venerdì 20 dicembre 2013

Condannati per lite temeraria i condomini che si opponevano alla rimozione dei serbatoi d’acqua posizionati nel cortile condominiale

Condannati per lite temeraria i condomini che si opponevano alla rimozione dei serbatoi d’acqua posizionati nel cortile condominiale

20/12/2013
Avv. Giuseppe Donato Nuzzo


(Giudice di Pace di Reggio Calabria, sentenza n. 2884 del 14 novembre 2013) 
 
I serbatoi d’acqua posizionati nel cortile condominiale vanno rimossi se impediscono al condomino di accedere al garage di sua proprietà. Condannati per lite temeraria i condomini che si opponevano alla rimozione con motivazioni del tutto infondate e pretestuose.
 
Il caso. L’interessante sentenza del Giudice di Pace di Reggio Calabria prende le mosse dalla classica lite per l’uso del cortile comune. Un condomino lamentava la posa in opera di due grossi serbatoi d’acqua nel cortile condominiale,che impedivano il libero accesso al garage di sua proprietà. Dopo vari tentativi di definizione bonaria, rimasti senza esito, il condomino avviava un procedimento di accertamento tecnico preventivo, che stabiliva la possibilità di posizionare in sicurezza i serbatoi in un vano interno dell’edificio.
 
Ciò nonostante, i condomini insistevano nel sostenere l’impossibilità di spostare i serbatoi, ragion per cui il condomino era costretto a ricorrere al Giudice di Pace per chiedere esecuzione dell’accertamento tecnico, oltre al risarcimento dei danni. Nelle more del giudizio, i condomini convenuti decidevano finalmente di rimuovere i due serbatoi secondo le modalità indicate dal c.t.u.,pur continuando ad opporsi alla domanda attrice eccependo, in particolare, l’incompetenza a decidere del giudice adito.
 
Il Giudice di Pace di Reggio Calabria, ritenute infondate e pretestuose le eccezioni mosse, ha accolto la domanda e condannato i convenuti al pagamento delle spese processuali, oltre al risarcimento dei danni per lite temeraria, liquidati in via equitativa.
 
La sentenza in rassegna offre lo spunto per alcune riflessioni di ordine generale in merito ai principi che governano l’uso del cortile condominiale, nonché riguardo alla condanna per “lite temeraria”della parte che si difende in giudizio con eccezioni del tutto infondate e pretestuose.
 
Corretto uso del cortile condominiale. Una questione di “equilibrio”. Se il cortile non ha una specifica destinazione d’uso pattuita dalle parti e/o specificata nel titolo o nel regolamento, allora può essere utilizzato da tutti i condomini nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., ai sensi del quale “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
 
Il pari uso non va inteso nel senso di uso identico e contemporaneo. Ogni partecipante ha la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri.
 
Non alterare la destinazione significa non apportare modifiche che incidano sulla sostanza e strutturadel bene, pregiudicando in tutto o in parte la facoltà d’uso degli altri partecipanti. L’uso esclusivo del bene da parte del singolo, che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri e non riconducibile alla facoltà del singolo di trarre dal bene comune la più intensa utilizzazione, integra un uso illegittimo.
 
Nel caso di specie, la posa in opera di due serbatoi ha inibito l’uso del cortile al condomino attore, impedendo altresì il libero accesso al garage di sua proprietà. Correttamente, dunque, è stato configurato un uso illegittimo del cortile, viepiù considerata la possibilità di collocare i serbatoi in altro luogo senza pregiudizio alcuno e, anzi, con maggiori garanzie di sicurezza per tutti i condomini.
 
Condanna alle spese per lite temeraria. L’art. 96 c.p.c., all’ultimo comma, dispone: “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. La ratio della norma è quella di punire la parte che non adempia spontaneamente i propri obblighi, costringendo la controparte a un giudizio, e/o agisca o resista in giudizio infondatamente e pretestuosamente. La norma introduce nel sistema giudiziario un elemento di dissuasione dal comportarsi in tal modo: la consapevolezza di poter subire la condanna di cui al 3° comma dell’art. 96 c.p.c. induce (o almeno dovrebbe indurre) le parti a ponderare con prudenza le loro condotte stragiudiziali e giudiziali.
 
Insistere pur sapendo di aver torto può costare caro. Condivisibile la decisione del Giudice calabrese, che, a fronte del reiterato e ingiustificato rifiuto dei condomini di rimuovere i serbatoi in questione, ha punito la condotta giudiziale e stragiudiziale degli stessi condannandoli alle spese processuali e al rimborso della c.t.u., oltre al pagamento di mille euro per aver reiteratamente, illegittimamente e ingiustificatamente rifiutato di ottemperanza all’accertamento preventivo, costringendo la controparte al contenzioso per l’esecuzione di un provvedimento che non presentava particolari elementi di discussione.
 
Si legge nella sentenza: “ dal momento che i tentativi di soluzione del caso, spiegati dagli attori per via stragiudiziale e per lungo tempo, sono stati ignorati ed anche in sede giudiziale si è sviluppata una netta contrapposizione alle loro richieste fino al punto di avanzare domanda di condanna nei loro confronti di risarcimento del danno ex art. 96 c.2 c.p.c. per responsabilità aggravata, e tutto ciò mentre nelle more del giudizio i due serbatoi sono stati rimossi e posizionati in luogo diverso laddove, evidentemente in modo pretestuoso, si era sostenuto non potessero essere collocati, questo Giudice trae il convincimento della piena fondatezza delle ragioni degli attori e la conclusione che la resistenza dei convenuti sia nel giudizio che fuori di esso costituisca, essa si, colpa sanzionabile nei loro confronti ex art. 96 c.p.c.”
 
Riecheggiano le amare considerazioni del Tribunale di Catania in un’altra recente sentenza "Rimozione amianto. Condannato l’inquilino che impediva l’accesso all’immobile", contro le tante “liti temerarie” che intasano le aule di giustizia:“ il nostro sistema giudiziario è gravato da un elevatissimo numero di cause, nella stragrande maggioranza delle quali almeno una delle parti è pienamente consapevole della infondatezza delle sue difese, ma agisce o resiste in giudizio perché trova vantaggioso impegnare la controparte in un contenzioso che costa a quella tempo e denaro (…) Questo contenzioso, il tempo e il denaro necessari a gestirlo avvantaggiano chi ha colpevolmente torto e assorbono una enorme quantità di risorse dell’amministrazione giudiziaria sottraendole al piccolo numero di controversie che davvero hanno bisogno di un giudice per essere risolte: quelle nelle quali vi è oggettiva incertezza e/o controvertibilità del fatto o del diritto.  Le cause che hanno bisogno di un giudice durano anni, perché i giudici sono impegnati con un elevatissimo numero di controversie che non avrebbero bisogno di loro per essere risolte. È necessario, dunque, rendere decisamente sconveniente per chi perde agire o resistere in giudizio nella consapevolezza di avere torto. A questo serve la sanzione di cui all’art. 96, 3° comma, c.p.c.”.
 
Si ringrazia l'avv. Comi, del Foro di Reggio Calabria, per averci fornito la sentenza.

Condominio Web
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