mercoledì 3 giugno 2015

Le trappole della polizza sul mutuo: costi elevati e regole non sempre applicate

Le trappole della polizza sul mutuo: costi elevati e regole non sempre applicate


di Adriano Lovera
Sono una garanzia in più per il cliente, ma non possono essere imposte per legge. Arrivano a costare diverse migliaia di euro e non smettono di creare polemiche. Le polizze Cpi (Creditor protection insurance) restano un tassello ben presente, e qualche volta dolente, nel mercato dei mutui. Il picco della loro diffusione è stato toccato nel 2011, quando la raccolta complessiva di questo segmento aveva sfiorato i 2,5 miliardi di euro (dati di Iama Consulting che racchiudono sia le polizze abbinate ai mutui sia quelle legate ai prestiti). «Dopo un biennio di calo, la raccolta ha poi ripreso nel 2014, attestandosi sopra i 2 miliardi, e nel primo trimestre del 2015 assistiamo a un'ulteriore crescita, di circa il 15%» spiega Gionata Cerri,Head of General Insurance Practice di Iama Consulting. A livello di contratti, però, la parte del leone oggi la fanno i prestiti (comprese le carte revolving), perché si calcola che ormai il 70-80% di questi finanziamenti siano assistiti da una polizza.
La penetrazione sul totale dei mutui, invece, si sta stabilizzando ed è in leggero calo. «Negli anni scorsi, quando il costo del denaro per le banche era davvero alto, ammetto che la situazione rischiava di sfuggire di mano. Per rientrare dei costi, gli istituti facevano di tutto per rifilare le polizze, che in alcuni gruppi venivano abbinati addirittura al 90% dei mutui» racconta Stefano Rossini, amministratore dell'intermediatore Mutuisupermarket, che gestisce una media di 5.000 richieste al mese.«Oggi non è più così. Le banche più aggressive puntano a un cross-selling (cioè la vendita di queste polizze in abbinamento) del 70% sul totale, ma la media ormai è compresa tra il 30% e il 50%».
Un dato è certo: per molti il prodotto è tornato utile. «Nel picco della crisi, tra 2008 e 2010, decine di migliaia di rate di mutuo sono state pagate dalle assicurazioni al posto dei clienti che avevano perso il lavoro» ammette ancora Cerri di Iama Consulting. Inoltre, il canale bancario ha permesso di diffondere le polizze a protezione del “caso morte”, poco diffuse in Italia ma molto importanti come investimento del capofamiglia, visto che il mutuo è sempre un impegno finanzario a lungo termine. Eppure, tra costi e scarsa chiarezza nella vendita, qualcosa ancora non va, visto che Ivass e associazioni dei consumatori non mollano la presa. Un'indagine appena condotta da Altroconsumo, su 188 sportelli bancari in nove città italiane, ha messo in luce come nel 12% dei casi di una richiesta di surroga, l'istituto abbia imposto la sottoscrizione di una polizza di questo tipo per aprire la pratica (e già che c'erano, nel 44% dei casi hanno rifiutato di accogliere la polizza obbligatoria scoppio/incendio esistente, per sostituirla con una nuova “fatta in casa”). Un comportamento vietato dalla legge (Codice del Consumo, art. 21, comma 3) che bolla come pratica scorretta obbligare il cliente alla sottoscrizione di una polizza erogata dalla medesima banca, o imporgli l'apertura di un conto corrente, per erogare il mutuo. L'Ivass, interpellato dal Sole 24 Ore, segnala storture soprattutto a livello di costo. Un premio ponderato sarebbe di circa il 2-3% calcolato sull'importo del finanziamento, variabile in funzione delle garanzie, della durata e dell'età del richiedente. Ma spesso i clienti vanno incontro a premi che arrivano all'8-10%. E il motivo è semplice: su quelle polizze la banca, in qualità di distributore, ci guadagna molto.
Da indagini Ivass è emerso che le provvigioni per questi prodotti sono ancora elevate, attestandosi anche su livelli superiori al 50% del premio pagato dal cliente (minori secondo Iama Consulting, che stima le commissioni tra il 20% e il 40%). Come uscirne? L'Abi, a livello di associazione, si è mossa già dal 2013. E oggi quasi tutte le banche aderiscono al protocollo firmato con Assofin e con le associazioni dei consumatori, relativo alla trasparenza in fatto di polizze. E per chi proprio trova indigesta una Cpi, oppure ha firmato in modo non del tutto consapevole, ci sarebbe un trucco perfettamente legale e, per fortuna delle banche, ancora poco praticato. Il sottoscrittore di una Cpi ha fino a 60 giorni di tempo per ripensarci, cioè per far scattare il diritto di recesso e vedersi restituire il premio. Niente vieta al potenziale cliente di accettare la polizza, perfezionare il mutuo, e poi recedere. La banca non potrà farci nulla, perché si tratta di due contratti distinti, il finanziamento è già partito e proseguirà la sua vita fino alla scadenza. Finora non sono molti i titolari di mutuo a scegliere questa strada. E comunque anche nel mondo della bancassicurazione sono corsi ai ripari. Risulta, infatti, che diversi mediatori, ad esempio i broker multiprodotto che distribuiscono mutui e polizze, sui contratti Cpi ricevano le dovute provvigioni dalle banche a almeno a 60-90 giorni dalla sottoscrizione. Così da essere certi che sia scaduto il periodo valido per l'eventuale recesso.
FONTE : CASA24PLUS

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