venerdì 6 settembre 2013

Non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione se si concede l'appartamento a prezzo di mercato

Non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione se si concede l'appartamento a prezzo di mercato 



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05/09/2013
Cass., sez. III Penale, sentenza n. 33160 del 31/07/2013 Si legge nella sentenza:

È di tutta evidenza l'insussistenza del reato di locazione al fine di esercizio di una casa di prostituzione, previsto dall'art. 3, comma 2, legge 20 febbraio 1958, n. 75, il quale invero richiede quali elementi costitutivi (di cui ovviamente il locatore deve essere consapevole) non solo il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone nel locale, ma anche e soprattutto l'esistenza, all'interno nello stesso locale, di una certa organizzazione finalizzata appunto all'attività di prostituzione.

Invero, secondo il prevalente e più convincente orientamento di questa Corte, “per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto nei numeri 1 e 2 dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio” (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, Campanella, m. 214228); e “per integrare il concetto di casa di prostituzione, è necessario il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali ed, all'interno dello stesso locale, l'esistenza di una sia pur rudimentale forma di organizzazione, ("alla stregua di quanto avveniva nelle c.d. case di tolleranza, diffuse prima della legge Merlin")” (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, Rinciari, m. 228971). Da questa premessa è stata poi coerentemente tratta la conseguenza che “Il reato di chi, avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa, la concede in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione non sussiste, pertanto, quando il locatore conceda in locazione l'immobile ad una sola donna, pur essendo consapevole che la locataria è una prostituta, e che eserciterà nella casa locata autonomamente e per proprio conto” (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, Campanella, m. 214228, cit.) e che “Non integra il reato di locazione di immobile al fine dell'esercizio di una casa di prostituzione concedere in locazione un appartamento all'interno del quale, sebbene con frequente turnazione, venga esercitata la prostituzione di volta in volta da una sola donna” (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, Rinciari, m. 228971, cit.).

Questo orientamento è stato da ultimo ulteriormente confermato da Sez. 3, 28.9.2011, n. 38941, Pastorelli, m. 251385 (che ha anche rilevato come non convince il contrario indirizzo: Sez. 3, 5.11.1999, n. 2730, Gori, m. 215760; Sez. 3, 27.2.2007, n. 21090, Petrosillo, m. 236739), alle cui considerazioni, per brevità, si fa qui richiamo.

Del resto, anche sulla base della ratio legis oltre che della lettera della disposizione, appare preferibile l'interpretazione secondo cui per integrare il concetto di “casa di prostituzione”, previsto espressamente nel numeri 1 e 2 dell'art. 3 della legge 20.2.1958 n. 75, e implicitamente nel numero 3 dello stesso articolo, è necessario un minimo - anche rudimentale - di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio. La nozione di casa di prostituzione contenuta nella originaria proposta di legge Merlin, che la identificava in ogni “stabile appartamento o altro luogo chiuso in cui due o più persone esercitano la prostituzione”, benché scomparsa come formula definitoria nella legge 20.2.1958 n. 75, è sicuramente rimasta nella concettuologia del legislatore, il quale ha chiaramente distinto le prime tre ipotesi previste nell'art. 3, con cui intende punire l'organizzazione sotto qualsiasi forma delle soppresse “case di meretricio”, per contrastare ogni esercizio professionale di locali in cui si fa mercimonio del proprio corpo dalle altre cinque ipotesi previste nello stesso articolo, volte a reprimere penalmente ogni forma di lenocinio. A questo riguardo è significativo che per le ipotesi di reclutamento e induzione alla prostituzione il legislatore le reputi esplicitamente rilevanti sotto il profilo penale anche se riferite a una sola persona; mentre anche il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione assumono indubbiamente rilevanza anche se riferiti a una sola persona, sia per la natura intrinseca della condotta sia per il loro carattere residuale anche rispetto alle ipotesi di reclutamento e induzione. In altri termini, insomma, una lettura logica e sistematica dell'art. 3 induce a individuare nella casa di prostituzione prevista nelle prime tre ipotesi una forma organizzata di esercizio della prostituzione altrui, mentre tutte le varie condotte di lenocinio previste nelle altre ipotesi hanno rilievo penale anche se riguardano una sola prostituta (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, Campanella, cit.).

In sostanza, per ravvisare una casa di prostituzione e quindi per integrare il reato è necessario che, all'interno della stessa “casa”, vi sia un minimo di stabile organizzazione della prostituzione, implicante una pluralità di persone esercenti contestualmente il meretricio negli stessi locali, e l'intervanto di un soggetto che predisponga, sovrintenda e sfrutti l'attività delle persone che si prostituiscono, appunto alla stregua di quanto avveniva prima della legge Merlin nelle c.d. case di tolleranza.

3. Nella specie è palese che queste condizioni non sussistono. L'ordinanza impugnata individua l’organizzazione esclusivamente nel fatto che l'immobile sarebbe stato utilizzato da diverse ragazze mediante turnazione e nel fatto che “i clienti, reperiti per strada, venivano poi condotti presso l'immobile per consumare il rapporto sessuale”. Sennonché, la giurisprudenza citata ritiene che presupposto indefettibile della fattispecie sia che l'esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali avvenga contestualmente, ed afferma conseguentemente che non sussiste il reato nel caso di turnazione, sia pure frequente, tra diverse prostitute (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, Rincari, m. 228971, cit). Occorre poi che la necessaria forma di organizzazione sia presente “all'interno del locale”, sicché non può consistere nella mera circostanza che i clienti venivano portati nell'appartamento per consumare il rapporto. Anzi, entrambi questi elementi indicati dalla ordinanza impugnata dimostrano proprio che non si è in presenza di una casa di prostituzione, simile alle vecchie case di tolleranza, dove vi era invece la contestuale presenza e la contestuale attività di più prostitute e dove i clienti non venivano raccolti per strada per poi recarsi nella “casa” solo per consumare il rapporto. 

4. Nella specie non sussiste nemmeno il fumus del reato di favoreggiamento della prostituzione.

Secondo l'orientamento interpretativo da tempo affermato e prevalente, non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi conceda in locazione, a prezzo di mercato (mentre qualora il canone sia superiore potrebbe ipotizzarsi lo sfruttamento), un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione (Sez. 3, 6.5.1971, n. 999, Campo, m. 119000; Sez. 3, 5.3.1984, n. 4996, Siclari, m. 164513; Sez. 3, 3.5.1991, n. 6400, Tebaldi, m. 188540; Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, Campanella, m. 214228).

Questo orientamento, che qui deve essere ribadito, è stato da ultimo riaffermato, tra l'altro, anche da Sez. 3, 12.1.2012, n. 7076, Moscoloni, m. 252099; Sez. 3, 22.5.2012, n. 36595, T., m. 253390; Sez. 3, 11.12.2012, n. 3088 del 2013, Nannetti). 

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Fonte : condominioweb.com

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