse attraversare il viale condominiale senza accostarvi, considerate anche le notevoli dimensioni dell'area. Pertanto, deve ritenersi che la caduta, seppure in misura minoritaria, sia ascrivibile anche al comportamento della minore, che, con comportamento non accorto, "si accostò al limite del cumolo di sabbia, sebbene costituisca fatto notorio la maggiore difficoltà a mantenere l'equilibrio pedalando sulla sabbia e materiale fine presente a terra".
Riduzione del danno risarcibile - Il comportamento della danneggiata, la quale, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare di pedalare accostata al cumulo di sabbia, seppur non possa essere considerato causa esclusiva del danno, ha comunque comportato un concorso colposo, che il Tribunale ha stimato e nella misura del 30% nel determinare il danno.
Condominio, dunque, condannato al risarcimento del danno, ma nella misura del 70% della somma liquidata.
Tribunale di Nola, del 2 gennaio 2014



Fonte : condominioweb.com 

Perché la cooperativa può essere chiamata a rispondere dei gravi difetti di costruzione degli immobili?

Perché la cooperativa può essere chiamata a rispondere dei gravi difetti di costruzione degli immobili?

18/06/2014
Le società cooperative, afferma il codice civile, sono quelle imprese che hanno uno scopo mutualistico (cfr. art. 2511 c.c.).
Cosa debba intendersi per scopo mutualistico, non è chiarito dalla legge; secondo dottrina e giurisprudenza, con esso si fa riferimento al fine di fornire a chi fa parte della cooperative (i soci), beni, servizi o lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle normalmente reperibili sul mercato.
L'esempio classico di cooperativa è quella edilizia, rispetto alla quale i soci hanno diritto all'assegnazione di un alloggio ad un prezzo più vantaggioso rispetto a quello di mercato perché l'impresa cooperativa opera senza il margine di profitto normalmente previsto per le ordinarie imprese.
Proprio in relazione alle cooperative edilizie e più specificamente con riferimento alle responsabilità di tali imprese per gravi difetti costruttivi (art. 1669 c.c.) relativamente all'esecuzione dei lavori di realizzazione di alloggi, la Cassazione, con la sentenza n. 12675 del 5 giugno 2014, ha ricostruito solo stato dell'arte fissando in modo molto chiaro quelli che sono gli ambiti di responsabilità delle cooperative; ambiti, vedremo, tutt'altro che ristretti.
Per dirla in breve: la società cooperativa edilizia è responsabile per i gravi difetti delle opereanche se in relazione alla loro realizzazione ha provveduto solamente a nominare un direttore dei lavori e/o un progettista, nella misura in cui tali figure possano essere considerate responsabili dei difetti accertati.
La fattispecie che ha portato alla sentenza in esame è la seguente: un condominio inizia una causa contro una società cooperativa, realizzatrice degli alloggi che componevano la compagine, per dei gravi difetti costruttivi dell'immobile.
In primo grado la domanda veniva accolta, mentre nel giudizio di appello la cooperativa veniva sgravata da qualsivoglia responsabilità in quanto i giudici del gravame ritenevano giusto accogliere le contestazioni di quest'ultima che “scaricava le colpe” sulla società costruttrice. In sostanza la cooperativa non doveva essere considerata la costruttrice ma, al massimo, il committente venditore dell'opera. (Le conseguenze per il costruttore che tiene nascosti i difetti.)
Secondo la Cassazione, che ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, tale posizione non è comunque sufficiente ad esonerare da responsabilità ai sensi dell'art. 1669 c.c. la società cooperativa che abbia appaltato la costruzione di immobili.
Nella pronuncia n. 12675 gli ermellini motivano questa loro presa di posizione argomentando sulla base di un nutrito numero di precedenti giurisprudenziali che, a loro modo di vedere, non può portare a concludere diversamente.
Si legge in sentenza, ad esempio, che è pacifico ormai che il venditore di un edificio possa “essere chiamato a rispondere dei gravi difetti dell'opera non soltanto quando i lavori siano eseguiti in economia (da lui stesso n.d.A.), ma anche nell'ipotesi in cui la realizzazione dell'opera è affidata a un terzo al quale non sia stata lasciata completa autonomia tecnica e decisionale, in quanto il venditore abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell'altrui attività, sicché anche in tali casi la costruzione dell'opera è a lui riferibile (Cass. 567/05; 2238/12)” (Cass. 5 giugno 2014 n. 12675).
In questo contesto generale, dicono da piazza Cavour, non bisogna mai dimenticare che la responsabilità di cui all'art. 1669 c.c. ha natura extracontrattuale; stando così le cose, “è convinzione della Corte che la responsabilità sancita da detta norma sia applicabile al committente-venditore che abbia avuto una qualche ingerenza, sorveglianza o influenza nella realizzazione dell'opera, come può avvenire, esemplificativamente, quando egli nomini il direttore dei lavori o designi il progettista dalla cui negligenza dipenda, sia pure in concorso con l'appaltatore, il vizio lamentato” (Cass. 5 giugno 2014 n. 12675).
Il caso di specie, che è tornato alla Corte d'appello, dovrà essere risolto sulla scorta di questi principi e quindi per arrivare ad un'affermazione di responsabilità bisognerà rispondere ai seguenti quesiti: la cooperativa ha avuto modo di ingerire-sorvegliare-influire sui lavori? Se la risposta sarà positiva, i difetti lamentati e riscontrati potranno essere considerati conseguenza della mancata corretta sorveglianza da parte degli organi preposti?
Due risposte positive non potranno che portare ad una condanna della società cooperativa.



Fonte : condominioweb.com 

martedì 17 giugno 2014

L'AFFITO VA DICHIARATO DAL PROPRIETARIO

L'AFFITO VA DICHIARATO DAL PROPRIETARIO

Mio padre risulta proprietario di un appartamento che vorremmo affittare per fini turistici nel periodo estivo. Essendo l'appartamento a mia disposizione vorrei chiedere se posso risultare io come locatore sul contratto turistico. Ovviamente sarei io ad accollarmi le eventuali imposte da pagare.
La risposta è affermativa, nel senso che il lettore può affittare come mandatario del padre, a norma degli articoli 1703 e seguenti del Codice civile. Alternativamente - a seguito di stipula di contratto di comodato, anche verbale, con il proprio genitore (articoli 1803 e seguenti del Codice civile) che consenta l’eventuale locazione a terzi - può affittare come comodatario dei locali.In entrambe le ipotesi, il lettore - oltre alla stipula del contratto e alla riscossione degli affitti - può procedere (se necessaria) alla registrazione del contratto, a norma dell’articolo 17 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, numero 131.Ma i canoni percepiti – secondo una ormai consolidata interpretazione dell’agenzia delle Entrate (si veda per tutte, agenzia delle Entrate, risoluzione 14 ottobre 2008, numero 381/E) - devono essere dichiarati, ai fini Irpef, dal proprietario (cioè dal padre). In particolare, per l’articolo 26 del Decreto del presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917, «i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall'articolo 30, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso».
FONTE : CASA24PLUS

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