mercoledì 5 giugno 2013

Il costruttore deve pagare per aver consegnato un edificio “rumoroso”. Svolta della Corte Costituzionale che dichiara illegittima la non applicazione dei requisiti acustici nelle compravendite private di alloggi

Il costruttore deve pagare per aver consegnato un edificio “rumoroso”. Svolta della Corte Costituzionale che dichiara illegittima la non applicazione dei requisiti acustici nelle compravendite private di alloggi

04/06/2013
di Maria Barletta













Responsabilità limitata dei costruttori fino al 2009. Si dovrà attendere un riordino normativo della materia. Le regole antirumore non si applicano alle compravendite eseguite dal 2009 in poi.
 
Il caso. Con la sentenza 103/2013, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 15, c. 1, lett. c) della l. 4 giugno 2010, n. 96 (legge comunitaria 2009) che ha sostituito il 5° comma, dell’art. 11, della l. 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) che, dopo tale intervento, recitava “In attesa dell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d'arte asseverata da un tecnico abilitato”.
 
La Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Busto Arstizio in relazione all’art. 15, c. 1, lett. c) della l. comunitaria 2009, bocciandone l’effetto retroattivo, che escludeva, fino all’emanazione dei decreti legislativi indicati nel primo comma dell’art. 11 della l. comunitaria 2008, l’applicabilità delle norme dettate dalla Direttiva 2002/49/Ce relative ai requisiti acustici passivi degli edifici, limitatamente, però, ai rapporti tra privati e, in particolare, tra costruttori-venditori ed acquirenti.
 
Deve, infatti, ricordarsi che, a norma del 1 comma dell’art. 11 della legge comunitaria 2008, al fine di garantire la piena integrazione nell'ordinamento nazionale delle disposizioni contenute nella direttiva 2002/49/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale, e di assicurare la coerenza e l'omogeneità della normativa di settore, il Governo è stato delegato ad adottare, con le modalità e secondo i principi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria 2008 ( l. Legge 07/07/2009 n. 88), uno o piu` decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico, di requisiti acustici degli edifici e di determinazione e gestione del rumore ambientale, in conformità all'articolo 117 della Costituzione, agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché alle relative norme di attuazione.
 
Cerchiamo, quindi, di spiegare perché ed alla luce di quali principi la Corte sia giunta alla suddetta conclusione. 
 
L’efficacia retroattiva delle leggi ed i suoi limiti 
 
In una precedente pronuncia (C. Cost., 11 giugno 2010, n. 209), la Corte Costituzionale ha ricordato di aver individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, 
 
che attengono “alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento [...]; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto [...]; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico [...]; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (sentenza n. 397 del 1994).
 
Premesso che, il divieto di retroattività della legge, pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi, non ha dignità costituzionale, salva per la materia penale, il legislatore, può emanare sia disposizioni di «interpretazione autentica», che determinano, chiarendola, la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (C. Cost. 26 giugno 2007, n. 234; C. Cost., 7 luglio 2006, n. 274), nel caso di specie la Corte Costituzionale alla luce dei suddetti principi ha, ritenuto che la norma impugnata travalicasse i suddetti limiti, pur proponendosi come una norma di interpretazione autentica; secondo la Corte, infatti, l’interpretazione fornita dalla legge comunitaria del 2009 non assegna alla disposizione interpretata (ossia all’art. 3, c. 1, lett. e), della l. 447/1995) un significato già insito nella stessa e riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, né chiarisce delle situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo o ristabilisce un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore, a tutela della certezza del diritto e degli altri principi costituzionali richiamati, risultando, per tali motivi, manifestamente irragionevole.
 
La Corte ha, altresì, escluso che la disposizione impugnata sia improntata e, quindi, trovi la propria ragion d’essere nell’esigenza di tutelare principi, diritti o beni di rilievo costituzionale che, alla luce della Cedu, costituiscono motivi di interesse generale.
 
L’art. 3, c. 1, lett. e) della l. 447/1995, ossia la norma che si intendeva interpretare, si occupa, infatti, delle competenze dello Stato e, più precisamente, deferisce a quest’ultimo la determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti, allo scopo di ridurre l’esposizione umana al rumore. La Corte ha, quindi, escluso che la disposizione riguardi i rapporti tra privati.
 
Legittimo affidamento e principio di ragionevolezza.
 
L’interpretazione proposta dall’art. 15, c.1, lett.c), della l. comunitaria 2009 presenta il grave difetto di incidere sui rapporti ancora in corso, vanificando il legittimo affidamento di coloro che abbiano acquistato immobili nel periodo anteriore alla sostituzione del 5° comma, dell’art. 11, della l. comunitaria 2008, in base alla quale la sospensione dell’applicazione, nei rapporti  tra privati, delle norme sull’inquinamento acustico degli edifici valeva solo per il futuro, ossia per gli edifici sorti dopo l’entrata in vigore della stessa legge.
 
La Corte ha ravvisato, infine, la violazione del principio di ragionevolezza ed una conseguente disparità di trattamento tra gli acquirenti di immobili, dovuta alla nuova interpretazione dell’art. 3, c.1, lett.e) della l. 447/1995 che tende a sottrarre i costruttori-venditori dall’obbligo di rispettare i requisiti acustici previsti dal D.P.C.M. 2 dicembre 1997, emanato in attuazione dell’art. 3 ed all’interno del quale sono fissati i limiti, espressi in decibel, che gli edifici costruiti dopo la sua entrata in vigore devono rispettare.


Fonte : Condominio Web

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