martedì 22 ottobre 2013

Compravendita valida anche in difetto di ultimazione dei lavori dell’immobile.

Compravendita valida anche in difetto di ultimazione dei lavori dell’immobile.

22/10/2013
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo 
(Corte di Appello di Milano, sentenza n. 1762 del 22 aprile 2013)
 
In tema di contratto preliminare di vendita, la contemporanea presenza di due termini per la stipula del contratto definitivo, dei quali il primo fisso e determinato secondo il calendario comune e l’altro indeterminato, riferito genericamente “all’ultimazione dei lavori”, non possono intendersi in senso contraddittorio tra di loro, tale da privare di significato e di qualche effetto della disposizione negoziale. Deve considerarsi prevalente la previsione della consegna dell’immobile a data fissa.
 
È questo il principio di diritto che si ricava dalla sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1762 del 22 aprile 2013, che si sofferma sulla determinazione dei tempi di consegna dell’immobile e di stipulazione del contratto definitivo di compravendita.
 
Il caso. Le parti sottoscrivevano un contratto preliminare di compravendita di un immobile soggetto all’esecuzione di alcuni lavori, con previsione di stipula del contratto definitivo a data fissa. Scaduto il termine ed anche la proroga concordata tra le parti, il promittente venditore conveniva in giudizio il promissario acquirente per la declaratoria del suo inadempimento e la conseguente risoluzione del contratto preliminare, con risarcimento del danno.
 
A seguito dell’accoglimento della domanda da parte del tribunale, il promissario acquirente proponeva ricorso in appello rilevando che alcun inadempimento avrebbe potuto essergli imputato, atteso che la specifica clausola negoziale in questione prevedeva espressamente che “la consegna dell’immobile in oggetto avverrà contestualmente al rogito notarile che verrà stipulato entro il 30 settembre 2006 e solo dopo la ultimazione completa dei lavori”.
 
Secondo l’appellante, in difetto dell’ultimazione completa dei lavori in oggetto, il termine per la consegna e per la stipula del definitivo non si era compiuto. Si costituiva l’appellato insistendo per la conferma della sentenza di primo grado.
 
La soluzione adottata dalla Corte di Appello. La Corte territoriale milanese, esaminato il contratto preliminare, ha rilevato che la clausola contrattuale in esame, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, non può essere interpretata nel senso di privare di significato la contestuale fissazione del termine fisso del 30 settembre 2006. 
 
Il principio di conservazione delle clausole contrattuali. Il Codice civile individua una serie di regole generali di interpretazione dei contratto, dando prevalenza alla volontà delle parti (cd. criteri soggettivi) e, in seconda battuta, al significato delle parole utilizzate dalle parti nella predisposizione del regolamento contrattuale(cd. criteri oggettivi).
 
Tra i criteri soggettivi assume particolare rilevanza il principio di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), ai sensi del quale, nel dubbio, il contratto e le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.
 
Nel caso in esame, le due previsioni di un termine fisso e predeterminato secondo il calendario comune (la data del 30 settembre 2006 per la consegna dell’immobile e per la stipula del contratto definitivo) e quella di un termine indeterminato ed incerto (la ultimazione dei lavori) non possono intendersi, secondo i giudici d’appello, in senso contraddittorio l’uno rispetto all’altro, tale da privare di alcun significato e di qualche effetto la disposizione negoziale che prevedeva che la consegna fosse eseguita entro il termine finale prestabilito dal 30 settembre 2006.
 
Per quanto innanzi, dunque, l’interpretazione alternativa proposta dall’appellante appare irragionevole, in quanto non solo si pone in aperto contrasto con il richiamato principio di conservazione delle clausole contrattuali declinato dall’art. 1367 c.c., ma appare, altresì, palesemente contraria alla regola secondo cui il contratto si deve interpretare ed eseguire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). Sulla scorta di tali considerazioni la Corte ha respinto l’appello e confermato la sentenza di primo grado.

Fonte : condominioweb.com

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